Elezioni, composizioni, mobilitazioni
Il voto indica anche che laddove il 40% al PD della tornata elettorale europea segnalava la paura diffusa a partire dal 2011 tra spread e commissariamenti dei governi, che trovava nella stabilità restaurativa renziana una possibile valvola di sfogo, è in parte sfumata. Una disponibilità a osare qualcosa di nuovo, quantomeno sul piano elettorale, si è data. Proprio a partire da quei mondi sociali impoveriti che paiono da un lato raggruppati attraverso la falsante etichetta del populismo elettorale, mentre dall’altro sempre più corrono verso l’astensione.
Che alcune delle lotte più significative degli ultimi anni abbiano posto al centro dell’agire politico antagonista le periferie e queste soggettività sociali riscontra forse una capacità di lettura tendenziale, ma certo la loro portata attuale non basta per prefigurare nell’immediato impennate conflittuali.
Nei picchetti antisfratto, negli interventi di quartiere, nelle lotte sui posti di lavoro, così come in molti mondi giovanili, è evidente da tempo come la contesa vera sulla possibilità di orientare in senso antagonistico alcuni vettori sociali non sia un terreno di competizione col Partito democratico, espressione dei ceti medi garantiti e dei settori sociali più alti. Le sirene del “prima gli italiani” salviniano erano e restano un pericolo reale per le istanze del conflitto sociale, e sporcarsi le mani con linguaggi e pratiche spuri e sperimentali nel contrastarle rimane all’ordine del giorno al di là di ciò che piace o meno ai soggetti militanti. Così come si tratta di capire caso per caso dove il voto al 5 stelle sia il residuo di una speranza nel cambiamento istituzionale e dove invece esprima rifiuto.
La composizione sociale che guarda in potenza o nei fatti al Movimento 5 stelle e in parte alla Lega come possibile sfogo delle proprie esigenze di modificazione della propria situazione sociale viene però spesso ricondotta a una immagine mistificata del passato. Si pensa talvolta che alcuni anni fa esistesse un sociale limpido, coi confini netti, dove individuare con semplicità i soggetti in grado di produrre percorsi di rottura. Non è mai stato così. Il sociale è sempre una costruzione fondata sull’ambiguità, all’interno della quale le soggettività politiche possono agire delle ambivalenze, su dei crinali scivolosi, per creare aggregazione, polarizzazione, rottura e contrapposizione. Sono state le lotte politiche del passato a mettere in forma il sociale entro schemi di leggibilità. Oggi non si tratta quindi di innamorarsi di qualche figura evocata di una nuova rude razza pagana fluttuante nell’impoverimento, ma di agire percorsi di lotta che mettano in forma questo sociale frammentato, producano schieramenti. E questo, purtroppo, non lo si fa con le parole, con le belle analisi, con le evocazioni.
Ora che il governo Renzi rischia grosso si tratta di capire come si può pensare a uno sforzo di parte per far sì che la sua eventuale caduta non sia frutto di interessi di lobby o di altri apparati, ma porti con sé il segno del conflitto. Senza questa condizione, ciò che verrà dopo potrebbe essere anche peggio del governo Renzi. Il malcontento attuale purtroppo non è un limpido odio anti-istituzionale, anche se ci piacerebbe che così fosse. Siamo piuttosto di fronte a una rabbia diffusa, a risentimenti e rancori che non si attiveranno nelle piazze schioccando le dita o inventando formulette militanti.
In questo quadro impattare la scadenza referendaria prossima costruendo una contrapposizione sociale al governo Renzi è una scommessa e una necessità politica per costruire spazi di possibilità nei territori ben oltre la data del referendum. Non si tratta di farsi abbagliare dalle retoriche o di evocare momenti topici dopo i quali brindare, ma di mettere in campo fatti concreti nei territori in grado di non lasciare ai partiti istituzionali o alle moribonde retoriche sinistre la bandiera dell’opposizione al governo.
Tutto ciò nella consapevolezza che senza le lotte attuali nel mondo della formazione, sulla casa, nella logistica e nei quartieri, sui territori e sull’ambiente, non sarà possibile costruire nessuno spazio di possibilità per aprire processi di contrapposizione sociale al governo. Immaginare una composizione sociale riparte da qui. Ma al contempo evidentemente ciò non basta. Praticare l’inimicizia purtroppo non è affare che si risolve con la sua enunciazione o con la gestualità spettacolarizzata. Saremo in grado di tracciare dei campi di tensione politica, di coinvolgimento sociale, che inizi la trasformazione delle forme politiche inattuali delle soggettività antagoniste davvero all’altezza di impattare la fase attuale?
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