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Mafia capitale, l’emergenza, i movimenti e l’ordine pubblico

Ci viene da dire: con quale legittimità l’assemblea capitolina può varare provvedimenti di tale portata e soprattutto chi avrà il coraggio di sostenere una giunta piena di veleni e di risentimenti? Chi può pensare di uscire da questa situazione solo con aggiustamenti e rimpasti? Cosa si aspettano gli abitanti, nonché elettori, da questa insipiente classe politica? È evidente che la distanza tra chi amministra e chi subisce il malgoverno della città si è allargata e chi prenderà la decisione di far sopravvivere questa maggioranza in cambio di qualche concessione su scuola, dipendenti e vigili sarà ritenuto complice e sodale di una consorteria fortemente corrotta.

La gestione dell’emergenza ha goduto di grandi appoggi. Buzzi e Carminati hanno gestito gran parte della torta, ma la rete di cooperative che ha garantito un modello di comportamenti sugli appalti e sulle risorse disponibili è ben più larga, più invasiva di quanto non mostri l’inchiesta in corso. Chi vive in questa città conosce i perversi intrecci e la pervasività delle pratiche legate al terzo settore, all’accoglienza e all’emergenza alloggiativa. Un silenzio/assenso rispetto a comportamenti consolidati nel tempo e che hanno garantito la sopravvivenza ad un mondo di “pappataci” che andrebbe stroncato soprattutto da una mobilitazione sociale capace di rompere definitivamente con un approccio culturale questuante e disponibile alla cooptazione.

Le lotte in difesa del welfare di prossimità, l’erogazione di risorse per i servizi sociali, la creazione di cooperative disponibili alla gestione dell’emergenza, il controllo su un mondo sofferente e disponibile al conflitto. Tutti connotati che descrivono un mondo di mezzo ed un mondo di sotto al bivio, tra accettazione del male minore e ipotesi di rottura sociale di equilibri sempre più complicati e insostenibili. C’è ancora una possibilità per governare l’emergenza senza contaminarsi con le tesi di Carminati e Buzzi? È immaginabile una ridefinizione degli appalti e delle gare senza produrre una riedizione, eticamente più accettabile, del modello di gestione dei servizi alla persona, della tutela dei diritti, dell’accoglienza e della salvaguardia della dignità? Dentro questo contesto economico e questo modello di sviluppo non lo crediamo davvero possibile.

Illudere migliaia di persone che la soluzione dei problemi quotidiani di casa e reddito passi attraverso l’elargizione di briciole di welfare, e che queste briciole siano gestite da un mondo amico, ha qualcosa di mostruoso. L’egoismo di far sopravvivere un sistema che ha garantito e che può garantire posti di lavoro, a patto che le emergenze non finiscano mai, produce danni culturali rilevanti e riproduce all’infinito profitti e sofferenza senza soluzione di continuità.

Riteniamo che l’attuale maggioranza e i dipartimenti interessati al sociale stiano rieditando il settore e stiano cercando le complicità necessarie. I movimenti devono, a questo punto, entrare a gamba tesa nella partita. È necessario far saltare la macchina che si sta nuovamente allestendo, una macchina che avrà anche il compito di addolcire la pillola velenosa del “piano casa” dell’ex ministro Lupi e del suo sodale Alfano. Con la legge approvata nel 2014 si decretano fuorilegge tutti coloro che non ce la fanno a pagare affitti, mutui, bollette di acqua e luce, quelli cioè che si sono parzialmente riappropriati delle proprie vite e del proprio reddito attraverso la pratica dell’occupazione, concretizzando in questa maniera lo slogan “il debito non è mio e io non ti pago”.

Come possiamo accettare di entrare di nuovo nella trattativa a perdere che ormai da tempo si sta determinando? Come non vedere che nel momento che ci siamo presi quello che desideravamo o che ci serviva, abbiamo prodotto un battito autonomo e siamo stati meglio? È vero siamo anche diventati un problema di ordine pubblico, generatori di tensione e di contrasti, rabbiosi produttori di conflitto che hanno saputo alzare barricate e strappare confronti di alto livello istituzionale, e anche in questo caso siamo stati bene. Sul nostro. Sulle strade di città che abbiamo voluto riprenderci sottraendole metro dopo metro alla rendita e a “mafia capitale”.

L’esperienza maturata ci convince a non ascoltare le sirene della gestione partecipata del bene comune, perché questa non esiste ed è solo una trappola ben congegnata per imbrigliare e depotenziare istinti ben più violenti esistenti nelle periferie e nel mondo ormai largo del “non voto”. Istinti che spesso si liberano contro il migrante o il diverso e che utilizzano anche la commistione di sinistra nel business dell’emergenza. Strumentalmente c’è chi marcia contro i rom e fa affari su di loro, così come chi predica integrazione ed accoglienza e poi gestisce le risorse senza mai realizzarle. Liberare le energie sommerse da questa doppia strumentalizzazione e farle esplodere tra le mani degli amministratori e dei loro complici, pensiamo sia oggi il ruolo dei movimenti. Impedire che nuova credibilità politica di coloro che governano la crisi sia anche frutto della nostra inerzia o della nostra indisponibilità a tornare ad essere un problema di ordine pubblico.

Città ingovernabili e corrotte cercano soluzioni che non ci devono trovare disponibili, solerti nell’offrire un’alternativa possibile. La profondità della critica sta proprio nella capacità dei movimenti di essere distanti, autonomi e irriducibili. Non si tratta di rinnovare strutture ideologiche, ma di costruire basi culturali solide non corruttibili, un dna socialmente rivoluzionario che sappia chiudere definitivamente con la stagione che ha trasformato migliaia di attivisti in assessori, consulenti, sottosegretari, consiglieri comunali.

Torniamo a minacciare l’ordine delle cose presenti. Non accontentiamoci delle briciole. Realizziamo desideri.

Ci vediamo in città e nei boschi!

#RomaSiBarrica

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