I quaderni ecologici di Marx
Karl Marx è stato a lungo criticato per il suo cosiddetto “prometeismo” ecologico, per la sua eccessiva attenzione riservata alla produzione industriale, indipendentemente dai limiti naturali. Questo punto di vista, sostenuto anche da alcuni marxisti, come Ted Benton e Michael Löwy, è diventato sempre più difficile da accettare dopo una serie di analisi attente e stimolanti degli aspetti ecologici del pensiero di Marx, elaborate sulle pagine della «Monthly Review» e altrove.
di Kohei Saito, da Monthly Review – Traduzione di Antropocene.org
Il dibattito sul prometeismo non è una mera questione filologica quanto fortemente pratica, poiché il capitalismo affronta crisi ambientali su scala globale, senza soluzioni concrete. Qualsiasi soluzione del genere potrà provenire probabilmente dai vari movimenti ecologisti emergenti in tutto il mondo, alcuni dei quali mettono esplicitamente in discussione il modo di produzione capitalistico. Ora più che mai, quindi, la riscoperta di un’ecologia marxiana è di grande importanza per lo sviluppo di nuove forme di strategia di Sinistra e di lotta contro il capitalismo mondiale.
Eppure non c’è un accordo univoco nella Sinistra sulla misura in cui la critica di Marx può fornire una base teorica per queste nuove lotte ecologiche. Gli «ecosocialisti della prima generazione», secondo la classificazione di John Bellamy Foster, come André Gorz, James O’Connor e Alain Lipietz, riconoscono in una certa misura i contributi di Marx riguardo alle questioni ecologiche, ma allo stesso tempo sostengono che le sue analisi del XIX secolo sono troppo incomplete e datate per essere di reale attualità. Al contrario, gli «ecosocialisti della seconda generazione», come Foster e Paul Burkett, sottolineano il significato metodologico contemporaneo della critica ecologica di Marx al capitalismo, fondata sulle sue teorie del valore e della reificazione.[1]
Questo articolo adotterà un approccio diverso rifacendosi ai Quaderni di Scienze naturali di Marx, in particolare quelli del 1868, che saranno pubblicati per la prima volta nel Quarto volume, Sezione XVIII del nuovo Marx-Engels-Gesamtausgabe (MEGA).[2]* Come giustamente sottolineano Burkett e Foster, i taccuini di Marx ci permettono di vedere chiaramente i suoi interessi e le sue preoccupazioni prima e dopo la pubblicazione del primo volume del Capitale nel 1867, e le direzioni che avrebbe potuto prendere attraverso la sua intensa ricerca in discipline come la biologia, la chimica, la geologia e la mineralogia, molte delle quali non riuscì a integrare completamente nel Capitale.[3] Mentre il grande progetto del Capitale sarebbe rimasto incompiuto, negli ultimi quindici anni della sua vita Marx riempì un numero enorme di quaderni di frammenti ed estratti. In effetti, un terzo dei suoi taccuini risale a questo periodo e quasi la metà tratta di scienze naturali. L’intensità e la portata degli studi scientifici di Marx è sorprendente. Non è quindi valido concludere, come hanno fatto alcuni critici, che le potenti argomentazioni ecologiche di Marx presenti nel Capitale e in altri scritti fossero delle semplici note a margine, ignorando la massa di prove contrarie che si trovano nelle sue ultime ricerche naturalistiche.
Prendendo in considerazione i quaderni successivi al 1868, si può immediatamente riconoscere la rapida espansione degli interessi ecologici di Marx. Sostengo che la critica dell’economia politica di Marx, se completata, avrebbe posto una maggiore enfasi sulla questione della frattura nell’«interazione metabolica»** (Stoffwechsel) fra l’umanità e la natura come contraddizione fondamentale del capitalismo. Inoltre, l’approfondimento degli interessi ecologici di Marx serve ad approfondire la critica di Liebig al moderno «sistema di rapina», di cui parlo più avanti. La centralità dell’ecologia negli ultimi scritti di Marx è rimasta a lungo difficile da discernere perché egli non riuscì mai a completare il suo magnum opus. I quaderni appena pubblicati promettono di aiutarci a comprendere questi aspetti nascosti ma vitali del progetto di tutta la vita di Marx.
Marx e Liebig nelle diverse edizioni del Capitale
È ormai risaputo che la critica di Marx all’irrazionalità dell’agricoltura moderna nel Capitale è profondamente ispirata dall’Agricultural Chemistry di Justus von Liebig e dalle Notes on North America di James F.W. Johnston, opere che sostengono che l’abbandono delle leggi naturali dei suoli inevitabilmente porta al loro esaurimento.[4] Dopo uno studio approfondito di questi libri nel 1865-66, Marx integrò le idee centrali di Liebig nel primo volume del Capitale. In una sezione intitolata Industria e agricoltura moderna, Marx scrisse che il modo di produzione capitalistico
«Con la preponderanza sempre crescente della popolazione urbana che la produzione capitalistica accumula in grandi centri, essa accumula da un lato la forza motrice storica della società, dall’altro turba il ricambio organico fra uomo e terra, ossia il ritorno alla terra degli elementi costitutivi della terra consumati dall’uomo sotto forma di mezzi alimentari e di vestiario; turba dunque l’eterna condizione naturale di una durevole fertilità del suolo. Così distrugge insieme la salute fisica degli operai urbani e la vita intellettuale dell’operaio rurale».[5]
Questo passo, giustamente famoso, è diventato la pietra angolare delle recenti analisi della «Frattura metabolica».[6] In una nota a questa sezione, Marx esprime apertamente il suo debito verso la settima edizione della Chimica agraria di Liebig , pubblicata nel 1862: «La spiegazione del lato negativo dell’agricoltura moderna, dal punto di vista delle scienze naturali, è uno dei meriti immortali del Liebig» [N.d.T. Nota 325, p. 552 dell’edizione indicata nella nota 5]. Tali osservazioni sono la ragione per cui l’approccio della «frattura metabolica» si è concentrato sulla critica di Liebig all’agricoltura moderna come fonte scientifica della critica ecologica di Marx al capitalismo.
Tuttavia, è poco noto che nella prima edizione tedesca del Capitale (1867), che purtroppo non è disponibile in inglese, Marx ha proseguito affermando che i «brevi commenti di Liebig sulla storia dell’agricoltura, sebbene non esenti da errori grossolani, contengono più lampi di intuizione di tutti i lavori dei moderni economisti politici messi insieme [mehr Lichtblicke als die Schriften sämmtlicher moderneen politischen Oekonomen zusammengenommen]».[7] Un lettore attento potrebbe notare immediatamente una differenza tra questa versione e le edizioni successive, sebbene sia stata segnalata solo di recente da Carl-Erich Vollgraf, un editore tedesco della MEGA.[8] Marx ha modificato questa frase nella seconda edizione del Capitale pubblicata nel 1872-73. Di conseguenza, di solito leggiamo solo: «Anche i suoi scorci di storia dell’agricoltura sono in qualche punto illuminanti, benché non siano esenti da errori grossolani».[9] Marx ha cancellato l’affermazione secondo cui Liebig era più perspicace «di tutti i lavori dei moderni economisti politici messi insieme». Perché Marx ha attenuato la sua valutazione dei contributi di Liebig relativi all’economia politica classica?
Si potrebbe obiettare che questa eliminazione è solo un cambiamento banale, volto a chiarire i contributi originali di Liebig nel campo della chimica agraria e a separarli dall’economia politica, dove il grande chimico aveva commesso alcuni «errori grossolani». Come mostrano queste pagine, Marx era anche molto entusiasta della comprensione del problema del suolo da parte di un particolare economista politico, James Anderson, che, a differenza di altri economisti politici classici, aveva esaminato le questioni relative alla distruzione del suolo. Se perciò Liebig aveva riconosciuto il «lato negativo dell’agricoltura moderna», cosa che Marx considerava «uno dei [suoi]meriti immortali», per questo motivo, Marx potrebbe aver pensato che la sua espressione nella prima edizione del Capitale fosse piuttosto esagerata.
Tuttavia, va anche notato che la Chimica agraria di Liebig fu discussa con entusiasmo da un certo numero di economisti politici dell’epoca, proprio a causa dei suoi presunti contributi all’economia politica, in particolare la teoria della rendita fondiaria e alla teoria della popolazione.[10] Ad esempio, l’economista tedesco Wilhelm Roscher riconobbe l’importanza della teoria dei minerali di Liebig per l’economia politica ancor prima di Marx, e aggiunse alcuni passaggi e note dedicati a Liebig nella sua quarta edizione di Nationalökonomie des Ackerbaues und der verwandten Urproductionen (1865), al fine di integrare le nuove scoperte agricole di Liebig nel proprio sistema di economia politica. In particolare, Roscher elogia Liebig in termini simili: «Anche se molte delle affermazioni storiche di Liebig sono altamente discutibili … anche se gli mancano alcune conoscenze importanti dell’economia nazionale, il nome di questo grande scienziato naturale manterrà sempre un posto d’onore paragonabile al nome anche di Alexander Humboldt nella storia dell’economia nazionale».[11] In effetti, è molto probabile che il libro di Roscher abbia spinto Marx a rileggere la Chimica agraria di Liebig nel 1865-66. Le osservazioni simili di entrambi gli autori riflettono un’opinione diffusa in quell’epoca sulla Chimica agraria di Liebig.
Inoltre, è ragionevole supporre che Marx, nella prima edizione del Capitale, stesse intenzionalmente paragonando Liebig a quegli economisti politici che postulavano uno sviluppo trans-storico e lineare dell’agricoltura, sia che si passasse da terreni più produttivi a terreni meno produttivi (Malthus, Ricardo e J. S. Mill), sia che si passasse da terreni meno produttivi a terreni più produttivi (Carey e poi Dühring). La critica di Liebig al «sistema di rapina» della coltivazione denunciava invece proprio la forma moderna di agricoltura e la sua diminuzione di produttività come risultato dell’uso irrazionale e distruttivo del suolo. In altre parole, la storicizzazione dell’agricoltura moderna da parte di Liebig fornisce a Marx un’utile base scientifica naturale per rifiutare un esame astratto e lineare dello sviluppo agricolo.
Eppure, come visto in precedenza, Marx relativizza in qualche modo il contributo di Liebig all’economia politica tra il 1867 e il 1872-73. È possibile che Marx nutrisse dubbi sulla chimica di Liebig oltre che sui suoi errori economici? In questo contesto, lo studio attento delle lettere e dei quaderni di Marx ci aiuta a comprendere gli obiettivi e i metodi più ampi della sua ricerca dopo il 1868.
I dibattiti sulla chimica agraria di Liebig
Osservando le lettere e i quaderni di questo periodo, sembra più probabile che la modifica del contributo di Liebig nella seconda edizione rappresentasse qualcosa di più di una semplice correzione. Marx era ben consapevole degli accesi dibattiti intorno alla Chimica agraria di Liebig, così, dopo la pubblicazione del primo volume del Capitale, ritenne necessario approfondire la validità della teoria di Liebig. In una lettera a Engels del 3 gennaio 1868, Marx lo prega di chiedere consiglio a un amico di lunga data, il chimico Carl Schorlemmer:
«Da Schorlemmer desidererei sapere qual è il più recente e migliore libro (tedesco) sulla chimica agraria. Inoltre, quale sia lo stato attuale di quella discussione fra i sostenitori del concime minerali e quelli del concime a base di nitrofosfati. (Da quando me ne sono occupato l’ultima volta, in Germania sono uscite diverse cose nuove). Sa qualcosa dei tedeschi moderni i quali hanno scritto contro la teoria di Liebig sull’esaurimento del terreno? Gli è nota la teoria alluvionale dell’agronomo monacense Fraas (professore all’università di Monaco)? Per il capitolo della rendita fondiaria dovrò essere informato almeno to some extent degli ultimi sviluppi del problema».[12]
Le osservazioni di Marx in questa lettera indicano chiaramente il suo obiettivo all’inizio del 1868 di studiare libri sull’agricoltura. Non cerca solo la letteratura recente sull’agricoltura in generale, ma presta particolare attenzione ai dibattiti e alle critiche alla Chimica agraria di Liebig. È importante notare che, nel manoscritto del Libro terzo del Capitale, Marx sottolinea in modo insolito l’importanza dell’analisi di Liebig, indicando essenzialmente che questa deve essere completata in futuro. In altre parole, si trattava di una parte dell’argomento che egli continuava ad approfondire – e in ambiti fondamentali come quello della «produttività decrescente del terreno» legato alle discussioni sul calo del saggio di profitto.[13]
Liebig, spesso definito il “padre della chimica organica”, dimostrò in modo convincente che la crescita sana delle piante richiede sostanze sia organiche che inorganiche, come azoto, acido fosforico e potassio. Contro le teorie dominanti incentrate sull’humus (una componente organica del suolo costituita da materia vegetale e animale in decomposizione) o sull’azoto, Liebig sostenne che tutte le sostanze necessarie devono essere fornite in quantità superiore al “minimo”, una proposizione nota come «legge del minimo».[14] Sebbene l’intuizione di Liebig sul ruolo delle sostanze inorganiche rimanga valida ancora oggi, due tesi da essa derivate, le teorie della fertilizzazione minerale e dell’esaurimento del suolo, scatenarono immediate polemiche.
Secondo Liebig, la quantità di sostanze inorganiche nel suolo rimane limitata senza un costante reintegro. È quindi necessario restituire regolarmente al suolo le sostanze inorganiche che le piante hanno assorbito, se si vuole coltivare in modo sostenibile. (Queste possono essere restituite sia in forma inorganica sia in forma organica, che viene convertita [mineralizzata] in forma inorganica). Liebig chiama questa necessità «legge della sostituzione» e ritiene che la sostituzione completa delle sostanze inorganiche sia il principio fondamentale dell’agricoltura sostenibile. Poiché la natura da sola non poteva fornire abbastanza materiale inorganico quando una così grande quantità di sostanze nutritive veniva rimossa annualmente, Liebig sostenne l’uso di fertilizzanti chimici minerali. Egli sosteneva che non solo la teoria dell’humus contenuta nei Principles of Practical Agriculture di Albrecht Daniel Thaer, ma anche quella dell’azoto di John Bennett Lawes e Joseph Henry Gilbert erano gravemente errate, perché non prestavano attenzione alla quantità limitata di sostanze inorganiche disponibili nel suolo.
Sulla base della sua teoria, Liebig avvertì che le violazioni della legge di sostituzione e il conseguente esaurimento del suolo minacciavano l’intera civiltà europea. Secondo Liebig, l’industrializzazione moderna aveva creato una nuova divisione del lavoro tra città e campagna, cosicché gli alimenti consumati dalla classe operaia nelle grandi città non ritornavano più ai suoli originari e li ripristinavano, ma si riversavano nei fiumi attraverso i servizi igienici senza essere più utilizzati. Inoltre, attraverso la mercificazione dei prodotti agricoli e dei fertilizzanti (ossa e paglia), l’obiettivo dell’agricoltura si allontanava dalla sostenibilità e diventava la mera massimizzazione dei profitti, spremendo le sostanze nutritive del suolo nelle colture nel più breve tempo possibile. Turbato da questi fatti, Liebig denunciò l’agricoltura moderna come un «sistema di rapina» e avvertì che l’interruzione dell’interazione metabolica naturale avrebbe causato, in ultima analisi, la decadenza della civiltà. Discostandosi dalla convinzione piuttosto ottimistica che aveva all’inizio e alla metà degli anni Cinquanta dell’800 sulla panacea della fertilizzazione chimica, l’edizione del 1862 della Chimica agraria di Liebig, e in particolare la sua nuova introduzione, enfatizzò con maggior vigore gli aspetti distruttivi dell’agricoltura moderna.
Quando, nel 1862, Liebig rafforzò la sua critica al sistema di rapina, correggendo il suo precedente ottimismo, Marx sentì comprensibilmente il bisogno di rivedere il dibattito sulla fertilità del suolo da una nuova prospettiva. Allo stesso tempo, la critica di Liebig al sistema di rapina e all’esaurimento del suolo ispirò una serie di nuovi argomenti tra gli studiosi e gli agronomi. La lettera di Marx a Engels chiarisce che, anche dopo la pubblicazione del primo volume del Capitale, egli cercò di esaminare la validità della teoria di Liebig da una prospettiva più critica.
In particolare, a questo dibattito parteciparono anche altri economisti politici oltre a Marx e Roscher. Come riportato da Foster, Henry Charles Carey aveva già fatto riferimento allo spreco della produzione agricola negli Stati Uniti e aveva sostenuto che l’irresponsabile «furto dalla terra» costituiva un grave «crimine» contro le generazioni future.[15] Anche Liebig si era interessato a Carey e aveva citato ampiamente il suo lavoro, ma Marx potrebbe non aver avuto del tutto chiaro il loro rapporto quando lesse la Chimica agraria nel 1865-66. Marx aveva avuto una corrispondenza con Carey, che gli aveva inviato il suo libro sulla schiavitù, che conteneva alcune delle sue argomentazioni sull’esaurimento del suolo, e Marx aveva studiato le opere economiche di Carey.[16] Tuttavia, il ruolo di Carey nel dibattito generale sul suolo divenne probabilmente più evidente quando Marx incontrò il lavoro di Eugen Dühring. Marx iniziò a studiare i libri di Dühring nel gennaio 1868, dopo che Louis Kugelmann gli inviò la recensione di Dühring del Capitale, la prima recensione del libro pubblicata nel dicembre 1867.
Dühring, docente all’Università di Berlino, fu un entusiasta sostenitore del sistema economico di Carey. Integrò anche la teoria di Liebig nella sua analisi economica come ulteriore convalida della proposta di Carey di istituire città-comunità autarchiche in cui produttori e consumatori vivessero in armonia, senza sprecare i nutrienti delle piante e quindi senza esaurire i terreni. Dühring sosteneva che la teoria di Liebig sull’esaurimento del suolo «costituisse un pilastro nel sistema [di Carey]» e affermava che
«l’esaurimento del suolo, che è già diventato abbastanza minaccioso, per esempio, nell’America del Nord, sarà… fermato a lungo termine solo attraverso una politica commerciale costruita sulla protezione e sulla educazione del lavoro domestico. Perché lo sviluppo armonioso delle varie strutture di una nazione… favorisce la circolazione naturale dei materiali [Kreislauf der Stoffe] e rende possibile il ritorno delle sostanze nutritive delle piante al suolo da cui sono state prelevate».[17]
Nel manoscritto del terzo libro del Capitale, Marx immaginava una società futura che superasse l’antagonismo fra città e campagna, in cui «i produttori associati regolano razionalmente questo loro ricambio organico con la natura». Deve essere rimasto sorpreso nell’apprendere che anche Dühring chiedeva, come «unica contromisura» contro lo spreco della produzione, la «regolazione consapevole della distribuzione materiale» superando la divisione fra città e campagna.[18] In altre parole, l’affermazione di Marx, insieme a quella di Dühring, riflette la popolarità all’epoca della “scuola di Liebig”. Negli anni successivi l’opinione di Marx su Dühring si fece più critica, poiché Dühring iniziò a promuovere il proprio sistema come unico vero fondamento della socialdemocrazia. Ciò probabilmente rafforzò il sospetto di Marx nei confronti dell’interpretazione di Dühring dell’esaurimento del suolo e dei suoi sostenitori, anche se continuò a riconoscere l’utilità della teoria di Liebig. In ogni caso, all’inizio del 1868, la costellazione discorsiva spingeva già Marx a studiare libri «contro la teoria dell’esaurimento del suolo di Liebig».
Il malthusianesimo di Liebig?
Marx era particolarmente preoccupato che gli avvertimenti di Liebig sull’esaurimento del suolo generassero un’allusione al malthusianesimo. Che riabilitassero, per riprendere l’espressione di Dühring, “il fantasma di Malthus”, in quanto Liebig sembrava fornire una nuova versione “scientifica” dei vecchi temi malthusiani della scarsità di cibo e della sovrappopolazione.[19] Come già detto, il tono generale dell’argomentazione di Liebig passò da un ottimismo negli anni Quaranta fino alla metà degli anni Cinquanta del XIX secolo a un pessimismo piuttosto marcato alla fine degli anni Cinquanta e Sessanta. Criticando aspramente l’agricoltura industriale britannica, prevedeva un futuro oscuro per la società europea, pieno di guerre e fame, se la «legge della sostituzione» avesse continuato ad essere ignorata:
«In pochi anni le riserve di guano saranno esaurite, e quindi non saranno necessarie controversie scientifiche o, per così dire, teoriche per provare la legge di natura che esige dall’uomo che abbia cura della conservazione delle condizioni di vita… Per la loro autoconservazione, le nazioni saranno costrette a massacrarsi e annientarsi a vicenda in guerre senza fine per ristabilire un equilibrio, e, Dio non voglia, se due anni di carestia come il 1816 e il 1817 si succederanno ancora, coloro chesopravvivranno vedranno centinaia di migliaia di persone morire per le strade».[20]
Il nuovo pessimismo di Liebig appare ben distinto in questo passaggio. Mentre la sua visione dell’agricoltura moderna come «sistema di rapina» mostra la sua superiorità rispetto alla diffusa e astorica «legge dei rendimenti decrescenti» di Malthus e Ricardo, la sua conclusione lascia ambiguo il suo rapporto con le idee malthusiane. In effetti, Marx era particolarmente preoccupato per i riferimenti di Liebig alla teoria ricardiana. Liebig infatti conosceva personalmente John Stuart Mill e potrebbe essere stato direttamente influenzato da quest’ultimo. Ironia della sorte, però, come sottolinea Marx, la teoria ricardiana della rendita non è nata con Ricardo e nemmeno con Malthus – e certamente non con John Stuart Mill, come Liebig erroneamente suppone – ma con James Anderson, che le aveva dato una base storica nella degradazione del suolo. Ciò che preoccupava Marx, quindi, era il frequente collegamento, ai suoi tempi, di Liebig con Malthus e Ricardo, che rappresentava una logica opposta all’analisi di Marx stesso e che, a differenza di Malthus e Ricardo, enfatizzava la natura storica del problema del suolo.[21]
La questione del malthusianesimo di Liebig può sembrare un dettaglio arcano nel più ampio dibattito sull’esaurimento del suolo, ma è una delle ragioni principali per cui la sua Chimica agraria divenne così popolare nel 1862.[22] Per Dühring, questo malthusianesimo non era così problematico perché riteneva che il sistema economico di Carey avesse già dissipato «il fantasma di Malthus», dimostrando che lo sviluppo della società rendeva possibile coltivare suoli migliori.[23] Naturalmente, Marx non poteva accettare questo presupposto ingenuo, come scrisse a Engels nel novembre 1869: «Carey ignora i dati di fatto più noti».[24]
Così nel 1868 Marx iniziò a leggere le opere di autori che assumevano una posizione più critica nei confronti della Chimica agraria di Liebig. Conosceva già argomenti come quello di Roscher, secondo il quale il sistema di rapina doveva essere criticato dal punto di vista della “scienza naturale”, ma poteva essere giustificato dal punto di vista “economico” nella misura in cui era più redditizio.[25] Secondo Roscher, era necessario interrompere la rapina solo prima che diventasse troppo costoso recuperare la fertilità originaria del suolo, ma i prezzi di mercato se ne sarebbero occupati. Adottando le argomentazioni di Roscher, Friedrich Albert Lange, filosofo tedesco, si schierò contro la ricezione di Liebig e Carey da parte di Dühring nel suo J. St. Mills Ansichten über die sociale Frage pubblicato nel 1866. Marx lesse il libro di Lange all’inizio del 1868 e non è un caso che il suo taccuino si concentri sul quarto capitolo, dove Lange discute i problemi della teoria della rendita e dell’esaurimento del suolo. In particolare, Marx notò l’osservazione di Lange secondo cui Carey e Dühring denunciavano il “commercio” con l’Inghilterra come causa di tutti i mali e consideravano una «tariffa protettiva» come la “panacea” definitiva, senza che Lange riconoscesse che l’«industria» possiede una «tendenza centralizzatrice», che crea non solo la divisione tra città e campagna, ma anche la disuguaglianza economica.[26] Similmente a Roscher, Lange sosteneva che «nonostante la naturale correttezza scientifica della teoria di Liebig», la coltivazione di rapina può essere giustificata da una prospettiva «economica nazionale».[27]
Idee simili si trovano anche nell’opera dell’economista tedesco Julius Au. Marx possedeva una copia dell’opera di Hilfsdüngermittel in ihrer volks- und privatwirtschaftlichen Bedeutung (1869), che segnò con note e commenti a margine.[28] Pur riconoscendo il valore scientifico della teoria minerale di Liebig, Au dubitava che la teoria dell’esaurimento del suolo potesse essere considerata una legge naturale “assoluta”. Si trattava invece, sosteneva Au, di una teoria “relativa” che aveva poco significato per le economie della Russia, della Polonia o dell’Asia Minore, perché in queste aree l’agricoltura poteva essere sostenuta, presumibilmente attraverso uno sviluppo estensivo, senza seguire la «legge della sostituzione».[29] Tuttavia Au sembra aver dimenticato che la preoccupazione principale di Liebig erano i Paesi dell’Europa occidentale. Inoltre, Au finì per accettare acriticamente i meccanismi di regolazione dei prezzi del mercato, che egli, come Roscher, si aspettava impedissero l’eccessivo sfruttamento della forza del suolo perché avrebbe semplicemente cessato di essere redditizio. Ciò che rimane della teoria di Liebig per Lange e Au è il semplice fatto che il suolo non può essere migliorato all’infinito. Dopotutto, erano sostenitori neomalthusiani della teoria della sovrappopolazione e della legge dei rendimenti decrescenti.
In risposta a tutto ciò, Marx commenta «Idiota!» e scrive molti punti interrogativi nella sua copia del libro di Au.[30] La sua valutazione dei libri di Lange è altrettanto ostile, poiché nella lettera a Kugelmann del 27 luglio 1870 commenta ironicamente la spiegazione malthusiana della storia di Lange.[31] Inoltre, è lecito supporre che Marx non fosse attratto dall’idea di realizzare un’agricoltura sostenibile attraverso le fluttuazioni dei prezzi di mercato. Non potendo sostenere Carey e Dühring, Marx si mise a studiare più intensamente il problema dell’esaurimento del suolo per articolare una critica sofisticata del moderno sistema di rapina.
In sintesi: Marx pensò inizialmente che la descrizione di Liebig degli effetti distruttivi dell’agricoltura moderna potesse essere usata come un potente argomento contro la legge astratta dei rendimenti decrescenti di Ricardo e Malthus, ma cominciò a mettere in dubbio la teoria di Liebig dopo il 1868, quando i dibattiti sull’esaurimento del suolo assunsero sempre più un tono malthusiano. Marx fece quindi marcia indietro rispetto all’affermazione un po’ acritica ed esagerata secondo cui le analisi di Liebig “contengono più lampi di intuizione di tutte le opere dei moderni economisti politici messe insieme”, in vista di una ricerca più approfondita sul problema che aveva chiaramente previsto per il secondo e terzo libro del Capitale.
Marx e la teoria dell’interazione metabolica di Fraas
Se le tendenze malthusiane di Liebig costituivano una ragione negativa per la modifica da parte di Marx della frase su Liebig nella seconda edizione del Capitale, ve n’era anche una più positiva: Marx incontrò alcuni autori che divennero importanti quanto Liebig per la sua critica ecologica dell’economia politica. Karl Fraas fu uno di questi. In una lettera del gennaio 1868, Marx chiede a Schorlemmer informazioni su Fraas, agronomo tedesco e professore all’Università di Monaco. Sebbene Shorlemmer non sia in grado di fornire informazioni specifiche sulla «teoria dell’alluvione» di Fraas, nei mesi successivi Marx inizia a leggere diversi libri di Fraas.
Il nome di Fraas compare per la prima volta in un taccuino di Marx tra il dicembre 1867 e il gennaio 1868, quando annota il titolo del libro di Fraas del 1866, Die Ackerbaukrisen und ihre Heilmittel, una polemica contro la teoria di Liebig dell’esaurimento del suolo.[32] Quando Marx scrive in una lettera a Engels del gennaio 1868 che «dall’ultima volta che mi sono occupato dell’argomento, in Germania sono apparse ogni sorta di novità», probabilmente sta pensando al libro di Fraas.
Proprio in concomitanza con la pubblicazione del libro di Fraas, i suoi rapporti con Liebig si fecero molto tesi, dopo che Liebig criticò l’ignoranza scientifica dei teorici dell’agricoltura e degli agricoltori pratici di Monaco, dove Fraas insegnò come professore per molti anni. In risposta, Fraas difese la prassi agraria di Monaco e sostenne che la teoria di Liebig era stata sopravvalutata e rappresentava un ripiegamento sulla teoria malthusiana, che ignorava varie forme storiche di agricoltura che mantenevano e addirittura aumentavano la produttività senza causare l’esaurimento del suolo. Secondo Fraas, il pessimismo di Liebig derivava dal suo tacito presupposto che l’uomo dovesse essere in grado di restituire sostanze inorganiche e che quindi il suolo richiedesse – se non si voleva eliminare la divisione tra città e campagna – l’introduzione di fertilizzanti artificiali, che però si sarebbero rivelati troppo costosi. Al contrario, Fraas suggerisce un metodo più accessibile, rappresentato dalla sua «teoria dell’alluvione», utilizzando la forza della natura stessa per sostenere la fertilità del suolo».[33]
Secondo la definizione di Charles Lyell, l’alluvione è «terra, sabbia, ghiaia, pietre e altra materia trasportata che è stata lavata via e gettata a terra da fiumi, inondazioni o altre cause, su terreni non permanentemente sommersi dalle acque di laghi o mari».[34] I materiali alluvionali contengono grandi quantità di sostanze minerali vitali per la crescita delle piante. Di conseguenza, i terreni sviluppati dalla deposizione regolare di tali materiali, di solito adiacenti ai fiumi nelle valli, producono raccolti ricchi anno dopo anno senza fertilizzanti, come nei banchi di sabbia del Danubio, nei delta del Nilo o del Po, o nelle lingue di terra del Mississippi. I sedimenti rigeneranti presenti nelle acque delle piene derivano dall’erosione a monte dello spartiacque. Quindi, la ricchezza dei terreni alluvionali è il risultato dell’impoverimento dei terreni a monte, molto probabilmente provenienti da pendii di colline e montagne. Ispirandosi a questi esempi in natura, Fraas suggerisce di costruire una «alluvione artificiale» regolando l’acqua del fiume attraverso la costruzione di dighe temporanee sui campi agricoli, fornendo loro a basso costo e quasi in eterno i minerali essenziali. Il taccuino di Marx conferma che egli studiò attentamente le argomentazioni di Fraas sui meriti pratici dell’alluvione in agricoltura.[35]
Probabilmente, ciò che interessava maggiormente a Marx di Fraas, tuttavia, non era la teoria dell’alluvione. Dopo aver letto Fraas con entusiasmo, documentando vari passaggi nei suoi taccuini, Marx scrive ad Engels in una lettera del 25 marzo 1868, lodando il libro di Fraas, Klima und Pflanzenwelt in der Zeit:
«È molto interessante il libro di Fraas (1847) Klima und Pflanzenwelt in der Zeit, eine Geschichte beider, per la dimostrazione che in epoca storica il clima e la flora cambiano … Sostiene che con la coltivazione – e seconda il grado di questa – va perduta la «umidità» tanto cara ai contadini (per questa ragione le piante migrano dal sud al nord) e subentra infine la formazione di steppe. I primi effetti della coltivazione sono utili, ma infine devastanti a causa del disboscamento, ecc… La conclusione è che la coltivazione, procedendo naturalmente e non dominata consapevolmente (a tanto non arriva naturalmente come borghese), lascia dietro a sé dei deserti. Persia, Mesopotamia, ecc., Grecia. Di nuovo quindi una inconsapevole tendenza socialista!».[36]
Potrebbe sembrare sorprendente che Marx abbia trovato persino «una inconsapevole tendenza socialista» nel libro di Fraas, nonostante la sua dura critica a Liebig. Klima und Pflanzenwelt in der Zeit, eine Geschichte beider precisava come le antiche civiltà, in particolare l’antica Grecia – Fraas aveva trascorso sette anni come ispettore del giardino di corte e professore di botanica all’Università di Atene – fossero crollate dopo che un disboscamento non regolamentato aveva causato cambiamenti insostenibili nell’ambiente locale. Poiché le piante autoctone non potevano più adattarsi al nuovo ambiente, si verificò la formazione di steppe o, nel peggiore dei casi, la desertificazione. (Sebbene l’interpretazione di Fraas sia stata influente, oggi alcuni sostengono che non si sia trattato di una “desertificazione” vera e propria, ma piuttosto della crescita di piante che richiedevano meno umidità, perché gran parte delle precipitazioni si perdevano sotto forma di ruscellamento invece di infiltrarsi nel suolo).
Nel nostro contesto, è innanzitutto interessante notare come Fraas sottolineasse l’importanza di un «clima naturale» per la crescita delle piante, a causa della sua grande influenza sul processo di degradazione del suolo. Non è quindi sufficiente analizzare la sola composizione chimica del suolo, perché le reazioni meccaniche e chimiche nel terreno, essenziali per il processo di degradazione, dipendono fortemente da fattori climatici come la temperatura, l’umidità e le precipitazioni. Per questo motivo Fraas caratterizzò il proprio campo di ricerca e il proprio metodo come “fisica agraria”, in netto contrasto con la “chimica agraria” di Liebig.[37] Secondo Fraas, in alcune aree in cui le condizioni climatiche sono più favorevoli e i terreni sono adiacenti ai fiumi e si allagano regolarmente con acqua contenente sedimenti, è possibile produrre grandi quantità di colture senza temere l’esaurimento del suolo, poiché la natura soddisfa automaticamente la «legge della sostituzione» attraverso i depositi alluvionali. Questo, ovviamente, vale solo per una parte dei terreni di un determinato paese.
Dopo aver letto i libri di Fraas, Marx si interessò sempre più a questa “fisica agraria”, come disse a Engels: «Bisogna esaminare accuratamente tutte le cose recenti e recentissime sull’agricoltura. La scuola fisica si oppone a quella chimica».[38] Qui è possibile scorgere un chiaro cambiamento negli interessi di Marx. Nel gennaio 1868, Marx seguiva principalmente i dibattiti all’interno della “scuola chimica”, in termini di efficacia dei fertilizzanti minerali o azotati. Poiché aveva già studiato la questione nel 1861, ora riteneva necessario studiare «in qualche misura» gli sviluppi recenti. Dopo due mesi e mezzo e un intenso esame delle opere di Fraas, tuttavia, Marx raggruppò sia Liebig che Lawes in una stessa “scuola chimica” e trattò la teoria di Fraas come una scuola “fisica” indipendente. In particolare, questa categorizzazione riflette il giudizio dello stesso Fraas, il quale si lamentava del fatto che sia Liebig che Lawes avessero avanzato argomentazioni astratte e unilaterali sull’esaurimento del suolo, ponendo troppa enfasi solo sulla componente chimica della crescita delle piante.[39] Di conseguenza, Marx giunse a ritenere che “bisognasse” studiare molto più attentamente i più recenti sviluppi nel campo dell’agricoltura.
L’unicità di Fraas è evidente anche nella sua attenzione all’impatto umano sul processo di cambiamento climatico storico. In effetti, il libro di Fraas offre uno dei primi studi sull’argomento, poi elogiato da George Perkins Marsh in Man and Nature (1864).[40] Attingendo a testi greci antichi, Fraas ha mostrato come le specie vegetali si siano spostate da sud a nord, o dalle pianure alle montagne, con l’aumento graduale dei climi locali più caldi e secchi. Secondo Fraas, questo cambiamento climatico deriva dall’eccessivo disboscamento richiesto dalle antiche civiltà. Queste storie di disintegrazione delle società antiche hanno un’ovvia rilevanza anche per la nostra situazione contemporanea.
Fraas metteva in guardia anche contro l’eccessivo uso di legname da parte dell’industria moderna, un processo già in atto ai suoi tempi che avrebbe avuto un enorme impatto sulla civiltà europea. La lettura di Fraas da parte di Marx gli fece conoscere il problema della scomparsa delle foreste europee, come documentato nel suo taccuino: «La Francia ha ora non più di un dodicesimo della sua precedente superficie forestale, l’Inghilterra solo quattro grandi foreste su sessantanove; in Italia e nella penisola europea Sud-occidentale il popolamento arboreo che in passato era comune anche in pianura non si trova più nemmeno in montagna».[41] Fraas lamentava il fatto che l’ulteriore sviluppo tecnologico avrebbe portato al taglio di alberi a quote montane più elevate, accelerando solo la deforestazione.
Leggendo il libro di Fraas, Marx si rese conto della grande tensione tra la sostenibilità ecologica e la crescente domanda di legno per alimentare la produzione capitalistica. L’intuizione di Marx sul disturbo dell’«interazione metabolica» fra uomo e natura nel capitalismo va oltre il problema dell’esaurimento del suolo nel senso di Liebig e si estende alla questione della deforestazione. Naturalmente, come indica la seconda edizione del Capitale, questo non significa che Marx avesse abbandonato la teoria di Liebig. Al contrario, continuò a onorare il contributo di Liebig come essenziale per la sua critica dell’agricoltura moderna. Tuttavia, quando Marx scrisse di «una inconsapevole tendenza socialista» nell’opera di Fraas, è chiaro che Marx considerava ormai la restaurazione del metabolismo fra uomo e natura come un progetto centrale del socialismo, con una portata molto più ampia rispetto alla prima edizione del primo libro del Capitale.
L’interesse di Marx per la deforestazione non si limita alla lettura di Fraas. All’inizio del 1868 lesse anche la History of the Past and Present State of the Labouring Population di John D. Tuckett, annotando il numero di pagine importanti. In una di quelle poche pagine che Marx registrò, Tuckett sostiene:
«L’indolenza dei nostri antenati è un argomento di rammarico, in quanto ha trascurato la coltivazione di alberi e in molti casi ha causato la distruzione delle foreste senza sostituirle sufficientemente con piante giovani. Questo spreco generale sembra essere stato maggiore poco prima della scoperta dell’uso del carbone marino [per la fusione del ferro], quando il consumo per la forgiatura del ferro era così grande che sembrava dovesse spazzare via tutto il legname e i boschi del paese…. Tuttavia, al giorno d’oggi, le piantagioni di alberi, non solo aggiungono utilità, ma tendono anche ad abbellire il paese, e producono schermi per rompere le rapide ondate di vento… Il grande vantaggio di piantarne una grande quantità in un paese nudo non è inizialmente percepito. Poiché non c’è nulla che resista ai venti freddi, il bestiame che vi si nutre [in questi luoghi privi di alberi (N.d.T.)] ha una crescita stentata e la vegetazione ha spesso l’aspetto di essere stata bruciata con il fuoco o percossa con un bastone. Inoltre, garantendo calore e comfort al bestiame, basta metà del foraggio a saziarlo».[42]
I boschi svolgono un importante ruolo economico nell’agricoltura e nell’allevamento, e questo è chiaramente ciò che interessava a Marx nel 1868.
Sebbene Marx non citi direttamente il lavoro di Fraas o di Tuckett dopo il 1868, l’influenza delle loro idee è chiaramente visibile nel secondo manoscritto del secondo libro del Capitale, scritto tra il 1868 e il 1870. Marx aveva già notato nel manoscritto per il terzo libro che il disboscamento non sarebbe stato sostenibile nel sistema della proprietà privata, anche se poteva essere più o meno sostenibile se effettuato nella proprietà statale.[43] Dopo il 1868, Marx presta maggiore attenzione al problema del moderno sistema di rapina, che ora estende dalla produzione agricola al disboscamento. In questo senso, Marx cita l’Handbuch der landwirthschaftlichen Betriebslehre di Friedrich Kirchhof (1852), a sostegno dell’incompatibilità tra la logica del capitale e le caratteristiche materiali del disboscamento.[44] Egli sottolinea che i lunghi tempi necessari per il disboscamento impongono un limite naturale, obbligando il capitale a cercare di abbreviare il più possibile il ciclo di disboscamento e ricrescita. Nel manoscritto del secondo libro del Capitale, Marx commenta un passaggio del libro di Kirchhof: «Lo sviluppo della civiltà e dell’industria in generale si è sempre mostrato così attivo nella distruzione dei boschi, che, al paragone, tutto ciò che essa fa invece per la loro conservazione e produzione è una grandezza assolutamente infinitesimale».[45] Marx è certamente consapevole del pericolo che questo disboscamento provochi non solo una carenza di legname, ma anche un cambiamento del clima, legato a una crisi più esistenziale della civiltà umana.
Un confronto con gli scritti del giovane Marx illustra questo drammatico sviluppo del suo pensiero ecologico. Nel Manifesto, Marx ed Engels scrivono dei cambiamenti storici portati dal potere del capitale:
«Nel suo dominio di classe, che dura appena da un secolo, la borghesia ha creato delle forze produttive il cui numero e la cui importanza superano quanto mai avessero fatto tutte insieme le generazioni passate. Soggiogamento delle forze naturali, macchine, applicazione della chimica all’industria e all’agricoltura, navigazione a vapore, ferrovie, telegrafi elettrici, il dissodamento di interi continenti per la coltivazione, fiumi resi navigabili, intere popolazioni sorte quasi per incanto dal suolo».[46]
Michael Löwy ha criticato questo passo come una manifestazione dell’atteggiamento ingenuo di Marx ed Engels nei confronti della modernizzazione e dell’ignoranza della distruzione ecologica in seguito allo sviluppo capitalistico: «Rendendo omaggio alla borghesia per la sua capacità senza precedenti di sviluppare le forze produttive», scrive, «Marx ed Engels hanno celebrato senza riserve l’“assoggettamento delle forze della natura all’uomo” e il “disboscamento di interi continenti per la coltivazione” da parte della moderna produzione borghese».[47] La lettura di Löwy del presunto “prometeismo” di Marx potrebbe sembrare difficile da confutare in questo caso, anche se Foster fornisce un altro punto di vista.[48] Tuttavia, la critica di Löwy, anche se la sua interpretazione riflette accuratamente il pensiero di Marx all’epoca, difficilmente può essere generalizzata all’intera produzione di Marx, dal momento che la sua critica al capitalismo divenne sempre più ecologica ogni anno che passava. Come si è visto in precedenza, l’evoluzione del suo pensiero dopo il primo libro del Capitale mostra che negli ultimi anni Marx si interessò seriamente al problema della deforestazione, ed è molto improbabile che l’ultimo Marx avrebbe lodato la deforestazione di massa in nome del progresso, senza tener conto di una regolazione consapevole e sostenibile dell’interazione metabolica fra umanità e natura.
L’ulteriore portata della critica ecologica di Marx
Gli interessi ecologici di Marx in questo periodo si estendono anche all’allevamento. Nel 1865-66 aveva già letto la Rural Economy of England, Scotland, and Ireland del francese Léonce de Lavergne, in cui l’economista dell’agricoltura sosteneva la superiorità dell’agricoltura inglese. Lavergne proponeva come esempio il processo di allevamento inglese sviluppato da Robert Bakewell, con il suo «sistema di selezione», che consentiva alle pecore di crescere più velocemente e di fornire più carne, con la sola massa ossea necessaria alla loro sopravvivenza.[49] La reazione di Marx nel suo taccuino a questo “miglioramento” è suggestiva: «Caratterizzata da precocità, da un costituzione generalmente malaticcia, mancanza di ossa, eccessivo sviluppo di grasso e carne ecc. Tutti questi sono prodotti artificiali. Disgustoso!».[50] Tali osservazioni smentiscono l’immagine di Marx come sostenitore acritico dei moderni progressi tecnologici.
Fin dall’inizio del XIX secolo, le pecore New Leicester di Bakewell erano state portate in Irlanda, dove erano state allevate con pecore indigene per ottenere una nuova razza, la Roscommon, destinata ad aumentare la produttività agricola dell’Irlanda.[51] Marx era pienamente consapevole di questa modifica artificiale degli ecosistemi regionali ai fini dell’accumulazione del capitale, e la rifiutava nonostante il suo apparente “miglioramento” della produttività: la salute e il benessere degli animali venivano subordinati all’utilità del capitale. Così Marx chiarì nel 1865 che questo tipo di “progresso” in realtà non era affatto un progresso, perché poteva essere raggiunto solo annientando l’interazione metabolica sostenibile fra uomo e natura.
Quando Marx tornò sul tema dell’allevamento capitalistico nel secondo manoscritto del secondo libro del Capitale, lo trovò insostenibile per lo stesso motivo che aveva caratterizzato la forestazione capitalistica: il tempo di produzione era spesso semplicemente troppo lungo per il capitale. Qui Marx si riferisce a Political, Agricultural and Commercial Fallacies di William Walter Good (1866):
«Per questo motivo, ricordando che l’agricoltura è governata dai principi dell’economia politica, i vitelli che un tempo arrivavano a sud dalle contee da latte per essere allevati, sono ora in gran parte sacrificati a volte a una settimana e dieci giorni di età, nelle baracche di Birmingham, Manchester, Liverpool e altre grandi città vicine. … In risposta alle raccomandazioni per l’allevamento, questi piccoli uomini dicono: “Sappiamo bene che sarebbe conveniente allevare con il latte, ma prima dovremmo mettere le mani nel portafoglio, cosa che non possiamo fare, e poi dovremmo aspettare a lungo per avere un ritorno, invece di ottenerlo subito con l’allevamento di bestiame da latte”».[52]
Per quanto veloce diventi la crescita del bestiame, grazie a Bakewell e ad altri allevatori, essa non fa altro che accorciare i tempi della macellazione precoce a favore di una minore rotazione del capitale. Secondo Marx, anche questo non va considerato come “sviluppo” delle forze produttive, proprio perché può avvenire solo sacrificando la sostenibilità in nome del profitto a breve termine.
Tutti questi sono solo esempi trovati nei quaderni del 1868. All’epoca Marx era anche incuriosito da Coal Question (1865) di William Stanley Jevons, il cui avvertimento sull’imminente esaurimento delle riserve di carbone in Inghilterra provocò un’intensa discussione in Parlamento.[53] Senza dubbio, Marx studiava i libri sopra citati mentre preparava i manoscritti del Capitale, e continuò a farlo negli anni Settanta e Ottanta del XIX secolo. È quindi ragionevole concludere che Marx avesse intenzione di utilizzare questi nuovi materiali empirici per sviluppare questioni come la rotazione del capitale, la teoria della rendita e il saggio di profitto. In un passo, Marx scrive addirittura che la macellazione prematura causerà alla fine «grandi danni» alla produzione agricola.[54] Oppure, discutendone in un’altra sezione del manoscritto del 1867-68, che l’esaurimento dei suoli o delle miniere potrebbe anche arrivare a un punto tale che la «diminuzione della condizione naturale della produttività» nell’agricoltura e nell’industria estrattiva non potrebbe più essere controbilanciata dall’aumento della produttività del lavoro.[55]
Non sorprende che i calcoli di Marx sui saggi di profitto nel manoscritto includano quei casi in cui essi si abbassano a causa di aumenti di prezzo nelle parti “fluttuanti” del capitale costante, suggerendo che la legge della caduta tendenziale del saggio di profitto non dovrebbe essere trattata come una mera formula matematica. La sua dinamica reale è strettamente legata alle componenti materiali del capitale e non può essere trattata indipendentemente da esse.[56] In altre parole, la valorizzazione e l’accumulazione del capitale non è un movimento astratto di valore; il capitale è necessariamente incarnato in componenti materiali, assumendo inevitabilmente una «composizione organica» – locuzione tratta dalla Chimica agraria di Liebig – vincolata da elementi materiali concreti del processo lavorativo. Nonostante la sua elasticità, questa struttura organica del capitale non può essere modificata arbitrariamente, o fatta divergere troppo dal carattere materiale di ogni elemento naturale della produzione. In definitiva, il capitale non può ignorare il mondo naturale.
Questo non significa che un giorno il capitalismo crollerà inevitabilmente. Sfruttando appieno l’elasticità materiale, il capitale cerca sempre di superare i limiti attraverso l’innovazione scientifica e tecnologica. Il potenziale di adattamento del capitalismo è così grande che probabilmente potrà sopravvivere come sistema sociale dominante fino a quando la maggior parte delle zone della Terra non diventerà inadatta all’abitazione umana.[57] Come documentano i quaderni di scienze naturali di Marx, egli era particolarmente interessato a comprendere le fratture nel processo di interazione metabolica fra gli esseri umani e la natura che derivano dalle infinite trasformazioni del mondo materiale ai fini della efficace valorizzazione del capitale. Queste fratture metaboliche sono tanto più disastrose in quanto erodono le condizioni materiali per uno «sviluppo umano sostenibile».[58]
Marx comprese queste fratture come una manifestazione delle contraddizioni fondamentali del capitalismo e ritenne necessario studiarle attentamente come parte della costruzione di un movimento socialista radicale. Come illustrato in questo articolo, Marx era ben consapevole che la critica ecologica del capitalismo non era completata dalla teoria di Liebig e cercò di svilupparla ed estenderla attingendo a nuove ricerche in diverse aree dell’ecologia, dell’agricoltura e della botanica. La teoria economica ed ecologica di Marx non è affatto superata, ma rimane completamente aperta a nuove possibilità di integrare le conoscenze scientifiche naturali con la critica del capitalismo contemporaneo.
Note
* N.d.T. Saito, naturalmente, qui si riferisce a quella che comunemente viene chiamata la MEGA II, in fase di pubblicazione in Germania e Inghilterra, che sarebbe la prima vera edizione critica delle Opere complete di Marx ed Engels, da distinguere dalla MEGA I, l’edizione cioè a suo tempo pubblicata nel nostro paese da Editori Riuniti e ripubblicata più recentemente da altri editori.
** N.d.T. Con la locuzione «frattura nell’interazione metabolica» o più in breve «Frattura metabolica» nell’edizione della Penguin viene resa la perifrasi con cui Karl Marx traduceva il concetto di Stoffwechsel, come si legge più avanti, mutuato da Justus von Liebig: vale a dire, «una incolmabile frattura nel nesso del ricambio organico sociale prescritto dalle leggi naturali della vita» (Il capitale, Libro III); «la produzione capitalistica . . . turba il ricambio organico fra uomo e terra» (Il capitale, Libro I). Per limitarci solo a due citazioni.
[1] Si veda John Bellamy Foster, prefazione alla nuova edizione di Paul Burkett, Marx and Nature, Chicago, Haymarket, 2014.
[2] Il finanziamento e il supporto per il progetto MEGA sono stati ora prorogati per i prossimi quindici anni. Questo articolo si basa sulla mia ricerca come visiting scholar presso l’Accademia delle scienze di Berlino-Brandeburgo nel 2015. Sono particolarmente grato a Gerald Hubmann, per aver sostenuto il mio progetto sin dall’inizio.
[3] Paul Burkett e John Bellamy Foster, The Podolinsky Myth, «Historical Materialism» 16, n. 1, 2008, pp. 115-61.
[4] J .B. Foster, Marx’s Ecology: Materialism and Nature, New York, Monthly Review Press, 2000, cap. 4; Kohei Saito, The Emergence of Marx’s Critique of Modern Agriculture: Ecological Insights from His Excerpt Notebooks, «Monthly Review» 66, n. 5, ottobre 2014, pp. 25-46.
[5] Karl Marx e Friedrich Engels, Marx-Engels-Gesamtausgabe (MEGA) II, vol. 6, Berlino, De Gruyter, 1975, p. 409. Karl Marx, Il capitale, Libro primo, Ristampa anastatica della V ediz. (ottobre 1964): dicembre 1989, p. 551.
[6] John Bellamy Foster, Brett Clark e Richard York, The Ecological Rift, New York, Monthly Review Press, 2010, p. 7.
[7] MEGA II, vol. 5, p. 410.
[8] Carl-Erich Vollgraf, Introduzione a MEGA II, vol. 4.3, p. 461. È importante, tuttavia, notare che Marx aveva detto la stessa cosa in una lettera a Engels il 13 febbraio 1866. Si veda Karl Marx e Friedrich Engels, Collected Works, New York, International Publishers, 1975, vol. 42, p. 227. Karl Marx e Friedrich Engels, Opere complete, XLII, Roma, 1974, p. 193. Lì scrisse: «Dovevano essere compulsati i nuovi studi di chimica agraria in Germania, specialmente di Liebig e Schönbein, per questa materia più importanti che tutti gli economisti presi insieme».
[9] Karl Marx, Capital, vol. 1, Londra, Penguin, 1976, 638; corsivo aggiunto. [N.d.T. Nota 325, p. 552 dell’edizione indicata nella nota 5].
[10] L’introduzione di Liebig comprende una sezione chiamata Economia e agricoltura nazionale; Marx inizia i suoi brani con questa sezione, quindi torna all’inizio dell’introduzione.
[11] Wilhelm Roscher, System der Volkswirthschaft, 4a ed., vol. 2, Stoccarda, Cotta’scher, 1865, p. 66.
[12] Karl Marx e Friedrich Engels, Collected Works, vol. 42, pp. 507-8. Karl Marx e Friedrich Engels, Opere complete, XLIII, Roma, 1975, pp. 5-6.
[13] Si veda in particolare Karl Marx, Capital, vol. 3, Londra, Penguin, 1981, p. 878. Karl Marx, Il capitale, Libro terzo, Ristampa anastatica della IV edizione (novembre 1965), Roma, dicembre 1989, p. 852.
[14] Per una discussione introduttiva della teoria di Liebig, si veda William H. Brock, Justus von Liebig: The Chemical Gatekeeper, Cambridge, Cambridge University Press, 1997, cap. 6.
[15] John Bellamy Foster, Marx’s Ecology, op. cit., p. 153.
[16] Michael Perelman, The Comparative Sociology of Environmental Economics in the Works of Henry Carey and Karl Marx, «History of Economics Review» 36, 2002, pp. 85-110.
[17] Eugen Dühring, Carey’s Umwälzung der Volkswirthschaftslehre und Socialwissenschaft, Monaco di Baviera, Fleischmann, 1865, xiii.
[18] Eugen Dühring, Kritische Grundlegung der Volkswirthschaftslehre, Berlino, Eichhoff, 1866, p. 230.
[19] Eugen Dühring, Carey’s Umwälzung, op. cit., p. 67. Sebbene Dühring non usi questa espressione per caratterizzare la teoria di Liebig, Karl Arnd afferma che è infestata da un «fantasma dell’esaurimento del suolo». Vedi Karl Arnd, Agrikulturchemie und sein Gespenst der Bodenerschöpfung di Justus von Liebig, Francoforte sul Meno, Brönner, 1864.
[20] Justus von Liebig, Einleitung in die Naturgesetze des Feldbaues, Braunschweig, Friedrich Vieweg, 1862, p. 125.
[21] Sull’importanza di Anderson per l’intera argomentazione di Marx si veda J. B. Foster, Marx’s Ecology, op. cit., pp. 142-47.
[22] Liebig scrisse volutamente in termini provocatori nella speranza di ripristinare la sua fama professionale, e in tal senso la settima edizione ebbe un discreto successo. Si veda Mark R. Finlay, The Rehabilitation of an Agricultural Chemist: Justus von Liebig and the Seventh Edition, «Ambix» 38, n. 3, 1991, pp. 155-66.
[23] Eugen Dühring, Carey’s Umwälzung, op. cit., p. 67.
[24] Karl Marx e Friedrich Engels, Collected Works, vol. 43, p. 384. Karl Marx e Friedrich Engels, Opere complete, XLIII, op. cit., p. 433.
[25] Wilhelm Roscher, Nationalökonomie des Ackerbaues, p. 65.
[26] Archivio Marx-Engels (MEA), Istituto Internazionale di Storia Sociale, Sign. B 107, pp. 31-32. Albert Friedrich Lange, J. St. Mill’s Ansichten über die sociale Frage und die angebliche Umwälzung der Socialwissenschaft durch Carey, Duisburg, Falk & Lange, 1866, p. 197.
[27] Ibid., p. 203.
[28] MEGA IV, vol. 32, p. 42.
[29] Julius Au, Hilfsdüngermittel in ihrer volks- und privatwirtschaftlichen Bedeutung, Heidelberg, Verlagsbuchhandlung von Fr. Bassermann, 1869, p. 179.
[30] MEGA IV, vol. 32, p. 42.
[31] Karl Marx e Friedrich Engels, Collected Works, vol. 43, p. 527. [N.d.T. Qui Foster cita erroneamente una lettera di Marx a Ludwig Kugelmann del 27 luglio 1870 mentre in realtà si tratta di quella del 27 giugno dello stesso anno: Karl Marx e Friedrich Engels, Opere complete, XLIII, Roma, 1975, pp. 738-739].
[32] MEA, Sign. B 107, p. 13.
[33] Karl Fraas, Die Ackerbaukrisen und ihre Heilmittel, Lipsia, Brockhaus, 1866, p. 151.
[34] Charles Lyell, Principles of Geology, vol. 3, Londra, John Murray, 1832, p. 61.
[35] MEA, Sign. B 107, p. 94 ; Karl Fraas, Die Natur der Landwirthschaft , vol. 1, Monaco, Cotta’sche, 1857, p. 17.
[36] Karl Marx e Friedrich Engels, Collected Works, vol. 42, p. 559. Karl Marx e Friedrich Engels, Opere complete, XLIII, op. cit., p. 59.
[37] Karl Fraas, Natur der Landwirthschaft, vol. 1, op. cit., p. 357.
[38] Karl Marx e Friedrich Engels, Collected Works, vol. 42, p. 559. Karl Marx e Friedrich Engels, Opere complete, XLIII, op. cit., p. 59.
[39] Karl Fraas, Die Ackerbaukrisen und ihre Heilmittel, op. cit., p. 141.
[40] George Perkins Marsh, Man and Nature, Seattle, University of Washington Press, 2003, p. 14.
[41] MEA, Sign. B 112, 45. Karl Fraas, Klima und Pflanzenwelt in der Zeit: Ein Beitrag zur Geschichte beider, Landshut, J.G. Wölfle, 1847, p. 7.
[42] MEA, Sign. B 111, 1. John Devell Tuckett, A History of the Past and Present State of the Working Population, Londra, Longman, Brown, Green and Longmans, 1846, vol. 2, p. 402.
[
43] MEGA II, vol. 4.2, p. 670.
[44] Friedrich Kirchhof, Handbuch der landwirthschaftlichen Betriebslehre, Dessau, Moriz Ratz, 1852. Marx possedeva una copia di questo libro (MEGA IV, vol. 32, p. 673).
[45] MEGA II, vol. 11, p. 203; Karl Marx, Il capitale, vol. 2, Londra, Penguin, 1978, p. 322. Karl Marx, Il capitale, Libro secondo, Ristampa anastatica della III edizione (febbraio 1965), Roma, dicembre 1989, p. 255.
[46] Karl Marx e Friedrich Engels, Collected Works, vol. 6, p. 489. Karl Marx e Friedrich Engels, Opere complete, VI, Roma, 1973, p. 491.
[47] Michael Löwy, Globalization and Internationalism: How Up-to-date is the Communist Manifesto?, «Monthly Review» 50, n. 6, novembre 1998, p. 20.
[48] John Bellamy Foster, The Ecological Revolution, New York, Monthly Review Press, 2009, pp. 213-32.
[49] Léonce de Lavergne, Rural Economy of England, Scotland, and Ireland, Edimburgo, William Blackwood, 1855, pp. 19-20, 37-39.
[50] MEA, Sign. B 106, p. 209; William Walter Good, Political, Agricultural and Commerical Fallacies, Londra, Edward Stanford, 1866, pp. 11-12.
[51] Janet Vorwald Dohner, (a cura di), The Encyclopedia of Historic and Endangered Livestock and Poultry Breeds, New Haven, CT, Yale University Press, 2001, p. 121.
[52] Karl Marx e Friedrich Engels, MEGA II, vol. 11, op. cit., p. 188.
[53] MEA, Sign. B 128, p. 2.
[54] Karl Marx e Friedrich Engels, MEGA II, vol. 11, op. cit., p. 187.
[55] Karl Marx e Friedrich Engels, MEGA II, vol. 4.3, op. cit., p. 80.
[56] Per una trattazione più matematica della legge, si veda Michael Heinrich, An Introduction to the Three Volumes of Karl Marx’s Capital, New York, Monthly Review Press, 2012, cap. 7.
[57] Paul Burkett, Marx and Nature, op. cit., p. 192.
[58] John Bellamy Foster, The Great Capitalist Climateric, «Monthly Review» 67, n. 6, novembre 2015, p. 9.
Kohei Saito
Traduzione di Alessandro Cocuzza – Redazione di Antropocene.org
Fonte: Monthly Review, vol. 67, n. 9 (01.02.2016)
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