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Intervista ad Atlantide tra ddl Cirinnà e spazi di movimento

Partiremmo da uno degli slogan più utilizzati da voi verso la manifestazione del 21, “Molto più di Cirinnà”. Questo per aprire subito il discorso che riguarda una delle principali questioni che motivano la piazza oltre la vicenda di Atlantide, cioè la presa di posizione rispetto all’appena approvata legge “sulle unioni civili” in Parlamento. Vorremmo innanzitutto chiedere un commento sul ddl, partendo da quali sono i temi che trovate centrali non solo per come la legge li ha affrontati, ma anche per come potranno tornare tema di battaglia nei prossimi tempi.

Per noi questa legge è parziale, frutto di un compromesso al ribasso, la cui approvazione chiude senza dubbio una fase di egemonia tenuta da parte del movimento lgbt più mainstream, che ha insistito negli anni in maniera forte sul piano giuridico, sul piano della rappresentanza e della delega ai partiti di un cambiamento giurisprudenziale basato sul discorso dell’uguaglianza di diritti. Ovviamente chiude in maniera contraddittoria, dato che è una legge difficilmente rivendicabile per chiunque, se non per il governo Renzi che la usa e la userà come una forma di copertura di altre politiche, come una pratica di pinkwashing rispetto al resto delle politiche antisociali che attua in campo lavorativo e sociale. Il movimento lgbt è al palo e deve in qualche modo accettare questo compromesso al ribasso.

Dall’altra parte però la legge apre, sgombrando il campo da questa presunta priorità del discorso dell’istituzionalizzazione e crediamo che troverà lo scontento e il protagonismo di tutta quella parte del movimento lgbt e delle soggettività diffuse che da tempo reclamano diritti non unicamente riconducibili alla questione delle coppie. Per noi “molto più di Cirinnà” significa affermare in primo luogo che i legami affettivi non sono solo legami di coppia, e quindi mettere enfasi sulle reti mutualistiche, sociali, solidali che si danno dentro la precarietà e dentro il percorso compiuto dal movimento queer negli ultimi anni. E’ paradossale che si riconosca lo spazio privato intimo e domestico senza invece riconoscere la dimensione collettiva e sociale dell’affettività diffusa.

Il secondo punto è che i diritti non sono solo riconoscimento simbolico e parificazione alla coppia etero, ma sono anche diritti sociali, economici e quindi esigibili in forma collettiva e non relativa al diritto privato delle coppie. Le nostre rivendicazioni riguardano reddito, welfare, intesi però in relazione ai bisogni che nascono nelle soggettività diffuse; si vuole in qualche modo la riaffermazione di una molteplicità di forme di vita che non sono riconducibili a quelle forme di vita unicamente eterosessuali che tralaltro neanche gli stessi eterosessuali sono portati a performare.

Va detto che la legge, anche per il risalto avuto sui media, ha in un modo o nell’altro portato alla ribalta un dibattito spesso fuorviante e pericoloso, che ha messo spesso luci d’ombra sui reali temi toccati e oscurato come ovvio le posizioni più critiche.

L’approvazione del ddl sulle unioni civili ha registrato reazioni piuttosto tiepide da parte del movimento lgbt mainstream. Unica eccezione la testata online gay.it che per l’occasione ha realizzato un video, ripercorrendo gli innumerevoli tentativi di far approvare una legge che regolamentasse le unioni tra persone dello stesso sesso e celebrando il governo Renzi. Lo stesso gestore della testata è stato chiamato nello staff di Renzi, in un chiaro sforzo governativo di pinkwashing ai fini della propria legittimazione politica.

Tante soggettività mainstream sono state negli anni oggetto di cooptazione dalle istituzioni; nel video peraltro si parla di Paola Concia esaltando la sua capacità di aver levato alla “sinistra” un tema storicamente legato a lei per riuscire ad allargare la battaglia anche alla “destra”. Per noi è preoccupante, dato che siamo pienamente attivi in una pratica politica intersezionale che tenga insieme il diritto a sposarsi (che peraltro non è mai stata una priorità dell’agenda queer) con il posizionamento politico chiaro sul tema dei diritti e della classe. Per noi c’è una frattura che va allargandosi tra il movimento lgbt istituzionale e il movimento queer, dove le priorità politiche sono sempre più divergenti.

In questo contesto si inserisce l’esperimento bolognese della Favolosa Coalizione, network delle più importanti realtà lgbt, femministe e queer cittadine, nato per rispondere alla crociata no-gender delle Sentinelle in piedi e agli attacchi sempre più violenti all’autodeterminazione di froce, lesbiche, donne e trans* da parte del mondo cattolico oltranzista. Rifiutando un mansueto mimetismo dell’ordine eteropatricarcale, abbiamo rivendicato la legittimità di tutte le forme di affetto, solidarietà e cura che eccedono la coppia e che qualsiasi forma di riconoscimento giuridico non può essere sganciata dai diritti sociali ed economici, dal diritto alla casa e alla salute.

E’ evidente che questa bagarre sulla Cirinnà è anche legata alla vicina tornata elettorale, e quindi non affronteremo troppo nello specifico questo nodo lapalissiano. Interessa di più ragionare sulle sfide che ora si vanno ad aprire, a partire dal ragionamento che questo ddl normalizza e crea nuove forme di esclusione. Non c’è la paura che questo risultato possa portare a nuove forme di anestetizzazione del conflitto sul tema dei corpi, oltre che (speriamo) a spingere le soggettività diffuse di cui parlavate di rimettere in discussione il proprio approccio verso la questione di genere verso una lotta che comprenda con più forza al suo interno il tema della questione di classe nella sua complessità, andando oltre uno sguardo settoriale?

Sicuramente da questo momento in poi è ancora più importante connettere in modo intersezionale le lotte, cogliendo ed esplicitando i nessi che esistono tra le varie forme e figure dello sfruttamento. Bologna è ad esempio un punto privilegiato di osservazione rispetto a questo tema, qui si è costituita da parte delle istituzioni una forma ambivalente di avvicinamento alle soggettività, attraverso una retorica gay-friendly molto ambigua e dove sono evidenti i limiti di questa inclusione selettiva di una parte del movimento lgbt. Per noi lo sgombero di Atlantide è stato esattamente una cartina di tornasole di questo: ci si ammanta di una retorica filo-riconoscimento ma le forme conflittuali non compatibili vengono comunque attaccate politicamente.

Dislocare le lotte in prospettiva queer all’interno delle lotte intersezionali fa paura, è un elemento centrale e dal nostro punto di vista c’è stata una maturazione complessiva dei movimenti, che hanno riconosciuto la concatenazione tra le varie lotte, la necessità di riconnetterle è urgente e condivisa. In questo senso noi immaginiamo anche la piazza del 21 maggio, dove possano confluire tutte le esperienze di lotta cittadine a partire dalle istanze poste dal movimento transfemminista queer, per arrivare alle necessità che esprime il movimento di lotta sull’abitare, sulla salute, sull’istruzione.

Come intendete esprimervi a livello comunicativo rispetto alle problematiche aperte da chi rivendicherà gli effetti positivi di quella legge, cosa che sembra un tema abbastanza scivoloso?

Dire di valere “molto più di Cirinnà” di significa anche capire che i micro-spostamenti sulle vite lgbt non sono sicuramente inesistenti. Ci sarà un effetto riformatore ma noi crediamo che presto ci si accorgerà in maniera evidente anche dei limiti: c’è riconoscimento ma non è pieno, ci sono forme d’istituzionalizzazione particolarmente dubbie… Noi comunque crediamo che non sia da attaccare questa legge in maniera frontale rispetto ai bisogni e i desideri del soggetto; crediamo che chi voglia “usarla”, chi ha bisogno delle sue prescrizioni è libero di farlo, di goderne i vantaggi presunti e reali che siano.

Bisogna però tenere un piano critico, di prospettiva, sottolineando come la contrapposizione del passato era relativa anche all’immaginario proposto: la parte mainstream proponeva un immaginario come quello relativo al matrimonio che non era neanche incarnato nelle figure stesse della lotta, le coppie gay per il matrimonio neanche esistevano, non era una battaglia delle soggettività. Era però più facile scegliere il piano della normalizzazione: noi non siamo di questo avviso, anche se rispettiamo il fatto che i desideri essendo comunque prodotti culturalmente vadano poi espressi come si vuole dal soggetto.

Non bisogna contrapporsi a chi si sposerà, resta il fatto e il sospetto che tutta una serie di istituti estesi alle coppie omosessuali saranno di fatto poi svuotati di significato. Basti pensare al tema della reversibilità della pensione, che è un diritto fondamentale e che infatti alcuni partiti volevano eliminare dalla bozza di legge. Che senso ha questo istituto in un contesto in cui c’è una totale polverizzazione dei diritti sul lavoro? E’ un discorso puramente simbolico..se il problema è soltanto il riconoscimento, senza alcuna ricaduta sulla materialità delle vite, che senso ha questa legge? Festeggerà il PD o chi aveva soltanto il piano del riconoscimento come obiettivo, però di fatto il ddl ha una incidenza reale sulle vite davvero minima, dato che il punto fondamentale della legge, come la stepchild adoption di cui si è tanto parlato, è stato casualmente stralciato. Stiamo parlando di una legge al ribasso, di una presa in giro.

Proprio il tema della stepchild adoption ha avuto un risalto notevole sui media, diventando per la sua importanza un tema iper-dibattuto e capace però contemporaneamente di oscurare tutti gli altri ragionamenti e i campi di battaglia riferibili a questa legge.

Intorno al dibattito sulla stepchild adoption – unico punto della legge che, insieme all’obbligo di fedeltà, è stato stralciato dalla formulazione definitiva della legge – sono state mobilitate le peggiori retoriche omofobe. Preoccupante è il fatto che in questa campagna contro la genitorialità non eterosessuale siano stati usati i corpi delle donne e il diritto all’autodeterminazione riproduttiva, evocando la complessa questione della surrogancy – il cosidetto “utero in affitto”. Si è mobilitata una retorica femminista in chiave omofoba, rivendicando la tutela della maternità della donna contro l’approvazione di questa legge, che in realtà neanche entra nel merito della complessa questione GPA. Infatti si sarebbe soltanto riconosciuto quello che già esiste senza discutere dei pro e dei contro di una pratica come quella della surrogacy, la quale aldilà delle sue problematicità crediamo vada considerata all’interno di un atteggiamento che vede nella totale autodeterminazione del soggetto la stella polare di un agire politico su questi temi. Lo spettro principale è proprio quello della parentela, della riproduzione sia biologica che sociale, un nesso poco colto dato che c’è un muro trasversale eretto contro il muro dell’omogenitorialità che nasconde la paura eterosessuale, patriarcale e un deficit totale di immaginario rispetto al nesso tra tecnologie attuali e tecniche di riproduzione sociali.

Forse questo è il punto di blocco principale: come si trasmette la proprietà, il potere, le generazioni al di fuori delle forme classiche dell’eterosessualità della famiglia “normale”. Si è attaccata in questo senso l’omogenitorialità, e questo apre un problema che implica anche la diffusione di nuove forme di immaginario rispetto alla società, rivendicando altre modalità e forme di vita che non necessariamente passano per la riproduzione biologica, in cui bisogna ripensare e riappropriarsi anche dell’idea sulle proprie età, rompendo il nesso assassino che lega patriarcato e capitalismo. La coppia omosessuale può comunque benissimo rientrare dentro questo patto all’insegna del neoliberalismo, quindi bisogna ragionare sulla questione di classe rispetto anche all’usufrutto di questa legge, sulla questione anche dei patrimoni che si riescono a regolare con il matrimonio e cosi via.

Qualche giorno fa uno dei candidati a sindaco di Roma, Alfio Marchini, ha ammesso che in caso di vittoria alle elezioni non celebrerà le unioni civili. Dietro questa dichiarazione non vedete l’utilizzo di un altro dispostivi, che aldilà dell’istituzionalizzazione continuerà ad agire nella direzione di far comunque apparire come deviante, anormale, problematico il fatto di potersi concepire in una relazione oltre l’eterosessualità obbligatoria? Un tentativo di svuotare poi nella materialità dei comportamenti e della pratica istituzionale quegli stessi diritti per quelle vie conquistati..per quanto azzardato, basti pensare allo iato tra referendum vinto sull’acqua e la sua (non)applicazione per capire quanto poi anche un primo successo può perdere di efficacia con molta rapidità…

E’ esattamente così, ci sono molti casi in Europa che mostrano come le lotte lgbt non possano fermarsi all’approvazione di una legge. Esistono gli esempi di stati come l’Ungheria, che avevano leggi che sancivano il matrimonio gay poi bandite per modifica costituzionale, o la Croazia dove si è tenuto un referendum che ha vietato l’inserimento nella costituzione dell’approvazione dei matrimoni gay. Ci troviamo di fronte a un qualcosa che deve essere sostenuto dalle lotte dal basso, non abbandonato a sé stesso e alla sua irrilevanza sostanziale.

Andiamo sul corteo del 21 di Bologna. Vi chiediamo una presentazione, una genealogia delle vicende che hanno portato fino a qui, sin dallo sgombero di Atlantide dello scorso ottobre.

Si intrecciano diversi temi: iniziamo dal campo locale dello sgombero di Atlantide, una ferita aperta per la città che è stato anche il primo esempio di una serie continua di sgomberi che hanno preso carne nei mesi successivi. Abbiamo deciso di dare una risposta forte che fosse però figlia anche di un percorso di relazione con chi in città pratica anch’esso forme di autogestione, di occupazione e in generale di lotta per i diritti. Allo stesso tempo volevamo generare un discorso capace di porre la questione dell’organizzazione collettiva delle resistenze sui bisogni, sui saperi, sul reddito nate in città a partire dall’impoverimento generale.

Si lega bene a questo discorso il percorso del Sommovimento NazioAnale che sin dal 2012 raccoglie realtà di tantissime città e ha messo a fuoco una serie di questioni, condividendo una lettura comune su temi ampi come le relazioni, l’affettività, il lavoro, il non-lavoro, la salute, la critica alla delega..tutti temi oggetto di un percorso di costruzione della rete e che hanno costruito i primi momenti divisibilità sui territori. Speriamo che si possa dare da Bologna un contributo sul tema del rapporto tra movimenti e istituzioni, sul tema della circolazione delle lotte, sul tema della sperimentazione di nuovi rapporti politici.

In città i nervi sono davvero scoperti, la questione Atlantide è stata paradigmatica rispetto a tanti processi e meccanismi di potere che stanno emergendo; le polemiche di questi giorni danno forza, visibilità e responsabilità alla piazza del 21, dove vogliamo dimostrare una capacità di autogestione che risponda agli attacchi subiti dai movimenti in generale. Posta in gioco è ribadire la necessità di conquistare un rapporto di forza migliore per le soggettività incompatibili a questi processi. Abbiamo costruito una “Dichiarazione di Indipendenza” che possa essere un manifesto capace di rifarsi ad un tema dell’Utopia da sempre agito dai movimenti femministi e gay/lesbico, un manifesto in grado di tenere insieme vari piani di lotta e potenzialmente riappropriabile poiché ambiguo e declinabile da chiunque nelle proprie pratiche di lotta.

In questo assume sempre più valore anche il tema dello sfruttamento multiplo che avviene sui corpi delle figure più deboli della società, basti pensare ad esempio al tema dei migranti che nell’epoca dei muri che si innalzano sempre più spesso sono vittime di attacchi sociali e politici anche su terreni che esondano dal tema della migrazione, come ad esempio il ricatto lavorativo..

Ci sono due questioni: la prima riguarda la valorizzazione delle soggettività lgbt all’interno delle logiche capitalistiche, la seconda è un discorso sulla civiltà. Quest’ultimo ci sembra centrale, la retorica della civiltà è una trappola dove il movimento lgbt è caduto molte volte: in quelle retoriche si trovano dispositivi di oppressione soprattutto sui migranti. Noi diciamo civiltà per rappresentarci come Occidente bianco civilizzato che insegni agli altri come comportarsi, questa è una retorica che va letta a partire dai testi di autori come Spivak.

Sulla questione del lavoro, ci sembra importante sottolineare che il riconoscimento delle soggettività lgbt parla attraverso la valorizzazione di soggetti che- circondati dalle spinte omofobiche cattoliche da un lato e dal capitalismo dall’altro – sono spinti ad essere sfruttati, brandizzati, targetizzati in forme non riconosciute/retribuite a livello economico. Ci sono dispositivi di sfruttamento multipli che l’approccio intersezionale deve saper affrontare in un’unica prospettiva, anche attraverso dal punto di vista della performatività. Bisogna smontare sia le retoriche sul versante lgbt, sia porre la questione del genere della razza in un piano più omogeneo, tendente a riconoscere la necessità di vedere in maniera universale i processi complessi che un movimento deve riuscire a cogliere nei suoi intrecci più profondi per poterli combattere al meglio.

Ci sono gay lesbiche trans migranti che hanno ad esempio il problema sia dello smarcamento dalla comunità di provenienza anche il problema dell’atterraggio e del riconoscimento in quella di arrivo, nelle forme dell’omofobia imposta anche da come sono strutturati i campi di accoglienza oltre che i dispositivi di approccio omofobo di chi è lì per “aiutare” il migrante e così via. Queste sono questioni che poi si possono riprodurre anche nelle occupazioni abitative, nelle varie pratiche di autogestione. Essere intersezionali significa rimanere posizionati nelle proprie soggettività per comunicare con le altre soggettività senza emergere come predominanti, ma cogliendo le relazioni agenti tra tutte in ottica del potenziamento delle lotte.

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