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Lo Stato della Peste

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Riprendiamo la traduzione di questa intervista di Brooklyn Rail a Chuang a cura di Internazionale Vitalista che fa il punto sui processi attivati dallo scoppio della pandemia in Cina. Buona lettura!

 

Chuang è un collettivo comunista internazionale che pubblica una rivista omonima e un blog.1 Il loro contenuto include interviste, traduzioni e articoli originali sull’ascesa della Cina attraverso le macerie ammucchiate della storia e le lotte di quelli trascinati sotto di esse. Attraverso anni di ricerca sul campo, il collettivo ha sviluppato un’analisi comunista incisiva che enfatizza le dimensioni globali dell’esperienza cinese, non offuscata dai dibattiti del XX secolo e sostenuta da una continua attenzione alle mutevoli condizioni della lotta proletaria in Cina e oltre. Nei loro attenti interventi teorici e nelle finestre sulla vita quotidiana visibili sul loro blog, il collettivo ha sempre enfatizzato le lezioni pratiche per le molte battaglie condotte dai proletari di tutto il mondo oggi e nel prossimo futuro.

Per questo numero del Brooklyn Rail, Aminda Smith e Fabio Lanza hanno intervistato Chuang sul loro primo libro, Social Contagion and Other Material on Microbiological Class War in China, in uscita a ottobre come uno di una serie di nuovi titoli della storica Charles H. Kerr Publishing Company.2 Smith è uno storico della Cina moderna, co-direttore del PRC History Group e professore associato alla Michigan State University. Lanza è professore di storia cinese moderna all’Università dell’Arizona.

Il libro include una versione aggiornata del loro autorevole articolo “Contagio Sociale” (originariamente pubblicato nel febbraio 2020), una traduzione di un rapporto cinese sulle condizioni dei lavoratori e sulle lotte sindacali durante e dopo il picco della pandemia interna di COVID-19, un’intervista con due attivisti sulle loro esperienze a Wuhan durante i primi mesi dell’epidemia, e un lungo articolo su come la classe dominante abbia tentato di usare questa catastrofe come un’opportunità per ristrutturare ed espandere lo stato nell’interesse dell’accumulazione capitalistica a lungo termine. Nel complesso, il libro fornisce una nuova e sorprendente prospettiva sulla relazione tra il capitalismo, la pandemia, il progetto di costruzione dello stato in Cina, e l’azione della gente comune.

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Preorder del libro su AK PRESS

Aminda Smith e Fabio Lanza (Rail):

La visione generale riguardo la risposta della Cina alla pandemia, promossa tanto dai media occidentali quanto dal Partito Comunista Cinese (PCC), è che essa ha avuto successo grazie all’enorme capacità dello stato, la sua natura autoritaria o persino totalitaria, la sua profonda penetrazione in ogni aspetto della vita sociale, tutte caratteristiche che rendono questo modello inapplicabile e/o indigeribile negli USA o in Europa. Nel libro voi ipotizzate, in maniera abbastanza convincente, che la pandemia ha rivelato invece una debolezza dello stato, e che lo stato in ultima analisi ha potuto gestire la crisi riconoscendo la propria debolezza e delegando autorità ai governi locali e a gruppi volontari ad hoc. Questa è una tesi affascinante, potete spiegare com’è stata strutturata la risposta dello stato alla pandemia, cosa ha fallito e cosa alla fine ha funzionato?

Chuang: Questa è senz’altro un visione pervasiva, sia in Cina che all’estero. Parte delle ragioni per cui è si è rivelata così efficace nell’oscurare cosa è veramente accaduto durante la pandemia sta nel fatto che questa immagine di uno stato che sa tutto era già diffusa precedentemente. Potremmo forse chiamarlo “mito della onnipotenza totalitaria”. Ma è importante notare come questo mito non sia soltanto coltivato dagli organi ufficiali del partito-stato in Cina per proteggere i suoi interessi. In realtà è propagandato molto più avidamente nei media occidentali, per esempio attraverso una serie di articoli da oscuro clickbait sino-futurista che parlano di come tutti in Cina abbiano un “punteggio di crediti sociali” che determina le lore scelte di vita, di come la tecnologia del riconoscimento facciale in tutte le città principali produca sanzioni in automatico per piccole infrazioni o di come il governo stia pianificando l’insediamento di centinaia di migliaia di suoi stessi cittadini in paesi lontani in Africa. Nessuna di queste cose è vera, ma un contesto di bombardamento costante di contenuti del genere coltiva naturalmente un’immagine mitica di uno stato onnipotente. 

Questo mito travisa due cose. In primo luogo, oscura la persistente debolezza dello Stato e il fatto che la Cina, a dispetto delle sue luccicanti skyline, è per molti aspetti ancora un paese povero, specie quanto al reddito pro capite. Se si comparano i parametri veramente fondamentali – come il totale degli introiti fiscali che arrivano al governo centrale in Cina rispetto al totale degli introiti fiscali che arrivano al governo federale negli USA – ciò diventa rapidamente chiaro. E in termini individuali la differenza è ovviamente amplificata in maniera enorme. In un altro esempio rilevante, la spesa pro capite della Cina per la salute, benché sia cresciuta, è sempre bassa se comparata a quella di altri paesi con livelli di sviluppo simili. Ciò dimostra tra l’altro che l’amministrazione statale è stata fondamentalmente modellata dalla necessità di “comandare a distanza” definita da alti gradi di autonomia locale, balcanizzazione al comando e alle strutture di sorveglianza, e un margine sostanziale per la corruzione. Storicamente ciò ha conferito ai livelli più bassi di governo molto più margine di manovra e indipendenza in Cina di quella che hanno altrove, e tutte queste caratteristiche sono state in realtà importanti per lo sviluppo di una classe capitalista nazionale. La corruzione, per esempio, non è necessariamente “inefficiente”; è un aspetto del tutto normale dello sviluppo capitalista perché è come nascono i capitalisti all’inizio dell’apertura di un mercato quando le regole di ingaggio non sono ben definite. Soltanto dopo che l’accumulazione raggiunge una certa soglia tutte queste caratteristiche diventano d’intralcio.

In secondo luogo, questo rende difficile capire a fondo che la classe dominante in Cina è stata impegnata in un progetto piuttosto esteso di costruzione dello stato, che ha impiegato decenni ma che ha in realtà  iniziato ad accelerare sotto Xi Jinping. Le due cose sono connesse, ovviamente, dal momento che la necessità di costruzione dello stato presuppone una qualche forma di debolezza. L’accumulazione è andata così  avanti che la corruzione, le catene di comando deboli, e la mancanza di canali d’informazione affidabili hanno iniziato a diventare più un intralcio che un beneficio. La rapida crescita del debito del governo locale, legata ai progetti d’investimento infrastrutturale negli anni 2010, è stata un chiaro segno di questo problema. La campagna anti-corruzione aveva come scopo quello di affrontare la questione ai livelli più alti, facendo fuori i tycoon delle province che rappresentavano una minaccia potenziale al governo centrale, riordinando da cima a fondo le catene di comando e i canali d’informazione. Accanto a ciò vi sono stati aspetti molto più mondani, quali le riforme nella metodologia usata dall’Ufficio Nazionale delle Statistiche e i tentativi di integrare in modo più efficace ogni sorta di registri pubblici. In modo simile, numerose campagne repressive contro le femministe, i centri dei lavoratori e i gruppi studenteschi maoisti hanno mostrato anche come vi fossero tentativi di integrazione simili nell’infrastruttura poliziesca più larga. La gente spesso non sa che la Cina è stata un posto dove, per decenni, era abbastanza facile evitare di essere perseguiti per molti reati semplicemente spostandosi in un’altra città – almeno fin quando non si fosse attirata l’attenzione del governo centrale – e dove c’era un livello di arbitrio spaventoso delle autorità locali nel determinare le sanzioni, il che significava anche che era facile tirarsi fuori dai guai se si avevano amicizie nel locale commissariato. Tuttora spesso la polizia locale non può avere accesso a banche dati nazionali semplici e standardizzate, così che non può sempre risalire a una patente, processare le impronte digitali, o usare un DNA, anche se potrebbe registrare questa informazione localmente. Ciò sta rapidamente iniziando a cambiare, ma c’è una grande differenza tanto con ciò a cui si è abituati in molti paesi tanto con il mito dell’onnipotenza totalitaria, che naturalmente assume che questi sistemi siano più integrati e più pervasivi in Cina che in qualsiasi altro posto.

Ora, come si collega questo alla pandemia? Bene, l’esempio ovvio è che questa delega di autorità a livello locale è stata disastrosa. Fa sorridere a pensarci, a dispetto di tutti i miti su quanto sia stato effettivo questo contenimento. Dopo tutto, un focolaio con una origine geografica chiara e identificata rapidamente è diventata alla fine una epidemia nazionale e poi una pandemia globale. 

Come è potuto succedere, visto che i medici avevano identificato molto presto che una nuova malattia respiratoria mortale si stava diffondendo in città? E quando questo è stato poi chiaramente collegato a un coronavirus? In gran parte, è perché i funzionari locali si sono affrettati a sopprimere le informazioni sull’epidemia mentre stava emergendo dagli ospedali, persino nascondendo le informazioni allo stato centrale, il tutto mentre non si faceva nulla per limitare i viaggi, chiudere le imprese o incoraggiare l’uso di mascherine quando queste cose sarebbero state più utili. Il libro include una lunga intervista con degli amici di Wuhan, che offrono una cronologia dettagliata degli eventi e spiegano quali informazioni venivano fornite sul campo nel corso del tempo. Sottolineano per esempio un fatto strano: i loro amici di Shanghai sapevano di più sull’epidemia, in una data precedente, di molte persone che vivevano nella stessa Wuhan. Un’altro aspetto che si nota in questo racconto di prima mano è come ci sia stato un improvviso cambiamento nella gestione politica, effettivamente nell’arco di una notte, dove sembra che qualche autorità superiore sia finalmente intervenuta per implementare con decisione il lockdown. Questo di solito è un segno che il governo centrale è stato coinvolto, mettendo i funzionari locali sotto il suo diretto comando.

Dobbiamo quindi comprendere il focolaio come un enorme fallimento iniziale – segnalato dal fatto che è diventato una pandemia oggi ancora tra noi – e che è stato tenuto sotto controllo a livello interno solo grazie all’impegno coordinato di centinaia di migliaia di persone comuni, che lavoravano spesso su base volontaria accanto alle autorità locali. Non è un’esagerazione affermare che l’epidemia non sarebbe mai stata contenuta se non fosse stato per l’impegno di questi volontari. Allo stesso tempo è stato un caso del tutto fortuito che il focolaio sia emerso in maniera rilevante in una sola città e, in aggiunta, alla vigilia della Festa di Primavera (capodanno cinese n.d.T.), quando tutti avevano già fatto rifornimenti sapendo che i negozi sarebbero rimasti chiusi. L’impatto immediato del lockdown è stato dunque minimizzato e lo stato centrale ha potuto concentrare la maggior parte delle sue risorse su Wuhan (e in misura minore a Pechino, dove poi il governo centrale risiede). Allo stesso tempo il governo centrale, attraverso i centri per la prevenzione e il controllo delle malattie, ha compreso l’importanza di aprire il flusso di informazioni, invitando gli ispettori sanitari internazionali, condividendo fin da subito le ricerche sul nuovo virus e creando rapidamente degli standard di prevenzioni facilmente applicabili che peccavano di eccesso di sicurezza. Allo stesso modo sono intervenuti per assicurare la manutenzione dei sistemi di fornitura alimentare e di energia elettrica. A questo livello si può identificare un certo successo. Per tutto il tempo, il governo ha riconosciuto la propria incapacità e ha delegato molto efficacemente e rapidamente una vasta porzione di autorità amministrativa de facto al livello più basso di governo, che comprendeva tutta una serie di organi amministrativi sostenuti in ogni punto dagli sforzi dei volontari.

Rail: Durante l’era di Mao ( voi usate il termine “regime di sviluppo”) lo stato fece uno sforzo per raggiungere la società, fino al livello di quartiere, attraverso forme organizzative ibride come i comitati di residenti. Questi sono ancora in funzione, quale è stato dunque il loro ruolo durante la pandemia? Le loro capacità organizzative erano state ridotte durante il periodo della riforma?

Chuang: In quello che chiamiamo regime di sviluppo (dagli anni cinquanta alla transizione capitalista ripristinata negli anni settanta), c’è stato un tentativo goffo di estendere lo stato verso il basso fino al livello più locale della società e una sorta di aspettativa che così facendo lo stato stesso cessasse di essere una presenza distante e aliena nella vita della gente e che diventasse al contrario un’istituzione pienamente universale. Il processo era formulato così, almeno in teoria. In realtà, ciò che accadde fu un’estensione dell’autorità centrale incompleta e geograficamente non uniforme, seguita da una frammentazione di quell’autorità in molti siti autarchici di processo decisionale. I principali simboli di questo esperimento non furono in realtà i comitati dei residenti, ma piuttosto i collegamenti con il partito e l’apparato di pianificazione che si formarono nelle imprese e nei collettivi rurali. Nel caso rurale, alcuni di questi legami sono stati conservati nelle riforme iniziate negli anni ’80 e formalizzati nello status giuridico di “autonomia del villaggio”, centrato sul comitato dei residenti come unità fondamentale dell’amministrazione rurale.

I comitati dei residenti furono creati inizialmente nelle aree urbane durante il regime di sviluppo ma non erano i luoghi principali dell’amministrazione locale. Al contrario la governance di tutti i giorni fu assegnata principalmente a varie imprese cittadine perlopiù autarchiche. Un abitante di un complesso urbano in quegli anni riceveva gratuitamente la maggior parte dei beni di consumo di base (abitazione, vestiti, cibo ma anche l’intrattenimento) attraverso il danwei, o unità di lavoro, connessa ad una determinata impresa. I comitati dei residenti furono creati in realtà per gestire la (inizialmente) esigua percentuale di popolazione urbana che non aveva un danwei. Verso la fine del regime di sviluppo, tuttavia, in molte città (specialmente nel Sud) si iniziò a registrare una crescita di lavoratori immigrati dalle campagne. Tecnicamente, visto che questi lavoratori non avevano un danwei urbano di riferimento, risultavano sotto l’autorità amministrativa del comitato dei residenti del tale distretto in cui vivevano o lavoravano. All’inizio erano più che altro lavoratori stagionali. Col tempo divennero sempre più una caratteristica permanente della città. Quando il regime di sviluppo cominciò a collassare e la transizione capitalista a ripristinarsi,3 molte città registrarono una crescita rapida sebbene il sistema di welfare delle vecchie imprese e delle unità di lavoro si stesse sgretolando. Il risultato finale fu che la maggior parte delle persone che vivevano in città non avevano legami con alcuna impresa locale e quindi ricadevano sotto l’autorità dei comitati di residenti.

Così il comitato dei residenti si rivelò un’istituzione del tutto marginale che solo incidentalmente sopravvisse allo smantellamento del regime di sviluppo ed emerse per adempiere ad una funzione completamente diversa da quella originariamente prevista. Inizialmente, però, lo stato non aveva affatto le risorse per costruire adeguatamente l’infrastruttura del governo locale. Nel corso degli anni ’80 e ’90, sia nelle aree rurali che in quelle urbane, ci furono una serie di cambiamenti legislativi che concedevano “autonomia” agli organi amministrativi locali e designavano il comitato dei residenti di “comunità/quartiere” (社区) come unità fondamentale dell’amministrazione urbana, simile ai comitati di villaggio nelle campagne, dove queste riforme furono accompagnate dalla implementazione di elezioni locali. Ma tutto questo è stato fatto in un contesto di generale arretramento dell’autorità statale. È davvero solo negli ultimi anni che l’attenzione è tornata a concentrarsi sulla costruzione dello stato a livello locale. La pandemia è stata una spinta enorme in questo senso, poiché ha diviso molto chiaramente le aree in cui i comitati dei residenti erano funzionali da quelle in cui non lo erano. In molti luoghi, i comitati erano effettivamente rimasti vuoti per anni. In altri, avevano funzionato più che altro come un luogo per le forme più mediocri di corruzione locale e non avevano mai offerto alcun vero servizio pubblico. Ora, è perlomeno chiaro che ci sarà un tentativo concertato di costruire questi organi, portarli sotto catene di comando più chiare, collegarli più strettamente con i distretti di polizia locale, ecc.

Rail: Descrivete, in dettaglio, un processo di mobilitazione di massa in risposta alla pandemia, con gruppi di volontari che fornivano ogni sorta di servizio, sia nel contenimento della diffusione che nell’aiutare la gente a sopravvivere, e tuttavia esprimete chiaramente il fatto che questa mobilitazione non era necessariamente contro lo stato, né che abbia rappresentato una minaccia alla legittimità del PCC, nonostante la gestione carente della crisi. Pare inoltre che, in alcuni casi, queste esperienze di muto appoggio abbiano rafforzato le divisioni sociali preesistenti invece di essere occasione di alleanze trasversali nella società. Perché?

Chuang: A volte i volontari operavano in modo completamente indipendente dal governo. Ma c’erano alcuni casi sparuti in cui avevano compreso che la loro attività era nettamente in opposizione ad esso e, quando lo stato è subentrato mesi dopo per chiedergli di sospendere le attività, loro lo fecero. Questo non per dire che il processo non fosse complesso e a volte persino antagonista. In molte zone, specialmente in campagna, c’è stata una mobilitazione locale abbastanza aggressiva improntata tendenzialmente all’esclusione di ogni persona che veniva da fuori. Sui social network cinesi circolavano immagini di abitanti dei villaggi di mezza età che presidiavano le barricate con alabarde antiche (una illustrazione di una scena del genere si trova sulla copertina del libro), o ronde di volontari di quartiere che utilizzavano droni e urlavano a chiunque si trovasse all’aperto. Immagini popolari e molto spesso scanzonate ma ai suoi estremi la stessa attitudine si è rivelata spesso pericolosa, xenofoba e violenta. In un caso un motociclista è stato decapitato perché l’entrata di un villaggio era stata chiuso con un cavo per impedire ai forestieri di accedervi. E quando la provincia dell’Hubei (dove si trova Wuhan) è stata riaperta si sono registrati scontri al confine con la provincia dello Jiangxi, inclusi diversi corpi di polizia di entrambi i lati che si combattevano, perché a Jiangxi si riteneva troppo pericoloso far entrare gente dall’Hubei. 

È difficile sottolineare quanto l’atteggiamento pubblico di base in Cina fosse diverso da quello di molti paesi occidentali. Né si trattava di un caso in cui tutti si fidavano del governo e si offrivano di aiutare in virtù di una qualche fede nell’autorità. In effetti, era vero l’esatto contrario: molte persone si sentivano spinte a fare volontariato proprio perché non avevano fiducia che lo stato sarebbe stato in grado di contenere efficacemente il virus. Avevano visto  in prima persona, per tutta la loro vita, l’incapacità e la corruzione dei funzionari locali e non avevano quindi fiducia che queste persone sarebbero state in grado di portare a termine il lavoro. Se c’è stata una differenza chiave, non era da cercare in qualche immaginaria obbedienza allo stato. Piuttosto, sembra che il principale contrasto tra il sentore comune in Cina e altrove fosse che una diffusa mancanza di fiducia nello stato, un’intuizione che il problema non sarebbe stato risolto automaticamente dalle autorità competenti e che tutti dovevano unirsi per mobilitarsi contro il virus. In posti come gli Stati Uniti, il fallimento della capacità statale aveva un carattere quasi esattamente opposto, in cui nessuno era veramente preparato a riconoscere e ad affrontare la realtà del declino delle competenze, specialmente quando si trattava di depotenziare i servizi pubblici. Quindi si è avuto un atteggiamento molto diverso negli Stati Uniti, con chi criticava la risposta del proprio stato in piccole proteste contro le mascherine, e altri che sostenevano le misure statali o speravano in una risposta maggiore ma lo facevano da casa.

Rail: E per quanto riguarda i lavoratori? La pandemia ha aperto nuove possibilità per una mobilitazione contro il capitale o ha favorito lo sbarramento delle vie all’organizzazione e all’azione?

Chuang: A differenza della (relativa) ripresa nell’economia interna della seconda metà del 2020 e fino a quest’anno, ci sono state molte meno azioni dei lavoratori che negli anni precedenti. Lo si evince dalle poche statistiche che si possono trovare in organizzazioni come il China Labour Bulletin (CLB) che ha registrato poco più della metà degli episodi nel 2020 rispetto agli anni precedenti e questi numeri sembrano accordarsi a quelli che noi e i nostri amici abbiamo visto sul campo. Il settore manifatturiero e quello estrattivo hanno fatto da padrone in questa tendenza, continuando un trend pluriennale di declino di episodi di massa dal picco raggiunto all’inizio degli anni 2010. Seguito dalla maggior parte degli altri settori. Il calo delle proteste nel settore manifatturiero potrebbe anche essere messo in relazione con l’esplosione della produzione verso la fine dell’anno, dove la Cina, le cui fabbriche sono rimaste aperte laddove molte altre erano state chiuse in giro per il mondo, ha visto un aumento dei salari e una carenza di lavoro con le compagnie che faticavano per restare in pari con la domanda di esportazioni.4 Le dispute nel settore manifatturiero e nei servizi hanno iniziato la loro ripresa nella metà del 2020 (come documentato nella traduzione dell’articolo scritto da alcuni nostri amici che serve da secondo capitolo al libro) ma è discutibile fino a che punto il numero delle dispute rifletta il numero delle azioni dei lavoratori. Mentre le statistiche non sono ancora disponibili per tutto il 2020, sembra che le controversie di lavoro, come misura generale del conflitto, siano state almeno alla pari con l’anno precedente. Per esempio, a Pechino, i tribunali di arbitrato del lavoro hanno preso in carico più di 94.000 casi nei 10 mesi tra gennaio e ottobre.5 Ciò corrisponde essenzialmente ai 93.000 casi rilevati nei nove mesi tra gennaio e settembre del 2019, che era già un aumento del 37,4% rispetto all’anno precedente.6

Curiosa tuttavia la crescita nel numero delle proteste nel 2020 dei lavoratori del reparto edilizio per i salari arretrati, come riportato dal CLB – la più grande rilevata dall’organizzazione da quando ha cominciato la sua attività di mappatura nel 2011. E forse ancora più stranamente, nei primi mesi del 2021, è mancata una di quelle massicce ondate di proteste dei lavoratori edili che normalmente si vedono prima del Capodanno cinese, quando i lavoratori bloccano le strade, fanno cortei o addirittura minacciano di suicidarsi per guadagnare la paga di fine anno e non tornare a casa a mani vuote. Ciò può essere dovuto in parte alle restrizioni del COVID-19 sui viaggi imposti ai lavoratori durante i festeggiamenti del Nuovo Anno. Alcune stime mostrano come il numero delle persone che si sono messe in viaggio nel 2021 è calato di circa il 60% toccando il punto più basso nell’arco di vent’anni per quanto riguarda i viaggi registrati.7 Al contrario le agitazioni dei lavoratori nel settore della logistica fanno parte di un’area che ha conosciuto una significativa espansione nel corso della pandemia. Le azioni dei lavoratori della logistica hanno rappresentato il 20% del totale delle azioni dei lavoratori nel 2020, il livello più alto da molti anni. Questo settore produrrà  probabilmente livelli alti di scontro sociale negli anni a venire, dato che l’e-commerce continua ad espandersi. Praticamente tutte le agitazioni di alto profilo sul posto del lavoro dell’anno passato (2020) coinvolgevano rider delle consegne. Allo stesso tempo abbiamo tradotto un articolo virale8 sul dramma dei rider delle consegne di cibo, uno di quelli che circolavano già in Cina, dando la scintilla per una discussione pubblica a livello nazionale e provocando addirittura un paio di dichiarazioni di rito da parte dei due giganti dell consegne Ele.me e Meituan. Queste dichiarazioni erano accompagnate tuttavia da tiepidi cambiamenti con le compagnie che operavano solo piccole modifiche che permettono ai rider di avere un po’ più di tempo per gli ordini ma che hanno fatto poco per affrontare le i problemi soggiacenti alle rimostranze dei lavoratori. 

Poi alla fine di Febbraio 2021 viene arrestato Chen Guojiang – conosciuto semplicemente come “Mengzhu” o “leader del gruppo” (盟主) da amici e attivisti – il più famoso sindacalista di base in Cina, organizzatore dei rider delle consegne, con l‘intenzione evidente di tenere a bada la star dei social network senza peli sulla lingua durante il congresso nazionale del Partito agli inizi di Marzo. Da quel momento Chen è stato accusato di “cercare dispute e provocare problemi” (寻衅滋事) l’accusa più comune per fermare ogni sorta di attaccabrighe in tutto il paese da un po’ di anni a questa parte.9 Alcuni amici hanno parlato con Chen prima che venisse arrestato, venendo a conoscenza di come si organizzasse. Facendo base a Pechino, aveva mantenuto un’ampia rete di migliaia di rider delle consegne, specialmente nel nord del Paese. Aveva sviluppato il network in parte grazie alla sua forte presenza sui social, facendo delle dirette che raccontavano la vita dei rider. Forniva inoltre consigli ad altri rider e arrivò addirittura ad affittare un piccolo appartamento con un letto a Pechino, dove i rider che erano nuovi in città potevano riposarsi gratuitamente una o due notti in attesa di trovare una sistemazione propria. Chi lo conosceva racconta inoltre di come Mengzhu abbia trasformato la sua piattaforma in una sorta di piccolo business per un tornaconto personale, guadagnando da piccole commissioni qui e là, tra cui dei bonus per raccomandare i rider alla piattaforma, o da eventi per i rider che moderava. Quando operava nella piattaforma, Mengzhu ha inoltre contribuito ad organizzare diversi scioperi dei rider, a quanto pare di successo nella soddisfazione delle richieste dei lavoratori. Lui ed altri organizzatori sono stati trascinati a forza dalla polizia durante alcuni scioperi nel 2019. Nella sua discussione con i nostri amici, ha fatto notare con enfasi che il suo stile organizzativo non poteva essere emulato, e ha imputato la sua fascinazione diffusa alla sua ossessione personale per il networking, l’aiutare gli altri e lo streaming di contenuti al suo pubblico. Mentre scriviamo le risposte per questa intervista Chen è ancora detenuto in attesa del processo.10 Amici di Mengzhu hanno cercato di raccogliere fondi su WeChat per le spese processuali, ma il link della pagina è stato rimosso dai censori.

Mengzhu offre un quadro interessante della realtà complessa e spesso contraddittoria dell’organizzazione dei lavoratori in Cina, che raramente corrisponde al miraggio del “movimento operaio” propagandato da molti attivisti. In questo caso, la fama dei social media e persino una sorta di ethos imprenditoriale della piccola impresa sembrano essere stati parte integrante della crescita del network di Mengzhu. Queste complessità inaspettate sono, secondo noi, un elemento fondamentale per comprendere l’organizzazione dei lavoratori nel lungo periodo. Sia nel primo che nel secondo numero della nostra rivista, abbiamo cercato di enfatizzare una visione più ampia dell’organizzazione che andasse oltre i limiti del “movimento operaio”, che funge da sfondo teorico per così tante analisi del conflitto di classe in Cina.11 In futuro, sarà ancora più essenziale abbandonare le assunzioni ereditate su come dovrebbe essere un “movimento operaio” o anche un più generale “movimento sociale”, se vogliamo capire il vero carattere della guerra di classe. Per esempio, accanto al recente aumento delle azioni di fabbrica, potremmo prendere nota della potenziale forza sociale della frangia in espansione dei lavoratori disoccupati e sottoccupati, che stanno crescendo di numero in tutto il paese. Al livello più basso, questo è accennato dall’organizzazione tra i rider delle consegne e dalle continue demolizioni di abitazioni destinate alla cosiddetta “popolazione di fascia bassa” (低端人口).12 Ma è anche visibile tra coloro che occupano posizioni sociali marginalmente più alte, come nel discorso sull’”involuzione” (内卷) e l’orario di lavoro “996”13 tra i colletti bianchi, o anche nel crescente numero di proteste dei proprietari di casa.14

Non è ancora chiaro come queste tendenze influenzeranno le tensioni sociali. Ma il rallentamento delle crescita economica in corso sembra indicare che questi trend si acuiranno con un ulteriore stagnazione. L’entità della disoccupazione in Cina nell’anno di pandemia passato è ancora poco compresa e non è credibile che la situazione migliori significativamente. Nel congresso del Partito di Marzo 2021, il premier Li Keqiang ha definito “priorità assoluta” del governo centrale la creazione di nuovi posti di lavoro, un dato che sembra indicare che l’indice dell’impiego non si sia ancora ripreso completamente dal declino. Dato confermato ulteriormente dal fatto che è stato il boom del real estate – piuttosto che una ripresa industriale – a tirare fuori dal pantano l’economia nazionale dopo il lockdown. Allo stesso tempo dobbiamo tenere a mente come le incertezze economiche abbiano colpito maggiormente i settori dei colletti bianchi benestanti, o anche della piccola borghesia, che senza dubbio subiscono la pressione delle perdite di lavoro e dei tagli agli stipendi o la decimazione delle loro attività, tutto questo a monte di un carico pesante di debito che già si portavano dietro da prima della pandemia. E se queste tensioni sociali possono non sembrare così intrinsecamente tendenti a sinistra come le lotte operaie, è tuttavia verosimile che continuino a produrre ondate e, sfortunatamente, a catturare maggiormente l’attenzione e l’azione dell’elite politica. Come abbiamo annotato sull’ultimo numero della nostra rivista, i disordini legati ai proprietari di case sembrano aver superato in numero le proteste sul posto di lavoro nell’ultima parte degli anni 2010. Ora nel mondo pandemico e post-pandemico la politica di classe assumerà probabilmente forme inaspettate basate su tensioni sociali soggiacenti come queste. È questa realtà – piuttosto che una dozzinale analogia storica – che dovrebbe servire da punto di partenza per chiunque voglia cercare di analizzare il futuro del conflitto di classe in Cina.

Rail: Alla fine del libro, voi fate un ragionamento abbastanza interessante, e si potrebbe dire speculativo, sul futuro dello stato cinese, dato che la pandemia ha reso chiara la necessità di ricostruirlo. Sostenete che mentre continuerà nella sua funzione primaria al servizio del capitalismo, lo stato si sta ristrutturando in qualcosa di diverso dagli stati occidentali o dai suoi precedenti imperiali e socialisti, pur riciclando elementi di tutti questi modelli. Per quali nuovi bisogni specifici e nuove sfide viene ristrutturato questo nuovo stato e su quali principi ideologici si basa?

Chuang: Sostanzialmente l’idea al centro della questione è duplice. Punto primo, sosteniamo che la Cina è ancora in un processo di costruzione di uno stato propriamente capitalista. Non c’è nulla di veramente nuovo in questo, naturalmente, e gli imperativi fondamentali dello stato capitalista sono più o meno universali, il che significa che molti aspetti di questo processo sono molto simili ai progetti di costruzione dello stato che hanno accompagnato lo sviluppo capitalista altrove. Ma, in secondo luogo, è anche sbagliato assumere che questo significhi che lo stato che si sta costruendo oggi in Cina assomiglierà necessariamente nei suoi dettagli a uno qualsiasi dei precedenti stati capitalisti sorti in luoghi come gli Stati Uniti, l’Europa o le colonie. Questi imperativi fondamentali ed universali del capitalismo sono requisiti di partenza, ma l’esistenza di funzioni universali non ci fornisce una buona panoramica sulle esatte strutture istituzionali che sono adeguate a servirle. In realtà ci si aspetterebbe fosse vero l’opposto: al cambiamento delle condizioni di accumulazione globale del capitale, questo progetto di costruzione dello stato diventa sempre più parte integrante dell’intero processo di sviluppo. Spesso la gente dimentica che una delle intuizioni più consistenti di Marx su come il capitalismo si sarebbe sviluppato è che la scala sociale di produzione sarebbe cresciuta con la centralizzazione industriale, e che il sistema creditizio avrebbe giocato un ruolo predominante nella gestione di un’accumulazione su una scala del genere. È quindi così inaspettato essere testimoni dell’emergere di uno stato che supervisiona conglomerati industriali di massa e allo stesso tempo prova a disciplinare e a dirigere le loro attività attraverso un controllo istituzionale e la fornitura di credito tramite le grandi banche di stato (e non, vale la pena notarlo, principalmente tramite iniezioni fiscali)?

Ad un livello più filosofico, c’è un’altra dimensione per questa seconda tesi. Visto che non si tratta solo del fatto che è richiesto a degli stati che sono maggiormente in espansione di garantire le condizioni di base per l’accumulazione. Si affronta anche la questione di come tale processo sia percepito dagli attori coinvolti e di quale sorta di forma ideologica possa prendere. In parte questo pezzo è stato scritto come una replica a tutta quella moda che, nella filosofia occidentale, cerca di teorizzare “lo stato” in sé solamente attraverso riferimenti ad esperienze europee e alla genealogia della civiltà che risale fino a Roma – come se il diritto romano aprisse questa finestra segreta sui meccanismi dello stato odierno. Noi diciamo di no: non puoi prendere qualcosa che Foucault o Agamben o addirittura Mbembe hanno scritto riguardo l’Europa moderna, l’antica Roma o il mondo coloniale e applicarla all’ingrosso in Cina, come se la logica dell’arte di governare fosse stata trapiantata interamente dall’esterno, introdotta con la transizione al capitalismo. In realtà vogliamo sottolineare l’arroganza esasperante dei filosofi che scrivono critiche dell’“impero” o della “civilizzazione” che ignorano completamente la storia degli imperi più grandi e più duraturi in Asia (per non nominare l’Africa o le Americhe). 

In questo caso la realtà è ancora più incriminante, perché la Cina ha la sua tradizione filosofica dinamica e di lunga data, che si è sempre preoccupata (si potrebbe sostenere, in realtà, che sia la sua preoccupazione principale) delle questioni di governance e dell’arte di governare. Soprattutto, questa tradizione filosofica è stata riportata in auge attivamente, fusa con ceppi conservatori del pensiero occidentale,  impiegata selettivamente da chi è al potere per giustificare ideologicamente, concettualizzare o addirittura guidare il progresso materiale della costruzione dello stato sul campo. Non si può affermare che questa filosofia funga da “manuale” per chi è al potere, o addirittura che fornisca una fotografia accurata di come il potere statale funzioni nella realtà. Di fatto segnala spesso l’opposto, idealizzando lo stato e affermando una missione quasi cosmologica del PCC, che ha il compito di guidare il rinnovamento spirituale della cosiddetta nazione cinese. Ma questa è in sé una caratteristica importante di come tale processo sia stato espresso nella riflessione su se stesso. Per tutte queste ragioni abbiamo preso in prestito qualcosa dal linguaggio pomposo di quei filosofi per dare a questo capitolo un titolo malizioso: “La Peste Illumina la Grande Unità di Tutti Sotto il Cielo”. Una tale unità è uno scherzo, ovviamente.

Questo non significa che il progetto di costruzione dello stato avanzerà semplicemente incontrastato. Come per ogni elemento del capitalismo, possiamo essere certi che il conflitto di classe non si estingue mai definitivamente. Ma potrebbe non assumere la forma che ci aspetteremmo. Potremmo, infatti, vedere più atti di disperazione e dolore, mentre i conflitti sociali esplodono in modi imprevedibili, specialmente per gli strati più bassi della società cinese, come il recente attacco esplosivo a un edificio governativo a Guangzhou per una disputa sui terreni, o il recente suicidio di un camionista per una multa di 2.000 yuan (circa 300 dollari USA).15 Le rivendicazioni di valore più elevato degli strati più alti, come le frodi sugli investimenti o i conflitti per lo sviluppo immobiliare, continueranno probabilmente ad aumentare di numero e a ricevere maggiore copertura nei media nazionali ed esteri – questi individui tendono anche ad avere un maggiore accesso al sistema legale e una migliore possibilità di riconoscimento formale in questo senso. Potrebbe non riflettere l’effettivo “equilibrio delle forze” per quanto riguarda la lotta di classe in Cina, ma possiamo aspettarci che, almeno in superficie, ci sarà un crescente “imborghesimento” delle lotte sociali, per mancanza di una parola migliore, anche se questo processo è punteggiato da violente esplosioni da parte dei più poveri del paese. Inutile dire che le richieste dei ricchi (come il mantenimento del traballante mercato immobiliare) saranno una priorità assoluta per lo stato. Lo stesso non vale per i camionisti o per la “popolazione di fascia bassa” a cui vengono demolite le case.

Dovremmo anche essere di vedetta per i modi con cui queste forme statali di mobilitazione cellulari e sul modello della campagna, possano svilupparsi in futuro. Come notiamo nel capitolo finale del libro, mentre lo stato formale si è dimostrato abbastanza debole, delle strutture di potere su piccola scala sono state messe in carreggiata ad una velocità incredibile. Comitati di residenti locali, guardie di sicurezza e altri volontari – connessi al Partito e alle organizzazioni governamentali – sono diventati il volto principale del potere statale quando si è trattato di regolare gli spostamenti dei cittadini tra i quartieri, o finanche tra il dentro e fuori la propria casa. Questi sviluppi non sono passati inosservati dal capitale. L’anno scorso il capo della Camera di Commercio Europea, Jorge Wuttke, non si lamentava dello sviluppo di una sorta di burocrazia totalizzante, centralizzata e autoritaria che avrebbe ostacolato il commercio, ma quasi l’opposto: “Il mosaico di regole contrastanti emerse dalla lotta contro il COVID-19 ha prodotto centinaia di feudi, rendendo quasi impossibile spostare merci o persone attraverso la Cina.” Come rappresentante di spicco del capitale straniero, Wuttke si auspicava che il governo standardizzasse le misure “su giurisdizioni più ampie” per “rimettere in piedi l’economia reale”.16 Questo mosaico del potere rimane al suo posto oggi, sebbene in una forma latente. Anche se la pandemia è passata e questi sistemi si sono leggermente allentati la realtà è che non sono affatto spariti. I network sviluppati ultimamente che collegano organi formali del potere statale e i corpi informali di volontari, compagnie di gestione del real estate, guardie di sicurezza, ecc. si sono semplicementi ritirati sotto la superficie, scattando all’occorrenza e ribadendo la loro presenza ovunque si manifestino nuove insorgenze. Questo fattore, però, non è solo importante nella gestione della pandemia. Nella parte più speculativa del capitolo argomentiamo che i network locali, allo stesso modo di quelli che chiamiamo “para-formali” possano emergere di fronte a choc indigeni o esogeni, come in caso di panico bancario o nella mobilitazione nazionalista che si presenterebbe con un conflitto militare. 

Note:

1 Entrambi disponibili qui: www.chuangcn.org

2 Per ordinare il libro o altri titoli della serie si consiglia di visitare il sito delle edizioni Kerr: https://charleshkerr.com/

3 Come esaminato nel nostro articolo “Red Dust,” ciò è iniziato con Mao, non con Deng Xiaoping, ed è una delle molte ragioni per cui sosteniamo che periodizzare la storia cinese secondo la sequenza dei “grandi leader” è fuorviante. Non la chiamiamo intenzionalmente “era di Mao”, per esempio, e nemmeno la transizione al capitalismo “era di Deng”, perché la storia non può essere ridotta alle azioni, ai capricci o alle teorie politiche di uomini di stato.

4 Gabriel Crossley e Stella Qiu, “China’s stunning export comeback has factories scrambling for workers,” Reuters, 20 Dicembre 2020. https://www.reuters.com/article/us-china-economy-manufacturing-idUSKBN28V0AL.

5 疫情期间务工者遇到劳动争议该咋办? [“Cosa dovrebbero fare i lavoratori con rivendicazioni durante la pandemia?”] 公民日报 [People’s Daily], 27 Novembre 2020. http://www.xinhuanet.com/fortune/2020-11/27/c_1126791491.htm.

6 北京发布2019年劳动人事争议仲裁十大典型案例 [“Pechino annuncia la top 10 dei casi di arbitrato sul lavoro nel 2019”] 新华网 [Xinhua]. http://www.xinhuanet.com/2019-11/05/c_1125196006.htm.

7 SCMP Reporter, “China’s annual Lunar New Year migration, usually the biggest of its kind, looks very different in 2021,” South China Morning Post, 7 February 2021. https://www.scmp.com/magazines/post-magazine/long-reads/article/3120728/chinas-annual-lunar-new-year-migration-usually.

8 Chuang and Friends (Trans), “Delivery Workers, Trapped in the System,” Chuang Blog, 12 November 2020. https://chuangcn.org/2020/11/delivery-renwu-translation/.

9 sull’arresto di Mengzhu vedi Emily Feng, “He Tried To Organize Workers In China’s Gig Economy. Now He Faces 5 Years In Jail,” NPR, 13 Aprile 2021, https://www.npr.org/2021/04/13/984994360/he-tried-to-organize-workers-in-chinas-gig-economy-now-he-faces-5-years-in-jail; Matt Dagher-Margosian, “Free Mengzhu! An interview with Free Chen Guojiang 关注盟主,” Asia Art Tours, https://asiaarttours.com/free-mengzhu-an-interview-with-free-chen-guojiang-%E5%85%B3%E6%B3%A8%E7%9B%9F%E4%B8%BB/. Su casi simili in passato, vedi il nostro articolo “Picking Quarrels” dal secondo numero della nostra rivista: https://chuangcn.org/journal/two/picking-quarrels/.

10 L’ultimo rapporto sul monitoraggio dei diritti del lavoro del China Labour Bulletin ad inizio Giugno riporta che è ancora in prigione. vedi “Food delivery worker burns uniform in symbolic protest,” China Labour Bulletin, 8 June 2021. https://clb.org.hk/content/food-delivery-worker-burns-uniform-symbolic-protest.

11 vedi “No Way Forward, No Way Back” e “Gleaning the Welfare Fields” nel numero 1, e “Picking Quarrels” nel numero 2, entrambi disponibili qui: chuangcn.org/journal.

12 Sul discorso della “popolazione di fascia bassa” e la sua popolarizzazione dopo le demolizioni del 2017 a Pechino vedi: “Adding Insult to Injury: Beijing’s Evictions and the Discourse of “Low-End Population.” https://chuangcn.org/2018/01/low-end-population/.

13 Per una discussione su entrambi vedi: “Involution: Wildcat on China’s 2020.” https://chuangcn.org/2021/05/involution-wildcat-on-chinas-2020/.

14 Per un’analisi delle tendenze a lungo termine, vedi la nostra analisi in “Picking Quarrels”, citata sopra. Esempi di proteste dei proprietari di case si possono trovare quotidianamente online, per chi cerca. Gli incidenti più grandi sono a volte coperti in dettaglio in pubblicazioni critiche della Cina come Radio Free Asia, forse una volta al mese o giù di lì. Per esempio, i residenti di un quartiere di Chongqing si sono scontrati con più di cento poliziotti in rivolta a maggio per un conflitto di lunga data con i funzionari che volevano stabilire un ufficio del governo locale nella loro comunità residenziale. Vedi: “重庆保利香雪小区爆发大规模抗暴事件 业主赶走数百名黑衣人” https://www.rfa.org/mandarin/yataibaodao/renquanfazhi/sc-05152021170149.html. La campagna di demolizione del governo di Pechino al complesso Xiangtang, nella periferia nord della città, è stata riportata da diversi articoli in lingua inglese. Per esempio vedi: “Residents Protest As China Demolishes Some Of Beijing’s Wealthy Suburbs” https://www.npr.org/2021/01/26/960855956/residents-protest-as-china-demolishes-some-of-beijings-wealthy-suburbs.

15 Vedi il nostro intervento sui fatti: “Bombing the Headquarters: Desperate Measures in a Time of Involution,” Chuang Blog, 23 Maggio 2021. https://chuangcn.org/2021/05/bombing-headquarters/.

16 Vedi “COVID-19 Severely Impacting Business: trade associations call for proportionate measures to get real economy back on track,” comunicato stampa congiunto della Camera di commercio tedesca in Cina e della Camera di commercio dell’Unione europea, 27 febbraio 2020. https://china.ahk.de/news/news-details/covid-19-severely-impacting-business-trade-associations-call-for-proportionate-measures-to-get-real-economy-back-on-track.

 

 

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