InfoAut
Immagine di copertina per il post

La guerra finanziaria in Libia

Un buon articolo – cui fa seguito uno serie di dati raccolti dall’autore e una nostra intervista sui punti salienti del suo contributo – che allarga lo sguardo sul nuovo conflitto “umanitario”, invitandoci a guardare oltre le apparenze. Se il petrolio, il gas e il posizionamento geo-strategico contano – ci dice Fumagalli –  non meno condizionanti sono le ragioni “finanziarie” della crisi. Se la Finanza è oggi il macro-codice che regola e sussume, a livello globale, l’intero ciclo di produzione e riproduzione della vita, la guerra contro Gheddafi (non un arretrato beduino nemico dell’Occidente ma un attore di primo piano nei mercati finanziari globali, a partire dalle sue partecipazioni in Fiat, Unicredit e Juventus Calcio) è allora anche e soprattutto una guerra condotta dalla e per la finanza.


Ascolta l’intervista con Andrea Fumagalli

{mp3remote}http://dl.dropbox.com/u/20733097/fuma_libia.mp3{/mp3remote}

Leggendo i commenti economici e politici sulla stampa nazionale e internazionale, il riferimento al ruolo strategico della Libia nell’estrazione e nell’esportazione del petrolio non manca mai. E’ una delle chiavi di volta per analizzare e commentare, sia in termini critici che in termini positivi, il recente intervento militare occidentale. Che il tema del petrolio e del controllo non solo delle fonti energetiche ma anche dei flussi sia importante non può essere negato. Al riguardo, è interessante notare come le rivolte che si sono sviluppate nel Bahrain abbiamo lasciato più o meno indifferente l’Occidente, demandando all’Arabia Saudita il compito di controllarle (e reprimerle, così come in Yemen). Come ricordato dal Financial Times il 25 febbraio scorso,  nel Bahrain vi sono i terminali del flusso di greggio saudita per una quota pari al 18% dell’intera produzione. Mettere le mani su tale flusso (comunque già in parte sotto il controllo saudita-americano) significa condizionare l’export di petrolio verso i mercati del Sud-est asiatico (Cindia), e si sa bene come la dipendenza da petrolio sia uno dei colli di bottiglia nevralgici che può condizionare l’economia cinese (la guerra in Irak e in Afghanistan ha soprattutto questo obiettivo strategico). Eppure non sembra che le principali nazioni dell’”Impero di Occidente” vogliamo approfittare dell’instabilità che si è creata in quell’area per rinserrare e affinare un’arma geoeconomica sicuramente rilevante nella competizione tra Usa e Cina.

Invece, apparentemente senza una logica di immediata comprensione, la testa occidentale del bicefalo Impero, neanche sei ore dopo il placet dell’Onu, ha cominciato a bombardare selvaggiamente la Libia di Gheddafi[1]. Come ricordato da Christian Marazzi in un articolo su questo sito, apparso il 28 febbraio scorso, dal titolo Maghreb e mercati finanziari: la logica del contagio, “se è vero che già il 60% della produzione (libica) è stato congelata, il che corrisponde alla perdita dell’1.1 percento dell’offerta mondiale di petrolio, l’Arabia Saudita può facilmente colmare una perdita di questa entità”. In altre parole, la produzione libica pesa poco in un mercato estrattivo che negli ultimi trent’anni si è fortemente globalizzato e che ha visto una netta riduzione del peso dell’Opec nel mercato petrolifero mondiale (oggi, è la Russia a essere il paese maggiormente produttore).

Se veramente il petrolio svolge ancora un ruolo assolutamente strategico, era più funzionale per l’Occidente intervenire nel Bahrain (o affiancare l’Arabia Saudita nell’opera repressiva) piuttosto che in Libia. Una settimana dopo il terremoto e la tragedia nucleare in Giappone, l’obiettivo principale è diventata la Libia, inizialmente non presa in considerazione quando i primi fuochi della rivolta nell’area si erano accesi.

La tesi che sosteniamo è che l’intervento dello schieramento occidentale in Libia non sia dipeso solo da ragioni legati al controllo del petrolio, ma soprattutto da altri fattori, in primo luogo quelli legati ai mercati finanziari.

La Libia di Gheddafi, a differenza di altri paesi della regione,  non è affatto un’economia chiusa, ma è fortemente globalizzata soprattutto per quanto riguarda i flussi e le partecipazioni finanziarie. Si potrebbe fare un lungo e noiosissimo elenco di svariate pagine per elencare tutte le partecipazioni detenute nelle casseforti della Banca Centrale Libica e della Libyan Investment Autority (LIA), entrambe strettamente sotto il controllo del colonnello. Ci limitiamo per brevità a segnalare, per quanto riguarda l’Italia, il 7,58% di Unicredito (per un valore liquido di circa 351 milioni di euro), il 14,79% di Retelit (13,7 milioni di euro), il 2% di Finmeccanica (circa 2,2 miliardi di euro), l’1% di Eni, il 2,5 di Tamoil (in compartecipazione con Germania, Germania e Svizzera);  per quanta riguarda la Gran Bretagna, invece, si registra la partecipazione libica nell’hedge funds,  Capital Partners,  il 3% nel gruppo editoriale Pearson (320 milioni di Euro), il 14% dell’immobiliare Cornhill. In Spagna, Gheddafi ha investito in modo cospicuo nel settore immobiliare (vedi, il progetto Magerit Life a Marbella). In Olanda,  la società Oilnvest nel settore petrolifero, più nota con il marchio Tamoil, è posseduta al 100% dalla Libia. Anche il Lussemburgo, in specifico nel settore bancario, vede la presenza di partecipazioni finanziarie libiche, mentre in Canada e in Russia, oggetto degli investimenti libici sono rispettivamente ancora un volta il petrolio (Verenex) e l’alluminio (1,43% della Rusal).

Se sommiamo le diverse partecipazioni finanziarie detenute dalle autorità libiche abbiamo una somma tale che se venisse smobilizzata per trasformarla in liquidità immediata causerebbe un forte impatto negativo sui listini di borsa non dissimile da quello causato dal fallimento della Lehmann Brothers nel settembre 2008. Ed è proprio il rischio che una somma cosi ingente di capitali finanziari possa essere “smobilizzata” a obbligare i paesi occidentali a intervenire perché ciò non si verifichi. Nel periodo iniziale della rivolta, il mantenimento di una stabilità finanziaria, garantita da Gheddafi, aveva avuto il sopravvento: in cuor loro, molte società finanziarie speravano nella tenuta di Gheddafi. In Italia, le posizioni del governo in tal senso erano anche dettate dai numerosi affari lucrosi che le imprese italiane detenevano sul territorio libico, soprattutto nel campo delle infrastrutture (Impregilo in testa). Con il peggiorare della situazione, l’incremento dell’instabilità e il rischio di una vittoria dei ribelli della Cirenaica, la possibilità che le forze in campo, soprattutto i rivoltosi di Bengasi, potessero mettere le mani sul “tesoro finanziario” di Gheddafi provvedendo alla sua liquidazione in moneta sonante per finanziare la stessa guerra e la ricostruzione, si è fatto più concreto. Di fatto, l’intervento occidentale da un lato vuole liberarsi di un partner economico, come Gheddafi, affidabile, ma comunque autonomo e poco manovrabile, dall’altro mettere le mani avanti sul possibile congelamento delle partecipazioni finanziarie libiche, per impedire che una loro messa in vendita, deprimi un mercato finanziario, che solo ora si sta faticosamente riprendendo dalla crisi recente e che, anche in seguito agli avvenimenti giapponesi, mostra ancora tutta la sua instabilità.

Si traveste da guerra umanitaria ciò che è invece una guerra finanziaria.

 


[1] Il che lascia affiorare il sospetto che una simile azione era stata preventivata ed organizzata in anticipo.

 

—-

Scheda sugli interessi libici in Italia

Stralci di informazioni contenute nell’articolo: “Quote libiche: Italia pronta al blocco”, di Rossella Bocciarelli e Isabella Bufacchi, Il Sole24ore, 6 marzo 2011

Esiste una banca, con sede nel Barhain, presente da decenni in Italia con una filiale. È la Arab Banking Corporation. Nel 1992 – vent’anni fa – si diceva che stesse acquistando azioni Perrier per conto degli Agnelli. In Italia, insomma, la Arab Banking Corporation non è una nuova arrivata. Nuovi arrivati sono però i suoi azionisti di maggioranza: solo tre mesi fa, il 2 dicembre 2010, a la banca centrale libica è salita al 60% di questo istituto tanto grande quanto sconosciuto ai più. Fino ai primi del 2010 la Libia era un’azionista minoritario, ma nell’ultimo anno in più tappe è salita alla maggioranza. Così, con un tempismo incredibile, alla vigilia della guerra civile a Tripoli e Bengasi, ecco che in terra italica spunta la filiale di una nuova banca a maggioranza libica: la Arab Banking Corporation con sede nel centro di Milano in via Amedei 8.

Questo è solo l’ultimo tassello di un puzzle che il Colonnello Gheddafi da anni – da quando ancora la Libia era sotto embargo – costruisce in Italia. ….. È il 1976 quando il Colonnello, spendendo l’equivalente di 415 milioni di dollari, fa il primo acquisto clamoroso: compra il 10% della Fiat dopo il viaggio in Libia dell’Avvocato Agnelli. ….. Nel 1986 la presenza libica nella casa automobilistica desta però l’allarme del presidente americano Ronald Reagan, così quell’anno Gheddafi esce dal Lingotto: con una ricca plusvalenza (pari a oltre il 300% dell’investimento).

Anche nel 1997 – in pieno embargo – Gheddafi conquista un altro peso massimo italiano. Quell’anno la Libyan Arab Foreign Bank paga 400 milioni di dollari per comprare il 5% della Banca di Roma in fase di privatizzazione. L’operazione non aggirava l’embargo, perché non era il governo libico a comprare direttamente. D’altronde, si sa:pecunia non olet. Così, negli anni successivi, le varie braccia finanziarie di Tripoli entrano in Oilinvest che controlla Tamoil Italia, nel gruppo tessile Olcese, nella Juventus. Piano piano, senza destare grandi clamori, il puzzle si allarga. E queste sono le partecipazioni note: se è vero quello che dichiarava nel 2001 a Bloomberg il numero uno della Lafico Ali El Huwej, cioè che la strategia di Gheddafi era di comprare piccole quote azionarie in giro per il mondo anche dietro schermi societari per aggirare i divieti dell’embargo, allora anche in Italia si potrebbe immaginare una presenza più corposa. Ma non si sa.

È comunque dopo la fine dell’embargo, nel 2003, che la Libia può veramente aprirsi al mondo. Usando anche il fondo sovrano Libyan Investment Authority, creato qualche anno dopo, aumenta i pezzi del puzzle anche in Italia. Oggi è presente in Finmeccanica (con il 2,01%), in Eni (circa l’1%), in Retelit (14,79%), nella Juventus (7,5%), nella Triestina Calcio (33%), in Banca Ubae (67,55%). La partecipazione che ha fatto più clamore, però, è quella in UniCredit dove la Libia (attraverso soggetti diversi) ha 7,58%. La più recente è quella in Arab Banking Corporation, con filiale a Milano. Nessuna di queste quote azionarie è stata finora congelata.

 

Ti è piaciuto questo articolo? Infoaut è un network indipendente che si basa sul lavoro volontario e militante di molte persone. Puoi darci una mano diffondendo i nostri articoli, approfondimenti e reportage ad un pubblico il più vasto possibile e supportarci iscrivendoti al nostro canale telegram, o seguendo le nostre pagine social di facebook, instagram e youtube.

pubblicato il in Approfondimentidi redazioneTag correlati:

crisifinanzaguerraLibia

Articoli correlati

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

“I padroni del mondo:come i fondi finanziari stanno distruggendo il mercato e la democrazia”

Venerdì 6 giugno presso il CSOA Askatasuna alle ore 19.30 si terrà insieme all’autore Alessandro Volpi la presentazione del libro “I padroni del mondo: come i fondi finanziari stanno distruggendo il mercato e la democrazia” (Laterza, 2024).  D’accordo con l’autore pubblichiamo l’introduzione del libro. Mappe. Esiste un legame evidente fra l’idea che serva una continua […]

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Il posto di Hamas (e di chi chi seguirà o precede) in Palestina

Qualche precisazione sul ruolo del movimento, all’interno di una più ampia cornice di lotta anticoloniale di Lorenzo Forlani, da lorenzoforlani.substack.com Mi sembra sia arrivato il momento, o forse non ha mai smesso di esserlo. Vogliamo parlare di Hamas? E parliamo di Hamas, una volta per tutte, tentando di scrollarci di dosso paranoie, tensioni mai sopite, […]

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Note preliminari sul «sistema degli Stati»

È generalmente noto che Karl Marx, nel piano del Capitale, prevedesse una sezione dedicata allo Stato – sezione di cui non scrisse nemmeno una bozza.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

L’uso dei reati associativi per contrastare il conflitto sociale: il processo contro il CSOA Askatasuna (1° parte)

Il processo contro 28 militanti del centro sociale Askatasuna e del movimento No Tav, conclusosi il 31 marzo scorso, costituisce il tassello principale di un’articolata strategia volta a contrastare il conflitto sociale a Torino e in Val di Susa

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Russia: i segreti della resilienza economica

Abbiamo tradotto il testo di Mylène Gaulard, docente di economia presso Università Pierre Mendes France – Grenoble 2, apparso originariamente su Hors-serie in quanto intende mettere a nudo l’enorme distanza tra la narrazione dominante occidentale (e principalmente europea) sul conflitto in Ucraina e la realtà materiale dei rapporti di forza economici e geopolitici che si stanno ridefinendo su scala globale.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Trump 2.0: una svolta epocale?

Un confronto sulla percezione che sulle due sponde dell’Atlantico si ha della crisi in corso è importante, ma deve scontare uno choc cognitivo dovuto alla difficoltà di mettere a fuoco una svolta forse epocale.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Blackout: è il liberismo bellezza!

Riprendiamo dal sito SinistrainRete questo contributo che ci sembra interessante per arricchire il dibattito a riguardo del recente blackout iberico. I nodi sollevati dall’articolo ci interessano e rimandando a ragionamenti complessivi sulla fase e la crisi energetica, che animano il nostro sito in questi ultimi tempi. Sembra interessante e da approfondire, il ruolo dei mercati finanziari nella gestione delle reti energetiche nazionali e come questo si intersechi con l’utilizzo di fonti rinnovabili, fossili e nucleari.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

György Lukács, Emilio Quadrelli e Lenin: tre eretici dell’ortodossia marxista

György Lukács, Lenin, con un saggio introduttivo di Emilio Quadrelli e una lezione di Mario Tronti, DeriveApprodi, Bologna 2025 di Sandro Moiso, da Carmilla La recente ripubblicazione da parte di DeriveApprodi del testo su Lenin di György Lukács (1885-1971), accompagnato da una corposa introduzione di Emilio Quadrelli (1956-2024) oltre che da un’appendice contenente una lezione di […]

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Vertenza LEAR: tutto fumo, niente arrosto

Gli anni passano, tragedie come queste rimangono però all’ordine del giorno e trasformano il tessuto sociale delle nostre metropoli. Sembra che non si impari mai niente dagli errori commessi nel passato.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Manifestazione nazionale contro il riarmo, la guerra e il genocidio in Palestina: 21 giugno a Roma

La data per la manifestazione nazionale a Roma contro il riarmo e la guerra è stata individuata nel 21 giugno, poco prima che si tenga il summit NATO all’Aja dal 25 al 25 giugno sulla Difesa e la spesa militare.

Immagine di copertina per il post
Bisogni

Briosco dice No all’Italian Raid Commando nella scuola del paese

A Briosco, paesino di poche migliaia di abitanti in Brianza, si è tenuta la 37esima edizione dell’Italian Raid Commando ossia una esercitazione militare cammuffata da competizione/allenamento da svolgersi nella palestra della scuola, resasi disponibile per l’accoglienza, oltre che nei boschi circostanti.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Missioni militari 2025. Carta bianca per la guerra

“Sono attualmente in corso 39 missioni e operazioni internazionali, per una consistenza media di 7.750 unità, un contingente massimo autorizzato pari a 12.100 unità, e un onere finanziario complessivo che ammonta a 1,48 miliardi, divisi tra 980 milioni per il 2025 e 500 milioni per il 2026”.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Disarmiamoli: verso il 21 giugno a Roma

Ripubblichiamo il comunicato uscito dall’assemblea nazionale chiamata dalla Rete dei Comunisti, da Potere al Popolo e USB a Roma che guarda alla data di manifestazione nazionale del 21 giugno. In questa fase ogni mobilitazione nella prospettiva di attivarsi contro il riarmo generale, contro la militarizzazione della società e a sostegno della resistenza palestinese è da sostenere e attraversare.

Immagine di copertina per il post
Contributi

Putin: un politico professionale

A distanza di tre anni dall’inizio della guerra in Ucraina, ultimo atto di un lungo conflitto tra due paesi e tra due imperi, riprendiamo un’intervista inedita di qualche mese fa alla studiosa Rita di Leo, sulla biografia politica di Vladimir Vladimirovič Putin.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

L’imperialismo nell’era Trump

Che cos’è oggi l’imperialismo, di cui la cosiddetta “era Trump” è precipitato? Come si è trasformato, tra persistenza e discontinuità? Non sono domande scontate, di mera speculazione teorica. da Kamo Modena Ma nodo fondamentale da sciogliere per porsi all’altezza delle sfide pratiche e politiche poste da questi tempi sempre più accelerati di crisi sistemica. Per […]

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Collaborazione tra industrie delle armi italiane e turche: lunedì mobilitazione a Torino contro il “Forum Turchia”

Lunedì 12 maggio a Torino si terrà il forum “Turchia: un hub verso il futuro”, promosso dalla Camera di Commercio con l’obiettivo dichiarato di “rafforzare la cooperazione economica” tra Italia e Turchia nei settori dell’aerospazio, dell’automotive e della digitalizzazione.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Scontro aperto tra India e Pakistan: operazione “Sindoor”

A seguito dell’attentato che ha ucciso 26 turisti indiani nel Kashmir amministrato dall’India avvenuto a fine aprile, la risposta dello stato indiano è arrivata nella notte tra martedì 6 maggio e mercoledì 7 maggio, con l’Operazione definita Sindoor: una serie di bombardamenti si sono abbattuti sul Pakistan, nella parte di territorio pachistana del Kashmir e nella provincia pachistana del Punjab.