
Un opuscolo su riarmo, genocidio e logistica della guerra
Ripubblichiamo un opuscolo realizzato dall’assemblea cittadina torinese STOP RIARMO.
PREMESSA
L’assemblea “Stop Riarmo” nasce a maggio 2025 per raccogliere l’esigenza di costruire un contesto ampio ed eterogeneo di confronto e di messa in rete per darsi la possibilità di agire in maniera concreta contro il riarmo e contro chi finanzia il genocidio in Palestina. L’idea di individuare nella filiera bellica sul nostro territorio un ambito dal quale partire ha portato all’organizzazione della giornata del 5 luglio 2025 che ha visto un’iniziativa contro la Leonardo di Caselle e un momento di tavola rotonda con l’obiettivo di delineare un quadro composito del sistema guerra nei vari ambiti della produzione e della riproduzione sociale, da cui è scaturito anche un documento dal titolo “Se la guerra parte da qua, disarmiamola dalla città!”
(consultabile online sul canale telegram @STOPRIARMO e ripubblicato qui)
I capitolo Il riarmo, il genocidio, l’infrastruttura della guerra: blocchiamo tutto
Durante le scorse settimane la quotidianità è stata scossa da un fatto inedito: le piazze si sono riempite al grido di “Blocchiamo tutto”, fiumi di persone hanno travolto le strade nelle nostre città per sostenere la Flottilla, per agire concretamente e non essere destinati alla complicità del governo italiano nel genocidio in Palestina.
Si è davvero bloccato tutto e ciò ha permesso di superare il muro di rassegnazione e immobilismo, sbloccando al contempo un sentimento di potenza, di possibilità di incidere, di espressione e di presa di posizione.
Abbiamo scioperato contro il genocidio, contro la brutalità del massacro a Gaza, contro la complicità del governo Meloni e, più in generale contro la guerra che si sta preparando a partire dall’Europa e dall’Occidente tutto. La nostra parte è quella parte che si riconosce e si identifica nella bandiera palestinese per esprimere il proprio rifiuto alle logiche di morte e di guerra. L’altra parte è rappresentata dal governo e dalle élites Occidentali che si preparano a contare i lauti profitti che stanno già incominciando a ingrossare le tasche dei signori della guerra attraverso il RearmEurope e le nuove mire espansionistiche e colonialiste su Gaza.
Il piano di riarmo europeo, a partire dalla scorsa primavera, ha delineato in maniera chiara le intenzioni dell’Europa e dell’Occidente: è tempo di una nuova “pace” fatta di armi e munizioni. Bisogna prepararsi alla guerra, costi quel che costi.
1. IL PIANO DI RIARMO EUROPEO
A inizio marzo 2025 la Presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen ha presentato il Piano ReArm Europe da 800 miliardi di euro da destinare alla difesa europea. Questa primavera ha sancito un passaggio importante: l’Europa sta compiendo una transizione, che di certo non è quella ecologica, verso “l’era del riarmo”, come l’ha chiamata la Presidente. Si va così delineando un quadro strategico con l’obiettivo di rafforzare una presunta sicurezza europea, investendo sul comparto industriale bellico e il comparto tecnologico in grado di competere con il resto del mondo. L’obbiettivo è quello di colmare le lacune nelle capacità militari, industriali e infrastrutturali dell’Europa e costruire una capacità autonoma di difesa.
Nonostante gli alti livelli di indebitamento pubblico il riarmo può procedere grazie all’introduzione di deroghe ad hoc del Patto di Stabilità e Crescita. A beneficiare dei fondi stanziati saranno le principali aziende europee come Thales, esperta in cyber-security, Airbus, specializzata nell’aerospazio a Rheinmetal per l’artiglieria e i veicoli corazzati. Non mancano le aziende italiane come Leonardo per l’avionica avanzata, cybersecurity e droni, e Fincantieri per il settore navale, saranno coinvolte direttamente. Grazie alla loro attività, l’Italia si troverà in grado di beneficiare delle opportunità del RearmEurope. Questi sono i protagonisti che assumeranno un ruolo di primo piano nello sviluppo del comparto bellico europeo. Comparto che sarebbe in grado, non solo di assicurare la “sicurezza” e l’autonomia nella difesa del continente, ma anche una crescita occupazionale capace di rialzare i settori in crisi pluri-decennale come quello dell’automotive.
Promesse dalle gambe corte che sembrano intenzionate più che altro a convincere una popolazione non abituata alle retoriche belliciste, a prendere parte al piano di riarmo. D’altronde nello stato in cui riversano la sanità pubblica, le scuole e le università, è difficile immaginare ulteriori tagli, è facile immaginare cosa invece si potrebbe fare per migliorarne la condizione. Le priorità dell’UE e dei governi sembrano però chiare: la difesa continentale deve venire prima di qualsiasi altra cosa, sicuramente prima del benessere della popolazione. La domanda da farsi è qual è questo nemico immaginario da cui è necessario difendersi. Difendersi, ovvero riarmarsi nel gergo UE.
Un passaggio va fatto rispetto al continuo cambio di nome di questo piano: da ReArm Europe a Readiness 2030, dopo le critiche dei governi spagnolo e italiano e, oggi, Preserving Peace – Defence Readiness Roadmap 2030 (nei dettagli ci torneremo dopo). Addirittura si arriva a definire un piano di riarmo generale il modo per “preservare la pace”. In questa fase il concetto di “pace” viene dunque completamente svuotato di significato e ribaltato, una pace che ha come unico obiettivo garantire gli interessi dei governi occidentali e del capitalismo globale. Non può esserci pace se non rompiamo il sogno di dominio occidentale, capitalista, patriarcale e coloniale.
2. CRISI DELL’IMPERO E GENOCIDIO IN PALESTINA
Questi mesi hanno squarciato un velo: l’Occidente è in crisi, il governo USA è in crisi, la governance imperialista è in crisi. Non esiste più nulla di desiderabile nel “sogno americano” o nella proposta della “democrazia occidentale” dal momento in cui l’unica democrazia del Medio Oriente, secondo la narrazione dominante, sarebbe Israele, ed è sotto gli occhi di tutti di cosa è capace. Il genocidio in Palestina ha avuto il ruolo di mostrare la vera faccia della “democrazia occidentale” e di dividere il mondo in due parti: chi sta con il popolo palestinese che resiste e chi sta con chi intende difendere e salvare un sistema marcescente che si base sul dominio e sullo sfruttamento. Oggi il sistema si sta sbarazzando di una serie di ipocrisie dal volto umano che hanno garantito la sua accettabilità per molto tempo, oggi siamo di fronte a un passaggio in cui i governi occidentali, compreso quello italiano, hanno le mani sporche di sangue e ciò avviene alla luce del sole.
Il governo italiano, come gli altri Paesi europei, non seguono le indicazioni di Trump per mero servilismo ma anche per convenienza e complicità, per cercare di accaparrarsi la propria fetta di torta. In questo senso le scelte politiche di governo interne vanno lette come una manovra che ha l’obiettivo di rendere la nostra società sempre più simile nei tratti a quella americana o israeliana: l’amplificazione dei piani di disciplinamento, sorveglianza e controllo sono un aspetto non secondario di questa tendenza.
Cogliere oggi la possibilità di dare un’ulteriore spallata al sistema capitalista, incarnato dal complesso militare-industriale, dai governi e dalle loro articolazioni sui territori, dalla direzione che si intende imporre agli ambiti formativi, è nostro compito. In queste settimane di mobilitazione di massa per la Palestina, per ciò che ha rappresentato un’opzione di solidarietà reale e concreta come la missione umanitaria della Flottilla, per ciò che ha significato bloccare gli snodi principali della logistica del nostro Paese, si è fatta esperienza di un rapporto di forza che andrà rimesso in campo a partire da dove siamo e a fronte degli avvenimenti che si andranno a concatenare prossimamente. L’incapacità e la nullità del governo Meloni, nell’espressione di Tajani, nel fintamente gestire e tutelare la sicurezza di connazionali partiti per portare degli aiuti umanitari a Gaza e sequestrati dall’esercito israeliano, hanno mostrato la bassezza di cui queste figure sono capaci. Le dichiarazioni imbarazzanti sullo sciopero definito come il “weekend lungo” dei nullafacenti sono uno schiaffo in faccia a tutti quei lavoratori e lavoratrici che vengono quotidianamente sfruttati in un mondo del lavoro alle pezze, allo stesso tempo, il tentativo di precettazione di Salvini mostra un’importante debolezza a fronte di un’adesione che non si vedeva da anni.
II capitolo La guerra parte da qua
In queste settimane di mobilitazione si è affinato il contorno della controparte in maniera sempre più chiara , in quanto responsabile del genocidio e della realizzazione di armi destinate alla sua implementazione. Le figure che compongono questa scacchiera sono molteplici: chi compone il comparto dell’industria della guerra, ovvero chi prende parte alla produzione, chi la finanzia, chi ne favorisce le interazioni attraverso la logistica e il trasporto. Per non dimenticare chi ne indirizza le implementazioni tecnologiche come le Università e i Politecnici, tassello fondamentale per un comparto all’avanguardia in grado di contribuire alla competitività europea in ambito di difesa.
Nello scenario italiano Torino rappresenta un hub centrale nel riassetto industriale in chiave bellica. Con un settore automotive in perenne crisi, viene proposta una riconversione in grande stile che pone nel riarmo le sue speranze. Già da qualche anno la città ha cominciato la sua transizione verso città dell’innovazione in ambito tecnologico-digitale e dell’aereospazio, ma anche nell’ambito energetico come dimostrano le varie kermesse relative dove vengono sfoggiati i nuovi assetti energetici proposti dal Governo che includono rinnovabili su larga scala e il nucleare sostenibile.
Dalla città dell’aereospazio in cantiere, alla costruzione di data center in tutta la regione (tra cui uno progettato proprio a Caselle, di fianco allo stabilimento della Leonardo) alle numerose iniziative che promuovono intelligenza artificiale come la Tech Week dei primi di ottobre o ancora i mega eventi espositivi dedicati agli avanzamenti nel settore aereospaziale, come l’Aerospace and Defence meeting che si terrà a Lingotto dal 2 al 4 dicembre. Tra i principali partners Leonardo, Thales, Collins, Avio Aereo, Altec con sponsor quali la Regione Piemonte e la Camera di Commercio. Le grandi aziende del territorio sono dunque destinate a acquisire la governance della città in quanto unico settore su cui si fanno investimenti e assumere un margine di decisionalità politica sempre più esteso.
E’ la città stessa che sembra trasformarsi in una città dual-use: dove tutto sembra essere accentrato alla produzione di sapere e alla produzione materiale di un assetto di guerra, spacciato sotto forma di un generico avanzamento tecnologico destinato a far diventare Torino e tutto il Piemonte in un polo di avanguardia e sostenibilità, dove IA e droni sono destinati a migliorare la vita di tutti i giorni. A partire dalle ristrutturazioni e le conformazioni della nostra città, a partire dai numerosi cortei che ci hanno permesso di percorrerla attraversando poli strategici come aeroporti, stazioni e le sedi delle fabbriche belliche, possiamo rintracciare i legami tra ciò che succede nel mondo, in Palestina e negli altri fronti di guerra con ciò che succede sui nostri territori, sfruttati e adattati per sostenere assetti di guerra e morte.
1. UNIVERSITA’ FABBRICA
Gran parte del piano di riarmo si basa sul potenziamento delle tecnologie dual-use e più in generale sullo sviluppo di competenze avanzate in ambito di difesa. Centrale si dimostra ancora una volta il ruolo del comparto della formazione, in particolare quello degli atenei universitari e i politecnici. Investimenti nella ricerca e in piani di formazione ad hoc sono indispensabili nel processo di ritorno a una difesa europea, la fuga di cervelli diventa quindi un problema risolvibile offrendo opportunità di stabilizzazione in cambio della messa a servizio delle proprie competenze nella corsa al riarmo dell’UE. Un ricatto che già esiste, viste le moltissime relazioni esistenti tra gli Atenei di tutta Italia e le aziende belliche sotto forma di accordi che negli ultimi due anni sono finiti sotto i riflettori, denunciati dalle diffuse mobilitazioni delle Intifade studentesche.
Secondo un’inchiesta di Altreconomia, Leonardo, Thales Alenia Space e Mbda, ossia i “colossi” del comparto Difesa e aerospazio sono presenti nella maggior parte degli atenei italiani. 23 atenei su 31 hanno infatti legami con Leonardo Spa (74%), 20 con Thales Alenia Space Spa (65%) e otto con Mbda Italia Spa (26%). Le mobilitazioni in Università sono le prime ad essere riuscite a mettere in risalto la contraddizione della neutralità tecnologica e del dual-use: una formula che permette da un lato di lavare la coscienza a tutto quel personale universitario complice e dall’altro di far passare come necessarie e utili alla collettività delle tecnologie destinate a potenziare l’apparato bellico occidentale. Il dual-use è un’ottima strategia per incanalare il lavoro cognitivo di studenti e ricercatori verso fini ben precisi di potenziamento di settori cruciali, ma che hanno poca approvazione tra la popolazione. A dimostrare le catene di sostegno reciproco tra Italia e Israele e le complicità tra il nostro Peaese e quello di Netanyahu sono anche gli accordi che i due paesi stringono a livello di ricerca: altro perno attorno a cui si sono mobilitate le Università per la Palestina.
La difficoltà e la complicità, anche in questo caso, dei vari dipartimenti e insegnamenti ha comprovato quanto la rete della formazione sia fondamentale nel tenere insieme legami economici e di potere e quanto, ripercorrendola, si possano ricostruire gli interessi che intercorrono tra i due Paesi. Ricordiamo infatti che proprio Israele presenta i più avanzati centri di sviluppo tecnologico in ambito di difesa e cyber-sicurezza, e più in generale nei settori bio-tech e del digitale. Nonostante sia taciuto e fatto passate in sordina, sono tanti i dipartimenti in tutta Italia che ancora in questi giorni stanno approvando la rescissione degli accordi in questione.
Le assemblee precarie universitarie in tutta Italia hanno denunciato come i tagli previsti al FFO (Fondo di Finanziamento Ordinario) e la riforma del pre-ruolo della Riforma Bernini renderanno l’Università ancora più dipendente da aziende esterne, pronte ad aiutare gli atenei in crisi finanziando progetti di ricerca e master, rendendo l’Università un luogo anestetizzato a qualsiasi tipo di pensiero critico, facendola diventare una fabbrica di sapere spendibile all’occorrenza nei reparti della produzione più utili secondo le direttive politiche del momento. Un’Università neutralizzata nella sua potenza critica, che subisce un processo di “israelizzazione” per essere parte integrante di quello che Michele Lancione ha chiamato “comparto accademico-militare-industriale”.
Altro dato preoccupante riguarda le novità il nuovo programma Horizon 2028–2034 (Programma quadro dell’Unione europea per la ricerca e l’innovazione): per la prima volta la Commissione europea ha confermato che i progetti dual-use saranno ammissibili in tutte le componenti del programma, inoltre anche lo European Innovation Council (EIC) sarà potenziato per sostenere start-up ad alto rischio nel campo della difesa e della sicurezza. I finanziamenti del piano Rearm Europe andranno a sottolineare questa tendenza, non a caso il rettore in carica del Politecnico si è auspicato di ottenerne una fetta per mantenere l’Ateneo tra i protagonisti della corsa al riarmo.
Per ostacolare qualsiasi tipo di disturbo nella corsa al riarmo del sapere, della conoscenza, della formazione ed evitare interferenze, come nel caso delle Intifade studentesche con gli accordi con industrie belliche e università israeliane, la ministra Bernini prende le misure in anticipo. Attraverso una nuova riforma, per la prima volta nei Consigli di Amministrazione delle Università, sede in cui si intraprendono le decisioni relative gli accordi, oltre che essere organi di decisione in materia di bilanci, investimenti e assetti dell’offerta formativa, entrerebbe un componente nominato direttamente dal governo. Un passo in più verso un’Università totalmente dipendente dai vertici politici, dalle direzioni del governo, togliendo sempre più spazio all’indipendenza della ricerca e quindi alla ricerca critica. L’Università diventa l’istituzione da manovrare per percorrere la corrente di riorganizzazione del sapere nel comparto bellico-tecnologico: una vera e propria fabbrica del sapere da controllare e sfruttare.
2. LA FABBRICA DELLA GUERRA
Le complicità tra Università e aziende nel territorio delineano una continuità tra ciò che viene progettato, architettato e sviluppato all’interno delle aule e dei laboratori con ciò che viene prodotto, trasportato, consegnato in città. Ogni tassello compone una parte della produzione che riarma i nostri territori, passando per le strade, le ferrovie, i centri di smistamento, i poli logistici presenti. I portuali hanno evidenziato come i porti siano proprio uno dei luoghi strategici attraverso cui passa lo scambio di armi tra Israele e Italia e come ogni assetto territoriale possa essere messo al servizio delle filiere belliche. Da tempo anche in Val di Susa si punta il dito contro il TAV in quanto progetto dual-se, utile non al trasporto di persone, ma al trasporto di armi e carri armati che necessitano di migliori infrastrutture per poter percorrere l’Europa indisturbati. Ma è anche il caso del Ponte sullo Stretto, fortunatamente stoppato per il momemento: ogni grande opera nasconde dietro di sè delle grandi potenzialità per la difesa del Paese.
Il Piano di riarmo prevede infatti investimenti nella mobilità avanzata per adeguare ed espandere le reti infrastrutturali multimodali europee presenti con le nuove necessità di spostamento e trasferimento. Non solo, secondo quanto annunciato, saranno rimossi gli ostacoli normativi transfrontalieri relativi a permessi, dogane e procedure di controllo e saranno creati hub logistici strategici per velocizzare la mobilità operativa delle forze militari.
Monitorare cosa passa all’interno di stazioni, aereoporti e strade diventa una pratica di tutela del territorio che non si vuole piegare alle logiche di guerra. Monitorare le trasformazioni territoriali utilizzando la lente del riarmo è utile per cogliere dove verranno impattati materialmente gli assetti non solo delle nostre città, ma di intere aree delle nostre regioni.
In questo contesto, come già anticipato prima, l’apparato digitale in espansione attraverso data-center e hub digitali costituisce una parte fondamentale nell’implementazione di tecnologie all’avanguardia nei comparti bellici. A Torino sono in cantiere 5 nuovi data center: da tenere in considerazione le proprietà degli investimenti che stanno dietro questi progetti, quindi Leonardo, Avio, Bbbell, Enel e, soprattutto, Hines, che prepara un maxi progetto che prevede la costruzione di sei edifici alti 30 metri a due passi dall’aeroporto e la cui estensione equivale a 20 campi da calcio. Particolare attenzione va posta anche rispetto alle sedi individuate per questi progetti, nello specifico quella che riguarda l’ex Bonafous, quartiere Lucento, alle spalle della ThyssenKrupp, dove è previsto un data center al posto di una residenza per studenti come voleva una precedente pianificazione per quella zona. Area già interessata dalla necessità di bonifica e quindi dalla necessità di importanti investimenti, che hanno fatto sì che non venisse presa in considerazione come proposta per costruirvi il nuovo ospedale Maria Vittoria, invece di cementificare un’area verde, come nel caso del parco della Pellerina.
La simbiosi creatasi tra big-tech e industrie belliche è indicativa: le modalità della guerra sono avanzate, i sistemi informatici digitali sono essenziali per la competitività in ambito di difesa. Intelligenza artificiale, sistemi di controllo integrati, proiettili intelligenti, analisi dati in tempo reale, reti di comunicazione avanzate, cybersecurity, droni con IA e sistemi ad alta energia sono gli elementi fondamentali per la nuova ricetta bellica e necessitano di infrastrutture adeguate per essere implementate. Torino si candida inoltre ad ospitare la nuova Città dell’Aerospazio, che sorgerà tra corso Francia e corso Marche e che si propone di essere sede d’innovazione nel campo della Difesa oltre ad ospitare l’ufficio regionale per l’Europa del Defence Innovation Accelerator for the North Atlantic (D.I.A.N.A), una struttura della NATO. Questo piano si accosta a quelli menzionati in precedenza e concorre a candidare la città come centro d’eccellenza avanzato nella ricerca aereospaziale, si tratta infatti di un progetto di ricerca, di alta formazione e di trasferimento tecnologico.
La costituzione della nuova società dal valore di 10 miliardi creata tra Leonardo-Thales-Airbus con l’obiettivo di “competere con Musk” si inserisce proprio in continuità con questo obbiettivo. La società si occuperà di industria spaziale e satelliti, sotto un’unica entità al fine di aumentare la concorrenzialità sul mercato, in particolare nei confronti della Starlink. Il nuovo progetto, come sottolinea La Stampa che ne ha dato notizia in questi giorni, sarà ribattezzato Bromo e unirà la “doppia anima civile e militare” per diventare il maggior colosso europeo in materia di satelliti per le telecomunicazioni e per le osservazioni: il perno dell’industria spaziale europea. Questa nuova società ha tutte le carte in regola per diventare uno dei pilastri per il nuovo piano europeo di riarmo soprattutto per quanto riguarda la sovranità tecnologica, va sottolineato che il 65% delle azioni sono per metà in mano a Leonardo e metà a Thales, entrambe le industrie si trovano a pochi passi dalle nostre case.
Un “ecosistema” a servizio della guerra che trasforma i territori in delle vere e proprie fabbriche destinate non solo alla difesa europea ma già oggi all’attacco e all’aggressione di intere popolazioni.
III capitolo Il piano coloniale
Mentre scriviamo si contano ancora i morti tra i palestinesi uccisi e numerose violazioni della tregua da parte di Israele. Continuano i raid israeliani, i campi profughi vengono bombardati. Gli aiuti umanitari subiscono rallentamenti o blocchi. Nonostante la tregua non venga rispettata e sia evidente il piano finale israeliano, si apre una nuova fase: quella del piano coloniale accellerato, di speculazione nella ricostruzione, una fase con un ampio margine di guadagno non solo per Israele ma per molti governi occidentali, primo fra tutti quello Americano. Il “piano di sviluppo per Gaza” definito da Donald Trump unisce immagini distopiche e scenari da fantascienza, eppure è drammaticamente reale. Si parla di Gaza come riviera di lusso del Medio Oriente, governata come un protettorato ottocentesco, dove i gazawi “buoni” che intenderanno “integrarsi” costituiranno la manodopera a basso costo e il settore immobiliare potrà godere di profitti importanti, in una sorta di imperialismo immobiliare senza precedenti.
Possiamo parlare della forma più estrema di accumulazione primitiva: il genocidio ha assunto il ruolo di “fase di demolizione”, ossia di distruzione funzionale a un nuovo ciclo di accumulazione e di profitto per l’imperialismo. Lo aveva dichiarato lo stesso ministro delle Finanze Bezalel Smotrich parlando di Gaza come un’imminente «miniera d’oro immobiliare», affermando: «Abbiamo completato la fase di demolizione, che è sempre la prima fase della riqualificazione urbana, ora dobbiamo costruire».
(Per approfondire questa chiave di lettura consigliamo il seguente articolo “Colonialismo accelerato: un piano contro la Palestina” di Alberto Toscano, pubblicato su Machina.org)
1. RESPONSABILITA’ DEL GOVERNO ITALIANO
Il governo Meloni coglie immediatamente l’opportunità offerta da questo scenario e tenta di occupare un posto al banchetto della vergogna apparecchiato da Trump e Blair. Citiamo alcuni primi esempi del piano neocoloniale italiano.
Innanzitutto, il governo ha nominato un inviato per la ricostruzione, si tratta dell’ambasciatore Bruno Archi, fedelissimo di Tajani, già viceministro degli esteri con Letta e deputato di Forza Italia fino alla scorsa legislatura, fu consigliere diplomatico di Silvio Berlusconi. Attualmente è ambasciatore presso la Fao e, secondo quanto detto dal capo della Farnesina, si è occupato di inviare oltre 2.500 tonnellate di aiuti umanitari nella Striscia grazie al programma italiano Food for Gaza. Occorre ricordare la truffa di cui si tratta: grazie a un’inchiesta di Altraeconomia risulta che di 35 milioni di euro “mobilitati” per Gaza secondo le dichirazioni della Farnesina è stata in grado di documentarne non più di 27 milioni, di cui nemmeno un euro è risalente al 2025 ma all’anno precedente; si parla di due su tre trasporti di aiuti diretti effettuati dall’Italia tra luglio 2024 e gennaio 2025, senza specificare se siano stati consegnati a Gaza, quando e a chi. Proprio a proposito del programma italiano Food for Gaza, visto quanto ha ben funzionato, adesso si tratta di ampliarlo, secondo le parole del ministro Francesco Lollobrigida.
Tra le altre linee guida definite dal governo si parla di mettere in piedi un’università a Gaza, magari con dei corsi a distanza; del coinvolgimento di “soggetti privati” per la cooperazione e lo sviluppo; dell’allestimento di un ospedale da campo su modello di quelli utilizzati nelle aree terremotate, a tal proposito il lavoro verrà seguito dalla Protezione Civile, con a capo il Ministro Nello Musumeci. Le casette dei terremotati, gli ospedali da campo mai finiti, il modello Campania o Amatrice, come poter pensare che questi siano dei modelli ai quali ispirarsi per ricostruire? Si profila dunque una fase in cui la gestione criminale di Paesi come l’Italia viene adottata come modus operandi da applicare a Gaza. L’Italia, con governi di qualsiasi colore, ha già sperimentato la dottrina della “shock economy”, ossia del profitto nell’emergenza, della perennizzazione della precarietà, dell’incapacità e non volontà di mettere in campo soluzioni concrete per fare profitto sulle tragedie. La conferma del coinvolgimento del settore privato per la “ricostruzione” è già arrivata, alcuni dei soggetti sono ENI (già fornitrice di greggio dell’aviazione israeliana), Webuild, Prysmian, Maire, Cementir, Terna, Italferr, BUzzi, Saipem e Ansaldo. I produttori di cemento saranno sicuramenti i primi a beneficiarne.
Il primo step di questo programma consiste nella missione europea EUBAM-Rafah, con un contingente di 8 Carabinieri (per approfondire il ruolo dei Tuscania si può leggere l’ Opuscolo No Base) impegnato nel controllo del valico tra Egitto e Gaza. Il contingente italiano è pronto a essere ampliato fino a 250 militari e carabinieri, con l’obiettivo dichiarato di garantire “sicurezza e stabilità” e addestrare le future forze militari palestinesi nella Striscia.
Un quadro da far venire i brividi.
2. UE : UN MURO DI DRONI
Intanto l’Unione Europea non sta a guardare ma continua a organizzarsi per la sua fantomatica difesa. Ursula Von der Leyen prepara la roadmap per la Difesa europea proponendo uno scudo aereo anti-missili, uno scudo spaziale per contrastare le operazioni di disturbo di gps, un muro di droni esteso a tutta l’UE non soltanto sul lato est dove continua la guerra in Ucraina e una guardia del fronte orientale.
“Investiremo, entro il 2035, circa 6.800 miliardi di euro, di cui il 50% per quella effettiva: un big bang nel finanziamento della Difesa”, ha detto il commissario Ue Kubilius. Questo significa che la spesa si baserà principalmente sui bilanci nazionali. Questo significa, per l’Italia, un bilancio che ha visto lo stanziamento di 11 miliardi in più per la Difesa tra il 2024 e il 2025, ovvero un computo di 44 miliardi per l’anno in corso: una cifra destinata a salire. Il governo Meloni ha giustificato questo aumento dicendo che avrebbe incrementato il personale, inserendo le attività della Guardia Costiera e dei Carbinieri all’interno del conto totale.
Il documento, denominato Preserving peace – Defence readiness roadmap 2030, ha l’obiettivo di rendere l’UE “pronta alla guerra” entro la fine del decennio. La giustificazione per un piano di questo tipo è la narrazione della “minaccia russa”. Il piano oltre ai 4 progetti previsti European drone defence initiative, l’Eastern flank watch, l’European air shield e l’European space shield , si occuperà di organizzare una zona di mobilità paneruopea entro il 2027 per garantire la mobilità dei militari nell’Unione e lo spostamento rapido di truppe. L’altro ambito fondamentale è quello della cyber sicurezza, intelligenza artificiale, guerra elettronica.
Non va sottovalutato l’ambito dell’energia atomica che al momento non viene citata nelle dichiarazioni di Von der Leyen o Kallas, ma che ricordiamo essere un tassello importante: il presidente francese già qualche mese fa aveva proposto di estendere la deterrenza nucleare agli alleati europei che non possiedono un arsenale atomico, per ridurre la dipendenza continentale dagli Stati Uniti. Il famoso ombrello nucleare che Francia e Regno Unito vorrebbero mettere a disposizione come strumento di “deterrenza” per l’UE non si è ancora realizzato ma la direzione che possiamo immaginare è anche questa. Per quanto ci riguarda va preso in cosiderazione infatti il nuovo ddl nucleare proposto dal ministro Gilberto Pichetto Fratin che agevola la costruzione di nuove centrali nucleari delegando la materia direttamente nelle mani del governo ed eliminando qualsiasi margine di autonomia e decisionalità a Comuni e Regioni. Si tratta di un piano che vede l’energia nucleare come un passo verso la transizione ecologica, fermo restando che sia un paradosso di termini considerare l’energia nucleare sostenibile, è inoltre risaputo che l’energia atomica sia per antonomasia dual use: non è mai esistito un nucleare esclusivamente civile per la materialità stessa di questo tipo di energia. (per approfondire il tema si consiglia la lettura dell’articolo di Ecologia Politica Torino su infoaut.org/confluenza dal titolo “Nuovo DDL nucleare: via libera all’energia dell’atomo in Italia. Alcune considerazioni per prepararsi al contrattacco”).
CONCLUSIONI
L’assemblea “Stop riarmo” intende dunque contribuire all’elaborazione di un punto di vista collettivo rispetto allo stretto legame tra riarmo europeo, complicità del governo italiano nel genocidio in Palestina, narrazione bellicista e propaganda di guerra, colonialismo e guerra interna. Tutto questo con l’obiettivo di mettere a disposizione del movimento generale che si riconosce nelle parole d’ordine e nella pratica del “blocchiamo tutto” una conoscenza del territorio torinese e degli ambiti in cui la guerra e il genocidio vengono finanziati e prodotti. Una geografia da ripercorrere e conoscere per comprendere come si snoda la fabbrica della guerra, ma soprattutto per immaginare come aggredirla conoscendone i punti sensibili.
Questa strategia è stata anche la forza del movimento Blocchiamo tutto: quella di colpire e inceppare le catene che tengono uniti gli assetti bellici e che tengono legate le scelte e le produzioni alle nostre latitudini con ciò che succede a Gaza e nelle altre zone di guerra.
Per questo motivo si intende iniziare a lavorare collettivamente a una mappatura del territorio per individuare gli obiettivi che potrà essere strategicamente importante segnalare in quanto elementi dell’ingranaggio bellico a partire da dove siamo.
Per ulteriori informazioni, per collaborare e incontrarci segui il canale telegram @STOPRIARMO, lì metteremo le informazioni per i prossimi appuntamenti e per il laboratorio di mappatura.
L’opuscolo è scaricabile qui in PDF
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