Il “partito di opposizione”: la Cgil e il 4 aprile
 I numeri sono stati notevoli -anche se più da testimonianza di dignità  che da resistenza vera e propria- così come lo sforzo organizzativo che  ha mobilitato la base sindacale “larga” ma non molti giovani, mentre non  sembra essersi mossa quell’”eccedenza” che si è riversata nelle strade  lo scorso autunno. Di fronte a questa piazza il discorso di Epifani  non si può dire sia stato entusiasmante e di rilancio di una battaglia  più ampia. “Per affrontare la crisi si deve stare insieme” ha detto  riferendosi al sindacato confederale dopo che la scelta di Cisl e Uil è  quanto mai cristallina nel trasformare, e conservare così, gli apparati  sindacali come organi direttamente parastatali e filo-imprese. La Cgil  vuole “un tavolo vero di confronto” col governo a fronte di misure  sbagliate o insufficienti al rilancio dell’economia, e nel merito  propone ricette -ancorché sacrosante- poco realistiche nella situazione  data come il blocco dei licenziamenti o misure applicabili solo a  limitate categorie di lavoratori (quanti?!) come l’allungamento della  cig.
 Soprattutto, ed è il dato forse più negativo, scarse o nulle sono state  le aperture sulla specificità della situazione dei precari e dei  giovani, sulla necessità di un nuovo welfare universalistico e  sull’urgenza di sostegno al reddito non in salsa assistenzialista in  grado di tener conto della mutata composizione dei lavori e insieme di  sottrarre ai fans del mercato un’insidiosa arma “giovanilista” di non  poco conto. Ritardi, questi della Cgil, tanto più gravi dopo un movimento come l’Onda le cui istanze per la Cgil non sembrano mai  essere esistite (a parte l’intervento in scaletta dello studente di  turno). Quasi che i “genitori” in piazza pensino aggrappandosi al  vecchio di difendere così i “figli” – mentre questi con una dose di  opportunismo familista che fa di necessità virtù giocano anche loro in  difesa e faticano a far sentire le nuove esigenze. Ed è fuori luogo qui  l’argomento fisco da sempre accampato dal sindacato (ovvero: chi  pagherebbe le misure di sostegno al reddito con questo iniquo sistema  fiscale all’italiana se non di nuovo gli stessi lavoratori dipendenti?)  che a questo punto diventa una vera e propria scusa difensiva per non  provare nemmeno a cambiare approccio. Sia chiaro, il punto non è solo  che si manca un risvolto importante dell’attuale “questione salariale”  ma ancor più che in questo modo non è possibile alcun ponte coi  movimenti recenti e soprattutto futuri se è vero che la ricostruzione  delle relazioni sociali devastate dal mercato -il nodo cruciale della  riproduzione sociale dietro la questione welfare- è la base ineludibile  di una resistenza nella crisi e della stessa possibilità di qui in  avanti di “fare sindacato” ben oltre il posto di lavoro.
Ma c’è un risvolto più ambiguo che va oltre lo iato cui siamo tutti un po’ abituati tra moderazione sindacale e urgenze della situazione. Per coglierlo va prestata attenzione alla reazione di Berlusconi alla richiesta di un tavolo di confronto. Non c’è stato un no secco alla Cgil come in altre occasioni, almeno nei contenuti (fino a ventilare la rinuncia a qualche grande opera in cambio evidentemente della pace sociale), anche se resta fermo l’obiettivo governativo di destrutturazione di quel che rimane della sinistra. Il punto è che il Berlusca è tornato dal tour europeo con maggior cognizione della portata della crisi globale e delle difficoltà a varare strategie efficaci e, insieme, più spaventato non di quello che accade in Italia ma del possibile effetto contagio a date condizioni di certi, anche se al momento minoritari, esempi (sequestri di manager in Francia, attacchi alla banche a Londra). Nel qual caso una forza sindacale-politica “responsabile” con il suo peso (quale la Cgil, e non certo Cisl e Uil) può ancora svolgere una funzione contenitrice che il governo sarebbe ben disposto a sfruttare. Nel discorso di Epifani è risuonata una candidatura in questa direzione: richiamare la “politica” al rischio di sommovimenti che, prima o poi, la crisi potrebbe scatenare e che la Cgil può cercare di contenere in un quadro in ultima istanza concertativo, a condizioni che le si riconosca il ruolo (pur sempre di opposizione) ma anche qualcosa di concreto per una parte almeno dei lavoratori.
Per intanto la riuscita numerica della manifestazione potrebbe ritardare per un po’ le spinte interne alla Cgil di assimilazione al percorso di Cisl e Uil tralatro ridando fiato (ma quanto?) alla Fiom. Non è un risultato da buttar via. Ma se la crisi dovesse approfondirsi nei suoi risvolti sociali, possiamo aspettarci da un lato la scomposizione del quadro sociale politico e territoriale lungo linee di frammentazione veramente inedite, dall’altro episodi di resistenza che fuoriescono dal vecchio quadro concertativo. E allora si tratterà di vedere se matureranno differenti passaggi, non certo ai vertici e ai quadri intermedi (spesso ancora più ciechi dei primi), ma in una parte almeno di quei settori che oggi ancora sentono la motivazione a manifestare pur con la testa rivolta al passato. E se emergerà in qualche modo la percezione che non si può affrontare la situazione presente con gli strumenti di una volta anche solo nell’esigere che la crisi la paghino altri, quelli che l’hanno causata. L’essenziale sono i soggetti, e non questa o quella sigla, per quello che oggi sono in vista di quello che nella katastrophé possono diventare. E la crisi accelera di molto i percorsi, in un senso o in un altro…
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