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I ragazzi dei palazzi scoprono come si fa

A seguire dall’articolo che avevamo pubblicato su ksatorino.it e su studaut.it, “Il ritorno delle periferie nelle lotte studentesche”,  molte sono state le conferme parziali riguardo all’entrata nelle lotte di un nuovo soggetto proveniente dagli istituti tecnici e professionali e dalle periferie che abbiamo letto nel percorso del movimento e nelle sue date cruciali.

Altrettanti se non di più sono i nodi irrisolti e quelli che si stanno aprendo col procedere del tempo.

Come avevamo sottolineato quello era un lavoro fluido, totalmente da integrare, da rileggere e da modificare. In questa prospettiva quindi cerchiamo di approfondire alcune novità che si sono date e di sporcarci le mani, sbagliando e rifacendo, o azzeccando e costruendo dentro il movimento nuovac onflittualità.

Innanzi tutto bisogna allargare il cerchio, su due punti di vista, uno geografico e uno socio-politico.

Riguardo all’aspetto geografico ciò che abbiamo notato in questi mesi è che l’entrata dentro le lotte studentesche di un soggetto compiutamente precario e altamente conflittuale, proveniente da un determinato spezzato sociale non si è verificato in un ambito solo italiano, ma su tutto il piano europeo dove non euromeditteraneo. Se in Francia e in Grecia questa rivolta giovanile si era già espressa con dei toni particolari, in paesi come la Spagna, l’Inghilterra e l’Italia si è data con una irruzione virulenta e per i molti inaspettata, ma leggibile dentro alcune delle linee di tendenza del movimento. Anche rispetto alle recenti rivolte nei paesi arabi la componente giovanile è ampia e radicata e assume su molti caratteri un linguaggio comune al nostro.

Cosa ci indica questo e in che direzione va? Perché gli studenti euromediterranei sembrano muoversi composti in una lotta sola (su ogni territorio con le proprie sfumature specifiche ovviamente), perché sembrano parlare un solo linguaggio, sembrano guardare alle stesse pratiche e agli stessi obbiettivi?

Al di là della retorica sull’unità secondo noi i fattori sono due della stessa entità, ma dislocati in un tempo diverso. L’aspetto più remoto riguarda la globalizzazione dei media e quindi la facile circolazione di un immaginario comune e radicale che passa attraverso la rete, i social network, i mezzi di comunicazione indipendente che sempre di più fioriscono nelle reti nazionali e internazionali. Quindi una riproducibilità delle lotte che si articola quasi in tempo reale in paesi diversi e su piani diversi. La generazione precaria attraversa la rete come uno strumento di cui riappropriarsi e da contro-utilizzare dentro e per il movimento.

Quello più prossimo riguarda sicuramente la crisi e la strategia di uscita da essa da parte capitalista. Una crisi realmente globalizzata e con effetti assestati su tutto il panorama mondiale a cui consegue una strategia di uscita da essa che almeno a livello europeo è composta da una ricetta comune tra tutte le nazioni. Una ricetta che parla di più precarietà e di meno garanzie per la classe lavoratrice.
A questo attacco generalizzato e globalizzato da parte capitalistica la risposta del movimento studentesco si è data a sua volta strumenti generali e condivisi. Strumenti che parlano direttamente di opposizione sociale e non solo di resistenza alle Riforme in corso.

E proprio qui stanno gli altri elementi di novità e contemporaneamente di conferma, quella Piazza del Popolo esplosa in un boato ci indica chiaramente quali essi siano. Chi ha attraversato quella piazza, chi ha vissuto quelle strade, chi ha visto la composizione del corteo e ha guardato in volto chi stava dentro quella fantastica battaglia ha notato come la propulsione più grande non sia venuta dalle soggettività di militanti politici, ma da gente comune. Il grosso di quella giornata non l’hanno fatto le realtà organizzate, ma quella incredibile complessità che per la prima volta si è espressa nella sua compiutezza.

Complessità composta fortemente anche da studenti delle scuole superiori, e tra questi su tutti i più partecipi e conflittuali proprio quelli entrati nelle lotte in questo ultimo autunno, proprio quei giovani delle periferie, dei tecnici e dei professionali che dopo decenni di mutismo tornano a gridare una rabbia diversa.

Sfogliando i siti, i giornali, le fanzine successive a questa giornata due parole erano ossessivamente ripetute: generazione precaria.

E queste due parole sono effettivamente la chiave da indagare e da leggere intelligentemente per capire cosa è successo in quella giornata e quali sono le frontiere a venire.

La precarietà come dato comune che collega i diversi spezzati sociali, i diversi comparti, i diversi ambiti che hanno attraversato il movimento, la precarietà come grimaldello del capitalismo per uscire dalla crisi, la precarietà anche come nuova identità di un soggetto che è immediatamente classe, che è immediatamente sociale e conflittuale.

La precarietà che diviene nell’identità del singolo primaria rispetto al ruolo che ricopre dentro il sistema produttivo, si è prima precari che lavoratori, prima precari che studenti, prima precari che individui con una vita riproduttiva che passa per il divertimento e per la crescita personale. Su vari livelli e con diverse sfumature, ma si è tutti prima precari. Identità del singolo che però si fa identificazione.

Essendo proprio questa la caratteristica dominante che scandisce la nostra epoca, noi dobbiamo essere capaci di indagarla, di leggerla, di analizzarla, di muoverla dentro e contro la nostra metropoli utilizzandola e invertendone la tendenza, vivendola ogni giorno nelle piazze e dentro i movimenti.

E i ragazzi dei palazzi stanno capendo come si fa…

(Anche questo articolo non è altro che parte di un percorso di spunti che è tutto da articolare e ridiscutere)

– da www.ksatorino.it

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