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Muoversi nel conflitto in Toscana. Una piattaforma.

Report dall’Assemblea “ENERGIA, AMBIENTE, GUERRA. TERRITORI IN LOTTA CONTRO IL CAMBIAMENTO CLIMATICO

Da Movimento No Base Coltano

Nelle pubblicità dell’industria turistica la Toscana è rappresentata come un luogo in cui ci si può immergere in una natura fatta di verdi paesaggi collinari, cipressi, vigneti, splendide spiagge e pinete, che offre cibi e vini rinomati. Chi vive e conosce il suo territorio, però, ha la consapevolezza che a questa immagine si contrappongono realtà drammatiche totalmente dissonanti con quella riproduzione oleografica. 

  La devastazione delle Alpi Apuane causata dall’estrazione del marmo. La costa a sud di Livorno divorata dal cemento per almeno 12 chilometri e gravi problemi di erosione dei litorali. Il progetto della pista di Peretola, per la cui attuazione si procede nonostante la bocciatura del TAR. Il progetto dell’autostrada tirrenica. Il piano di quell’ennesima grande opera dal terribile impatto ambientale che è la Darsena Europa. La riapertura, in Valdera, della discarica della Grillaia col conferimento di amianto. Tonnellate di fanghi tossici – scarti della lavorazione delle concerie di Santa Croce sull’Arno (KEu) – nascoste probabilmente con il supporto della ‘Ndrangheta nei sottofondi stradali o seppellite nei cantieri in numerose aree, dall’aeroporto militare di Pisa a Massarosa, Crespina Lorenzana e Peccioli, fino alle aree produttive di Pontedera e Bucine, la strada regionale 429 a Empoli, nella provinciale 26 in Valdelsa, ma anche vicino alla strada di Piantravigne nell’Aretino. Le maleodoranze a Stagno e Calambrone, nell’area del SIN da anni in attesa di bonifica, dove sorge la Raffineria ENI di Livorno. Questi fenomeni di occupazione e impermeabilizzazione di suolo sottratto all’agricoltura e alla vegetazione boschiva, di sconsiderata attività estrattiva, di inquinamento dei terreni e dell’aria con deposito ed emissione di sostanze chimiche e materiali tossici indicano lo stato di degrado ambientale della regione.

  Un degrado non accidentale, ma permesso da un sistema politico nel quale trasversalmente i partiti che governano le istituzioni locali privilegiano gli interessi di imprese e speculatori – e nel quale si introducono anche i poteri della criminalità organizzata – senza alcuna considerazione per la salute e l’incolumità delle persone che vivono nei territori, come dimostrato dallo scandalo Keu o dall’alluvione di Livorno del 2017, dovuta al drammatico connubio tra eventi atmosferici eccezionali – sempre più frequenti a causa del cambiamento climatico – e il perdurante stato di  incuria e cementificazione. 

  Questa politica, però, oltre che il diritto a un ambiente sano, aggredisce anche i diritti di lavoratrici e lavoratori, voltando le spalle dinanzi alle drammatiche condizioni occupazionali, allo sfruttamento, all’insicurezza nei luoghi di lavoro  e in settori molto esposti ad ambienti tossici, come quelli conciario ed edilizio, in cui spesso – per altro – trova impiego la più ricattabile manovalanza immigrata. E, tuttavia, giustifica ipocritamente la necessità di mantenere o avviare attività distruttive per l’ecosistema proprio in nome del lavoro. 

  Quando, però, dismettere una produzione è interesse della proprietà, non c’è scampo alla disoccupazione. Proprio in Toscana hanno saputo dare grande risonanza alla denuncia e allo smascheramento delle mistificazioni di questo sistema politico i lavoratori della GKN, proponendo attivamente un piano industriale per la mobilità sostenibile e una legge contro le delocalizzazioni. Queste iniziative non hanno trovato alcuna sponda né in Parlamento né presso il Governo, in modo del tutto analogo a quanto accade sul piano locale, dove in generale e nel caso specifico gli esponenti politici al potere, oltre a dichiarare una rituale solidarietà di facciata, nulla hanno fatto per sostenere una proposta che non solo tutela il lavoro, ma costituisce un importante contributo per la riconversione ecologica di un’industria storicamente inquinante come quella automobilistica.

  Inoltre nella congiuntura storica attuale si deve registrare un dato dei processi globali che costituisce un punto di svolta di tale rilevanza da investire direttamente anche la nostra Regione: il conflitto russo-ucraino. Questo scontro, fondamentale per la ridefinizione dell’equilibrio geopolitico mondiale, è dunque oggi un fattore politico centrale, che determina un riordino di tutte le priorità in seno ai paesi che vi sono – direttamente o indirettamente – coinvolti.

  Ecco allora calare con prepotenza sul nostro territorio nuovi scempi, collegati direttamente ad essa. Innanzitutto il progetto della base militare di Coltano, una struttura enorme destinata a corpi scelti dell’esercito e già operanti in scenari bellici internazionali (GIS, 1° reggimento paracadutisti Tuscania, reparto centro cinofili), in un’area scelta perché già occupata da importanti strutture militari (Camp Darby, CISAM, COMFOSE, aeroporto militare di Pisa). I gruppi politici di destra e di centrosinistra al governo e all’opposizione nelle istituzioni locali e nazionali hanno ancora una volta dimostrato la loro subalternità ai poteri forti senza tenere in alcuna considerazione l’interesse e la volontà di chi vive il territorio, poiché hanno dichiarato che la base si farà. Stessa acquiescenza, d’altra parte, i medesimi schieramenti hanno manifestato per le infrastrutture previste – dal troncone ferroviario dalla stazione di Tombolo alla base, al terminal di carico e scarico, passando per il ponte girevole sul Canale dei Navicelli – che serviranno unicamente a velocizzare gli spostamenti di armi da e per Camp Darby (che, va ricordato, è la più grande base militare americana di tutta l’area euro-mediterranea nonchè il più grande arsenale USA all’estero). Questo elementi chiariscono bene come nella situazione odierna l’area pisana sia destinata a essere la maggiore piattaforma logistica militare del Paese  funzionale alle attività belliche , mentre si concedono spazi nelle scuole (in Toscana a Pisa e a Livorno) a organizzazioni che propongono corsi di ginnastica dichiaratamente ispirati alla disciplina militare (GDM) e mentre, ancora, un’istituzione prestigiosa come il Sant’Anna stipula una collaborazione con la Divisione Vittorio Veneto, con l’obiettivo di “sviluppare iniziative sui temi di sicurezza e gestione crisi”. 

  L’altro grande scempio è poi il rigassificatore di Piombino. Anche in questo caso la cittadinanza si oppone con determinazione per tutelare la sicurezza e le attività economiche locali, ma l’urgenza di reperire gas attraverso canali alternativi a quelli russi sembra giustificare questo grande progetto, anacronisticamente ancorato all’utilizzo di fonti fossili, proposto come soluzione a tutti i mali, in grado di arrecare un beneficio proprio alla collettività. Contemporaneamente, però, non si pone alcun argine alle speculazioni finanziarie sulla materia prima, né si tassano i sovraprofitti delle multinazionali dell’energia. La spesa per la difesa, invece, di cui è esempio la base di Coltano, favorisce proprio quelle multinazionali, perché i corpi militari speciali che lì si addestrerebbero sono inviati anche in missioni finalizzate a tutelare gli asset delle grandi aziende che, come l’ENI, sul fossile basano i propri elevatissimi profitti. L’Italia risulta essere il primo paese in Europa per spese militari connesse alla difesa di tali asset energetici. Altre significative voci di spesa, inoltre, vanno a beneficio anche dell’industria bellica. L’invio di armi in Ucraina è un grande favore a Leonardo, Fincantieri e altri. Tutto questo si verifica mentre la vita di milioni di persone in questo paese è e sarà sempre più attanagliata dal caro-vita, rispetto al quale il governo non ha implementato nemmeno le più timide misure necessarie ad alleviare il violento impatto dell’ impennata dei prezzi di prima necessità.

  In tante e in tanti eravamo presenti a Coltano l’11 settembre, in un’assemblea che ha riunito  lavoratrici e lavoratori, persone in cerca di occupazione, studente/i che appartengono ad associazioni, sindacati, partiti, movimenti, accomunate/i dall’esperienza diretta nel territorio e sul luogo di lavoro di queste realtà e delle loro conseguenze, che ricadono immediatamente sulle nostre spalle, nonché dalla partecipazione attiva nei diversi luoghi a processi di contrasto degli abusi e di tutela delle comunità di cui si è parte. Nel nostro incontro è emersa anche la comune capacità di individuare nei vari fenomeni un nesso che li unisce, una causa unica, ovvero il modello economico dominante, quello neoliberista, che sfrutta le persone e gli ecosistemi per arricchire gli speculatori dell’industria e della finanza, supportati da un sistema politico a tutti i livelli asservito ai loro interessi, sprezzante di ogni regola democratica, che impone in modo autoritario condizioni lesive dei nostri diritti, sfruttando la logica dell’emergenza per erodere ogni spazio di partecipazione e controllo democratico; capace di portarci anche in guerra senza alcun dibattito parlamentare per rappresentare quegli interessi.

  Oltre alla denuncia, però, si è delineata una visione alternativa di organizzazione dell’economia e dei rapporti politici e sociali.  Abbiamo condiviso la necessità di creare un sistema di produzione, riproduzione e cura che non si basi sull’accumulazione di profitti individuali, ma che sia orientato a soddisfare le necessità delle persone nel rispetto dell’ambiente, dall’agricoltura al sistema dei trasporti. Abbiamo rivendicato processi decisionali che si basino sulla  partecipazione popolare attiva alla vita politica, sociale, economica del Paese, che ci porta a rifiutare come inaccettabile prepotenza le decisioni calate dall’alto che ci danneggiano e ad assumere l’impegno di difendere i nostri diritti e la nostra dignità. Nei nostri mondi già sono in atto pratiche capaci di costituire un’alternativa positiva in questa direzione. Ma l’impegno, per noi, si estende anche alla necessità di essere solidali. Davanti a chi continua a farneticare di modelli competitivi, che spingono un territorio contro l’altro, chi lavora in un’impresa pubblica o privata contro l’altra, noi proponiamo invece la causa comune e il sostegno a tutte le istanze che ancora sono isolate o non hanno avuto la possibilità di essere formulate. Tutte le voci intervenute hanno indicato la via dell’unione delle vertenze. Di fronte a un sistema di potere determinato a espropriarci dei beni comuni indispensabili alla nostra vita, sappiamo di non avere altra alternativa che la convergenza. 

  Su queste basi abbiamo aderito all’iniziativa dei Fridays For Future, partecipando allo sciopero per il clima del 23 settembre scorso, che ci ha dato occasione di rappresentare in modo concreto, portando l’esempio delle nostre situazioni, i problemi e le proposte che anche la loro agenda rilancia. 

  Adesso, consapevoli della pluralità che attraversa questo spazio di discussione e relazione, ci impegniamo a ritrovarci per rafforzarlo e per individuare forme di azione collettive che ci consentano, a partire dalla nostra Regione, di far valere le nostre voci e di immaginare e creare gli spazi e le alternative di cui abbiamo bisogno.

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