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Leggere la Cina dalle sue campagne

Molti di noi hanno sicuramente avuto parenti che hanno raccontato la durezza di quelle condizioni di vita, e soprattutto la durezza delle giornate lavorative che compievano. Orari e mansioni massacranti, che erano svolti non certo per voglia personale o predisposizione alla fatica senza alcuna pausa. Bensì per accumulare al più presto, nell’impossibilità di potersi integrare nel territorio ospite, i soldi necessari a tornare in Italia al luogo natio. Le canzoni che narravano i sogni e le aspirazioni di quegli emigranti si contano a centinaia. E’ un po’ quello che succede in Cina oggi; le centinaia di lavoratori migranti (nonmingong) che affollano i cantieri edili, che effettuano lavoro di cura, che producono le meraviglie tecnologiche più all’avanguardia, spesso si sentono stranieri nella propria nazione.

Non sempre c’è bisogno di analisi sofisticate; spesso anche parlarne con i diretti interessati può offrire un quadro della situazione. Meng Ying, ad esempio, a 17 anni si è spostata dall’Anhui, una provincia interna della Cina, per venire a lavorare nella capitale Pechino; dove molto spesso si confrontava con pregiudizi razzisti nei suoi confronti, con sguardi ostili e con forti discriminazioni solo in quanto migrante. Le narrazioni deterministiche (che affollano viceversa anche i nostri stereotipi sulle loro comunità in Italia) per le quali i cinesi sarebbero intenti a lavorare senza posa data chissà quale propensione genetica, crollano una dopo l’altra di fronte ai sogni e ai desideri di chi è protagonista di queste storie.

Non tutti i lavoratori migranti hanno intenzione di trasferirsi nelle città. Molti di questi, viste le condizioni dure della vita nella metropoli, hanno il sogno di tornare nei loro luoghi d’origine, in campagna. Una campagna cinese sterminata, inquinata dai processi di industrializzazione, spesso fallimentari, che l’hanno punteggiata a partire dall’era delle riforme. Un campagna che però è vista anche come luogo di mantenimento delle proprie tradizioni, della propria cultura, che i processi di urbanizzazione selvaggia in atto nel Regno di Mezzo rischiano sempre più di cancellare, a colpi di requisizioni forzate di terre da dare in pasto agli interessi finanziari dei governatorati locali, sempre in odore di corruzione.

“Non si può capire la Cina contemporanea se non si capisce la sua campagna”, scrive Liang Hong, docente di Letteratura Cinese a Pechino e autrice di due libri che analizzano le vite e le speranze dei lavoratori migranti dalla campagna alla città; ma soprattutto si soffermano sulle storie di chi dalla campagna non si è potuto spostare. Anziani rimasti a coltivare la terra mentre i propri figli e nipoti andavano a cercare di guadagnare in città; o bambini, slegati e distaccati dalle proprie famiglie poiché impossibilitati, a causa della legge sulla residenza, l’hukou, a poter frequentare le scuole in luoghi diversi da quelli dove sono registrati. Se non pagando cifre assolutamente impossibili da permettersi per i propri genitori, che dovrebbero rinunciare ad anni di lavoro e di sudore.

Cifre impossibili come quelle per permettersi un hukou diverso da quello dove si è registrati. Meng Ying negli ultimi 30 anni, dopo essersi spostata a Pechino ha fatto la baby-sitter, poi si è spostata al mercato cittadino a vendere vestiti, poi ancora ha fatto la governante in casa di una ricca signora straniera. Trent’anni di lavoro che sebbene le abbiano permesso di fare un po’ di soldi e costruire una famiglia a Pechino, l’hanno slegata dal luogo d’origine dove torna ogni anno ora che può permettersi più spesso di viaggiare tra i due luoghi. Tante persone con cui è cresciuta hanno effettuato gli stessi viaggi, spesso arrivando anche fino a Shanghai, Canton, Shenzhen, alcuni arricchendosi e stabilendosi, altri invece rimanendo vittime di meccanismi di sfruttamento nelle grandi fabbriche per l’export.

Poteva ottenere l’hukou della capitale, che assicura servizi di welfare enormemente migliori di quelli di altre zone del paese, solamente pagando cifre altissime, piegandosi ad una legge che permette di ottenere profitti anche dai diritti sociali di base. Le leggi si possono sempre aggirare, basta pagare..Meng Ying è stata fortunata, poiché grazie al matrimonio con un uomo di Pechino ha potuto sfruttare un rilassamento della politica sull’hukou risalente a dieci anni fa, che permette a suo figlio di avere la residenza nella capitale come il padre. Ma in caso contrario, questo sarebbe stato impossibile come per milioni di lavoratori che si affollano nelle periferie della capitale, aspettando di guadagnare abbastanza per andarsene. Ora ha aperto le pratiche, avendo raggiunto i 45 anni ed essendo sposata con un cittadino della capitale, per poterlo ottenere anche lei; ma la burocrazia necessaria è infinita.

Certo non una scelta, ci dice riguardo alla traiettoria che ha preso la sua vita. Bensì un’opzione obbligata per riuscire a sopravvivere e a guadagnare quanto necessario per costruirsi una famiglia. Esistono, certo, tantissimi nonmingong intenzionati a prendere residenza nelle grandi città dove si insediano, ma una buona parte invece non cerca altro che un’accumulazione temporanea finalizzata al ritorno in campagna. Una volontà che cozza con quella del governo, che invece vorrebbe sempre più legarli alle città di nuova creazione o in via di sviluppo per renderli consumatori urbani a tutti gli effetti, città che però molto spesso quanto a vivibilità sono veri e propri incubi per chi è abituato alla dimensione comunitaria delle zone rurali. Non a caso tra le riforme in cantiere c’è proprio quella che permetterebbe la vendita diretta dei propri terreni in campagna, ora impossibilitata a livello legale poiché sono i villaggi ad avere la decisione ultima sulla vendita o meno degli appezzamenti.

Ora il villaggio di Meng Ying si è arricchito, sfruttando il boom dell’economia cinese che ha portato strade ed elettricità in zone dove erano sconosciute. Un boom che ha tanti aspetti positivi, ma anche pieno di contraddizioni: basti pensare a quello che si vede solamente facendo il tragitto in treno da Shanghai-Pechino. Un tragitto ad alta velocità che taglia la campagna cinese, e che mostra un flusso ininterrotto di grattacieli, di fabbriche, di nuovi cantieri che sorgono dove prima era tutto incontaminato. Producendo da un lato grandi possibilità economiche, ma dall’altro anche distruggendo ecosistemi a causa dell’inquinamento e della crescita urbanistica evidentemente scevra da alcun piano regolatore. Una contraddizione forte, troppo spesso narrata in termini di pura ingegneria sociale e di provvedimenti “iineludibili”, ma che prende una tinta diversa se letta a partire dai sogni e dai desideri di chi il miracolo economico cinese lo ha costruito giorno dopo giorno.

Chongtu

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