
La parola all’Internazionale
 Saggi. I discorsi e le soluzioni nei diversi  mondi del lavoro, a partire dalla storia della più grande esperienza  collettiva. In un libro pubblicato da Donzelli, a cura di Marcello Musto
Saggi. I discorsi e le soluzioni nei diversi  mondi del lavoro, a partire dalla storia della più grande esperienza  collettiva. In un libro pubblicato da Donzelli, a cura di Marcello Musto
Fra le iniziative assunte in occasione del 150°  anniversario della fondazione dell’Associazione Internazionale  dei Lavoratori, questo volume, Prima Internazionale, Indirizzi, Risoluzioni, Discorsi, Documenti,  a cura di Marcello Musto (Donzelli, pp. XVI-256, euro 25) si  distingue per due obbiettivi, entrambi raggiunti. Una messa a punto  della ricerca attuale su questo fondamentale episodio della  storia dei mondi del lavoro e una sua riproposizione come  esperienza esemplare che ritrova nel presente una nuova attualità. 
Tra gli anni ’50 e la fine dei ’70 infatti la storiografia aveva  infatti raggiunto una compiuta conoscenza delle fonti della I e della  II Internazionale, anche grazie agli archivi di fondazioni  europee fondamentali quali l’International Institute of Social  History di Amsterdam e la Fondazione Feltrinelli di Milano. A lungo  questa conoscenza si è concentrata – come ricorda Musto – sulla  centralità del marxismo, sull’adeguamento o l’allontanamento da una  presunta o reale ortodossia con, sullo sfondo, un rapporto  finalistico con la formazione dell’Internazionale comunista. 
OLTRE L’ILLEGALITÀ
Partendo dalla conoscenza approfondita di quella preziosa massa  di ricerche, il lavoro di Musto mette in luce il ruolo  dell’Internazionale come esperienza collettiva e sociale. Ed è  significativo che anche la ripresa di interesse per la II  Internazionale stia prendendo strade che non hanno a che fare con il  «fallimento» o il «tradimento» del ’14 ma individuano sulla  scorta del vasto e fondamentale cantiere aperto da Georges Haupt le  continuità fra le cosiddette I e II Internazionale proprio come  luogo di incontro di esperienze collettive. Musto è docente di  sociologia teorica e questa conoscenza della densità sociale delle  organizzazioni politiche e delle loro teorie è all’opera nel  volume e nella sua bella introduzione. 
L’Internazionale sorge in anni di grande espansione economica, ma  in cui questa fiduciosa vitalità non si era ancora tradotta in  conquiste stabili dei lavoratori. Molto lentamente le  organizzazioni rivendicative usciranno dall’illegalità negli anni  ’60-’80 con l’eccezione del Regno Unito (in cui esse erano legali dal  1824, ma in cui le pratiche di difesa degli scioperi erano ancora  punite con carcere e deportazione). In molti paesi europei lo  sviluppo della grande industria aveva reso satelliti e subalterne le  manifatture e le piccole imprese creando le condizioni per  l’affermazione di una vera e propria classe operaia moderna, ma la  fonte delle sue capacità contrattuali restava il mestiere. Le sole  organizzazioni quasi sempre legali erano le società di mutuo  soccorso e le cooperative. 
LE LOTTE SOCIALI
Anche se Marx ed Engels semplificavano dicendo che nessun  operaio era stato owenita o sansimoniano, certo non furono i  circoli di studio e i fantasiosi progetti di riforma «socialista»  a dare voce ai lavoratori, ma quelle organizzazioni  mutualistiche e cooperative che molto spesso diventavano anche  luoghi di finanziamento e organizzazione clandestina degli  scioperi. L’intreccio di tutte queste pratiche che coesistevano  nella vita quotidiana dei lavoratori insieme alla centralità dello  sciopero caratterizza la vita dell’Internazionale e ne costituisce  la ricchezza. 
Fra i gruppi aderenti all’Internazionale ci sono, su un piano di  parità, cooperanti, mutualisti, sindacalisti, gruppi di studio,  e anche i nascenti partiti operai. Il volume ricostruisce  l’intelligente opera di Marx nell’associare la radicalità nell’analisi  della società e nelle prospettive ultime a una grande capacità di  tenere insieme queste esperienze diverse a patto che rifiutassero le  pratiche delle sette clandestine. 
Negli anni «senza l’Internazionale», dopo il 1872, e nella stessa II  Internazionale che pure nelle intenzioni dei suoi fondatori  doveva formare dei dirigenti che sapessero distinguere le diverse  funzioni (sindacato, cooperativa, partito, gruppo parlamentare  di un partito socialista) i militanti continueranno a  «sovrapporre» queste funzioni, fondando una cooperativa per  finanziare uno sciopero, chiedendo al Bureau socialiste  international di occuparsi di evitare le migrazioni in luoghi  dove era in corso uno sciopero… le carte del Bureau attestano questa  feconda continuità. 
La raccolta di testi documenta proprio la vastità dell’impegno  degli internazionalisti: il lavoro e le sue trasformazioni, il  ruolo delle lotte sindacali, la cooperazione, la guerra, la  questione irlandese e gli Usa, il ruolo dello stato e e quello  dell’autorganizzazione politica per il presente e per la costruzione  di un futuro di collettivizzazione dei mezzi di produzione. 
Come osserva Musto, non è (solo) la rigorosa critica di Marx ma  gli operai stessi a mettere in scacco il proudhonismo con una  tenace attività di organizzazione degli scioperi che sono il segno  distintivo dell’Internazionale. Il volume segue le vicende dell’AIL  dopo la Comune e la conclusione della sua storia organizzativa  provocata più dalle trasformazioni oggettive, l’inizio della lunga  depressione, il ruolo crescente dei partiti nazionali, che dalla  volontà di Marx di contrastare l’affermazione di forme associative  settarie e del bakunismo. 
VECCHIE E NUOVE STORIE
Ma il volume vuole anche suggerire un’attualità di quelle vicende.  Secondo Marx il sindacalismo, essenziale perché gli operai  imparassero ad autorganizzarsi, non avrebbe potuto migliorare  stabilmente le loro condizioni all’interno del modo di produzione  capitalistico. Oggi dopo un secolo di compromessi avanzati i  processi che semplificando chiamiamo di mondializzazione ci  ripropongono – certo in forme nuove — l’identificazione della  condizione di salariato con quella di povero e di precario. 
Queste non sono dunque «vecchie storie» ma esempi di un  percorso di emancipazione la cui attualità è indicata da Musto  nella conclusione del volume – insieme e filologico e militante –  con l’inno dell’Internazionale nella versione di Franco Fortini: «non  vogliam sperare niente/il nostro sogno è la realtà».
Maria Grazia Meriggi – il manifesto
Fonte
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