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Immaginare un contropercorso nelle scuole, partire dalle condizioni oggettive della lotta

Ci troviamo in una fase in cui le organizzazioni studentesche della politica anti-istituzionale da anni si muovono solo in un terreno tattico di risposta alle grandi dichiarazioni scandalose dei politici e dei padroni, molto spesso assumendole come punto di vista generale.

da KSA Torino

Il terreno della conoscenza dello stato di cose lo si assume dai giornali, l’ultima dichiarazione del ministro dell’istruzione diventa il programma a cui opporsi e si dimentica tutta la processualità di eventi che caratterizzano un periodo e la portata della fase storica che stiamo vivendo.

Si finisce spesso per prendere come dimensione generale qualsiasi evento che si dà localmente rendendolo legge generale dello sviluppo e dell’innovazione dei processi capitalistici, dimenticandosi di una fase che costruisce una tendenza, ovviamente con sbalzi e imprevedibilità. Se andiamo avanti così rimarremo condannati a non riuscire a costruire un intervento di lungo respiro, in una dimensione in cui non sappiamo leggere la composizione in evoluzione e il piano del capitale sul mondo della scuola pubblica a livello europeo e Italiano.

In una contesto di omogenizzazione delle condizioni sociali che la guerra impone vogliamo provare a ricostruire una dialettica che sappia confrontarsi con la classe, costruendo un programma che possa rapportarsi con una progettualità di opposizione alla guerra, e di proposta che sappia ricomporre su questa un tentativo di mettere in discussione l’attuale sistema di cose.

La dinamica che vede le organizzazioni studentesche provare la corsa a chi si accaparra più militanti o il merito di alcune lotte spontanee ci interroga su se questi abbiano capito veramente la posta in gioco di questa determinata fase storica, la quale non si determina solo nel gioco di poche piccole avanguardie che rappresentano solo se stesse.

Al contrario, si tratta di rimettere al centro il tema della classe nelle sue varie articolazioni e i bisogni oggettivi degli strati avanzati che oggi lottano o mostrano delle resistenze a queste accelerazioni dovute alla guerra, le quali provocheranno nel breve periodo una macelleria sociale.

Ma andiamo sul politico della questione nelle scuole.

Come ogni innovazione capitalistica, nella scuola si crea un miscuglio tra le nuove articolazioni istituzionali dello sfruttamento e della riproduzione di capacità lavorative in contrasto con le vetuste rigidità che rimangono a discapito della crisi.

Questa distensione crea delle crepe, per noi non si tratta né di favorire l’innovazione né di rivendicare che le cose rimangano come nel passato, bisogna entrare nelle spaccature e nelle contraddizioni scoperte e dare battaglia là dove il nemico ci lascia l’iniziativa. Anticipando e curvando.

Come dimensioni innovative riteniamo siano tre i denominatori che vediamo come terreno ipotetico di scontro:

  • Annullamento della facciata democratica della scuola, sia nel rapporto docenti-alunni che nel rapporto dirigenti-docenti
  • Internalizzazione al circuito produttivo della guerra, in termini tecnici, di disponibilità materiale all’arruolamento, di propaganda bellicista.
  • Industrializzazione ulteriore della scuola declinato con l’impoverimento assoluto della formazione e dei programmi scolastici, basati sempre di più sulla settorializzazione dello sguardo sulla realtà e sulla quantità di informazioni da memorizzare e non sulla capacità di collegamento e di critica.

Andrebbe poi elaborata un’inchiesta su cos’è oggi la composizione studentesca in relazione alle nuove forme di alienazione digitale che catturano immediatamente la maggior parte delle emersioni spontanee di rifiuto della guerra, e di come sia in atto su questa una ulteriore fase di macchinizzazione di molti processi soggettivi ancora non sussunti. Il tutto considerando ciò come ulteriore innovazione dei processi che rendono disponibili nuove forme di arruolamento degli esseri umani per la guerra.

Delle forme minime di rifiuto stanno iniziando ad emergere come dimensioni omogenee soprattutto nel settore degli istituti tecnici in cui il disciplinamento della forza lavoro più immediata e sostituibile si fa sempre più violento, passando per l’annullamento totale di qualsiasi possibilità di dissenso e per il direzionamento che viene dato al PCTO, sempre più pervasivo e verso scopi direttamente produttivi e bellicisti.

All’interno dei licei vediamo come la propaganda bellicista passi attraverso programmi di educazione civica sempre più indirizzati al coordinamento plastico di situazioni direttamente legati all’industria militare, ultimo esempio all’ Einstein in cui durante un’ora bisognava scegliere assieme a un maresciallo dei carabinieri se bombardare o non bombardare dei target in base a come si presentavano.

Riprendendo il discorso che facevamo sul non vedere solo le voci dei padroni nel costruire un programma pensiamo che questa omogenizzazione sia indicativa di come se pur prendendo distanze formali, la funzione di queste due articolazioni (licei-tecnici/professionali) della stessa istituzione converga sempre di più verso un’industria direttamente produttiva e riproduttiva delle condizioni materiali a reggere una guerra, e qui vogliamo che lo scontro sia al massimo delle nostre possibilità per costruire una contro-proposta.

Oggi nelle scuole molto spesso non esiste una proposta dai collettivi che vada oltre “l’essere contro”. Per noi già vuol dire molto ma va articolata su un terreno pratico di possibilità per far sì che tocchi i bisogni oggettivi degli studenti.

Il nodo centrale è come fare in modo che l’adesione e il rifiuto all’interno di un percorso contro la guerra riesca a negare la condizione operaia dello studente, costruendo forme di autonomia e di rottura.

Proviamo a favorire delle ipotesi che hanno fondamenti minimi di verifica su un terreno pratico e che sono da esplorare se si vuole affrontare la questione.

Considerando la questione del bisogno minimo di uno studente/ssa di liberare il proprio tempo dal lavoro e dallo studio, bisogna tracciare dei percorsi che sappiano costruire dimensioni in cui si attui una contro-formazione e narrativa alla propaganda bellicista in primis, e dare possibilità di valorizzazione sul terreno della vita delle persone per garantire una militanza che duri nel tempo e che possa pagare in termini di qualità della vita, già ora nella rottura:

  1. Serve considerare di mettere in campo da ogni singolo collettivo scolastico la possibilità di costruire delle dimensioni gratuite di ripetizioni, come gruppi di studio, in cui provare a sopperire alle mancanze e povertà del sistema scolastico che vede la conoscenza come dei mattoncini e delle merci da distribuire, ma al contrario costruire delle analisi dei programmi che permettano sia di costruire la possibilità di chi non può permettersi di pagare un docente di privato di formarsi e avere la gratuità del servizio, sia di approfondire in un’ottica più complessiva e legata alla realtà e alla politica tutto ciò che si studia.
    Questo permetterebbe di costruire reti tra studenti, creare dimensioni di dibattito e di contro formazione e di permettere a ognuno/a di contestare l’attuale modo di formazione sempre più industrializzato. Ipotizziamo la prossima proletarizzazione assoluta della figura di studente e su questa va esplicitata, come terreno di ricomposizione, la nuova funzione esplicita macro-distruttiva che la formazione assume.
  2. Il sabotaggio delle ore di alternanza scuola lavoro, il tutto inserito in un contesto di consenso da parte degli studenti, per inceppare sul campo l’erogazione di lavoro direttamente produttivo di valore e la riproduzione del rapporto sociale capitalistico, magari mettendo in mezzo al rifiuto pure delle dimensioni di protesta espliciti o di contro-formazione. 
    Il tutto ovviamente va progettato in una fase di restringimento dell’agibilità politica all’interno delle scuole ma le condizioni sono favorevoli su questo terreno della guerra anche per costruire delle risposte organizzate, in caso di repressione, nei termini di una rigidità generale e solidarietà su dei livelli cittadini di mobilitazione.
  1. Costruire forme di controllo studentesco sui programmi formativi della scuola, liberare dal controllo istituzionale i momenti di educazione civica costruendo immediatamente momenti di contro-formazione, interrompere le lezioni e costruire conflittualità all’interno delle aule. Costruire delle forme organizzative che si occupino di studiare anticipando tutte gli eventi e i programmi di educazione civica e dell’alternanza scuola-lavoro. Il tutto andrebbe costruito tramite dei rapporti di forza interni ma se il radicamento tramite i due punti precendenti riesce nei termini di dimensioni generalizzate di potere dovrebbe risultare questo come obiettivo minimo.

In questo senso pensiamo che la centralità sia ora strategica dei collettivi, che riescano ad imporre alle situazioni tattiche di avanguardie cittadine le scadenze per la lotta generalizzata contro la guerra. 

Lasciamo le corse all’autoreferenzialità a chi vuole continuare a giocare su quel piano lì, ora è il tempo di costruire proposte e rivalutare il significato della dialettica storica e della conricerca all’interno dei contesti.

Ci si vede nelle scuole e nelle strade di Torino!

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