No Tav: una storia di soggettivazione collettiva
di MARIANNA SICA (Commonware)
Il documentario «Fermarci è impossibile» ripercorre gli ultimi tre anni di lotta Notav, dai primi sondaggi geo-gnostici dell’inverno 2010 alle ultime iniziative dell’estate 2013, ma la Valsusa resiste e combatte da più di vent’anni, perché dunque l’esigenza di concentrare l’attenzione su questi ultimi tre anni di lotta, cosa hanno rappresentato per il movimento Notav e quali elementi di cambiamento hanno introdotto sia in termini di trasformazione interna al movimento che come atteggiamento della controparte?
In questi ultimi tre anni riconosciamo un ciclo a suo modo unitario di mobilitazione e iniziativa del movimento Notav, caratterizzato dal riaffacciarsi sul territorio dell’offensiva concreta, fisica, finanche militare della controparte. Dopo la vittoria del 2005 (quando il movimento riuscì ad impedire l’inizio dei lavori a Venaus) la contesa si è giocata in termini strettamente “politici”, come mediatizzazione e ricerca del consenso da ambedue la parti. Sono stati quattro anni importanti in cui il movimento ha fatto passi da gigante nel definire la propria autonomia dalle componenti più moderate e dalla rappresentanza istituzionale, definendosi come soggetto politico compiuto e riconoscibile nella sua unità di intenti, capace di scelte sue, anche in contrasto col fronte istituzionale.
Dal gennaio 2010 invece, lo scontro tra le due opzioni torna ad essere quello diretto, dei rapporti di forza sul campo, senza mediazioni. Ciò non significa che la battaglia non si giochi ancora anche in termini di consenso, connessione con altre battaglie e allargamento del campo (questo anzi, forse più di prima) ma quello che cambia e il tipo di rapporto che si ha con la controparte. Esaurita ogni possibilità di convincere i valsusini circa la bontà del progetto che cambierebbe radicalmente il loro territorio e le loro vite, lo Stato impone il progetto con la forza, con tutte le conseguenze del caso.
Come finora è sempre avvenuto per il movimento Notav, questo esplicitarsi della contrapposizione e dell’irriducibilità delle posizioni radicalizza i comportamenti e la disponibilità allo scontro.
La continuità e il radicamento che il movimento Notav ha saputo organizzare, la coesistenza e l’equilibrio fra diverse pratiche ed espressioni di lotta, la capacità di ascolto, condivisione e costruzione collettiva di una lotta che nonostante la forte territorialità si è diffusa con un’intensità tale che oggi l’identificazione Notav è elemento forte e comune. Questi alcuni dei tratti del movimento che anche il documentario ci trasmette ma probabilmente il processo di soggettivazione politica collettiva che la lotta Notav ha saputo innescare, ibridando ma non annullando le differenze che la compongono, è forse una delle sue caratteristiche peculiari e di maggiore forza, è così? E se sì come è stato possibile questo processo, su quali elementi si è innescato e attraverso quali passaggi?
Credo che la capacità che il movimento ha fin qui avuto di far convivere differenze anche pronunciate e apparentemente inconciliabili sia certamente uno dei suoi tratti vincenti e innovativi. Composizioni eterogenee hanno imparato a convivere e costruire insieme le risposte di volta in volta necessarie agli ostacoli che si trovavano di fronte. Tengo però a fare alcune precisazioni. Spesso questa caratteristica viene fraintesa e la si riduce alla capacità di trovare un minimo comune denominatore tra le differenti soggettività già politicizzate o con esperienze/appartenenze pregresse. Come se il portato dell’esperienza Notav si riducesse all’attività di un intergruppi militante. In Val Susa è successo invece qualcosa di molto più profondo: il problema non è mettere d’accordo i militanti politici (che anzi si sono sempre scontrati e continueranno a farlo) ma individuare le condizioni di fondo che hanno fatto sì che uomini e donne senza alcuna storia politica o appartenenza ideologico-militante si attivassero nella lotta, mettendosi in gioco, dedicando parte delle proprie energie e del proprio tempo al movimento. È questo il vero portato politico del movimento Notav: un processo di soggettivazione che, a differenti livelli, ha coinvolto un intero territorio.
Come compagn* del comitato di lotta popolare (a tutti gli effetti, il comitato più esplicitamente politico della valle) abbiamo sempre privilegiato questi processi (chi vuole ci trovi il paradosso e la contraddizione ma per noi è a questo livello che si gioca il senso odierno dell’essere militanti). Il che non implica certo che non abbiamo talvolta commesso errori… La questione si è però sempre posta per noi come ricerca di una prassi politica virtuosa, che allargasse la partecipazione, coinvolgesse più persone, facesse sì che chi parla e interviene fosse espressione della composizione media del territorio. Dal nostro punto di vista il problema è sempre stato quello della giusta direzione, nel senso della tendenza da cogliere, delle scelte da fare, delle azioni concrete da mettere in campo.
Il movimento Notav non esprime tuttavia solo resistenza, non si limita a difendere l’esistente dalla devastazione di un territorio e della vita, ma desidera e prefigura una trasformazione radicale del presente e del futuro. Questi tratti, che dimostrano la connessione della lotta Notav a livelli più generali, come si sono innescati e come si alimentano nel movimento? Cosa rappresentano e dispiegano nell’attuale scenario di crisi?
Qui torniamo alle considerazioni già sviluppate nella domanda precedente. Questi aspetti che sottolineate pongono il movimento Notav al livello dei più avanzati movimenti globali degli ultimi anni. Non è forse un caso che questo movimento ha accompagnato – agendola dal di dentro – la crisi della rappresentanza, l’affermarsi della rete come mezzo privilegiato di contro-comunicazione e strumento di autorganizzazione, l’affermazione della questione ecologico-energetica come questione politica tout court, la critica della democrazia formale come processo separato e nemico.
È importante sottolineare come questi tratti non siano acquisiti una volta per tutte ma rappresentino anzi momenti alti, conquiste parziali ma anche embrioni di possibili relazioni sociali alternative future che si sperimentano qui e ora.
Nello specifico della congiuntura attuale, in riferimento alla crisi emersa negli ultimi anni (che, come sappiamo, perdura in realtà da qualche decennio) il movimento è riuscito a produrre un proprio discorso coerente e facilmente comprensibile, sintetizzato negli slogan “1 cm. di Tav = tot posti letto in un ospedale”, “1 km = tot scuole messe in sicurezza”… fino ai paragoni complessivi, dove si prova ad immaginare cosa si potrebbe fare di tutto quel denaro: al posto del Tav si potrebbe allora risolvere il problema delle case popolari o articolare una seria possibilità di reddito minimo garantito per tutt*. Quest’ultimo aspetto non è dei più irrilevanti. Forse anche complice la convergenza di istanze col fenomeno Cinque Stelle la parola d’ordine del “reddito per tutti” si è fatta strada ed è stata acquisita molto agevolmente negli ultimi due anni… cosa non scontata in un territorio segnato da una forte identità di sinistra, lavorista e produttivistica ma dove forse, proprio per le devastazioni che il territorio ha subito, si pone con evidenza la realtà di un lavoro che non c’è e che forse non è neanche necessario; si pone cioè la questione della riconversione, dell’immaginare un altro modello di sviluppo, più sostenibile. Tutto questo non necessariamente si definisce in un qualcosa di definitivo e di assoluta coerenza: la richiesta del reddito garantito convive con quella di più lavoro, la Decrescita con istanze più sovversive, il cattolicesimo con l’utopia comunista. Il movimento Notav non rappresenta in questo senso un corpo unitario (l’unità si costituisce politicamente non definisce un’omogeneità di valori e programmi) ma un coacervo di singolarità e soggettività collettive che costruiscono pratiche comuni di lotta. Sarebbe vano il tentativo di far coincidere tutto, esprimere la sintesi del modo d’essere del movimento Notav (quando “tutto torna” ci troviamo di fronte ad astrazioni, le lotte odierne sono invece spurie e contraddittorie): l’unica sintesi possibile è quella che si esprime politicamente nel rifiuto di un’imposizione che viene dall’alto e che in risposta vede consolidarsi l’opposizione di un territorio e di una base sociale che, contrapponendosi, prefigurano altre forme di vita e differenti prospettive di trasformazione.
Attraverso diversi siti, l’utilizzo di social network, ma anche misurandovi con diverse forme di narrazione ed espressione – penso ad alcuni libri pubblicati e al documentario stesso – il movimento Notav ha saputo in questi anni raccontare e raccontarsi, fare emergere le verità, le passioni, le pratiche della lotta Notav contrapposte alla narrazione dei media mainstream. Il movimento ha dedicato insomma molta attenzione alla costruzione di una “cronaca da dentro il movimento”, di una contro-narrazione, perché? Quale rapporto il movimento Notav ha costruito in questi anni con la rete? E oltre alla narrazione cosa è circolato e cosa ha attivato questa circolazione?
Molto banalmente mi viene da risponderti che la necessità si è fatta strada perché l’informazione ufficiale, quella che risponde ai poteri politico-istituzionali e commerciali (il media mainstream), ha per lungo tempo snobbato di riportare il punto di vista della popolazione valsusina. Diciamo anzi che si è trattato di una vera e propria rimozione: ancora nei primi anni 2000, quando il movimento portava già in piazza migliaia (a volte decine di migliaia) di persone, il Tg-Regionale non faceva neanche un accenno a queste manifestazioni. Ci piace dire che il movimento Notav si è fatto conoscere diventando un problema di ordine pubblico. Poi è venuto il momento – breve e saltuariamente ritornante – in cui il movimento veniva vezzeggiato nei suoi aspetti “colorati” e pacifici. Per il resto la cronaca mediatica è stata, ed è tuttora (oggi più che mai), quella della criminalizzazione quando non della falsificazione bella e buona.
Da queste lacune nasce l’esigenza di una presa di parola e di racconto. Noi lo facciamo con notav.info. Prima era già nato notav.it (oggi notav.eu), maggiormente concentrato sulla diffusione di materiali tecnico-scientifici a suffragio delle buone ragioni del movimento mentre noi privilegiamo maggiormente la dimensione mobilitante-partecipativa e di cronaca della lotta. Oggi ci sono decine di siti che informano dalla/sulla Valle (Tg-Maddalena, Ambiente-Valsusa, lavallecheresiste.info, notavtorino.it, spintadalbass.org solo per citare i più attivi).
Importante è stata anche la funzione che è arrivata ad avere Radio Blackout, nei momenti alti di partecipazione anche punto di riferimento per un aggiornamento in tempo reale sugli spostamenti della controparte e quelli nostri del movimento (oggi c’è anche una trasmissione “Radio Notav” che trasmette direttamente da Bussoleno).
La rete è stata per così dire un approdo naturale di questi format comunicativi, da lì sono passate le nostre ragioni e le nostre cronache. Precisiamo: da lì e dalla progressiva uscita dal territorio con tour e incontri-dibattiti-assemblee che il movimento ha portato in giro per il paese, soprattutto negli ultimi anni. La rete non è mai stata un sostituto della comunicazione umana, vis-a-vis, tratto fondamentale di un movimento che è cresciuto riannodando e producendo nuovi legami sociali. A suo modo però l’utilizzo della rete è anche un mezzo organizzativo: oggi si arrivano a convocare assemblee popolari in 48 ore semplicemente lanciandole dai siti di riferimento e dalle mailing-list del coordinamento dei comitati (e dal passa parola che non viene mai meno). L’esser diventati un punto di riferimento politico per altri movimenti e situazioni di lotta fa sì che i contenuti web prodotti dal movimento vengano ripresi da altri portali e radio e producano forti effetti di viralità comunicativo-mobilitativa nei momenti di lotta alta o quando si accende un dibattito pubblico.
L’altro aspetto però fondamentale è stato però la costruzione di un sapere di parte, approfondito, situato, critico. Dalla iniziale necessità di avere informazioni di base sul tracciato alla messa in discussione del ruolo dei cosiddetti “esperti” il movimento Notav ha imparato che il sapere è un campo di battaglia, come la comunicazione. L’aspetto più qualificante e politicamente incisivo, è dato però dal processo di diffusione e socializzazione delle conoscenze tecnico-scientifiche riguardanti l’opera. C’è stata una vera scommessa sul fare di questo sapere un sapere popolare, incorporato nel movimento. In questo senso il movimento Notav è tornato ad affrontare questioni strategiche, già poste dai movimenti sociali e di classe degli anni ’60 e ’70: la critica della Scienza, del sapere medico, dello “sviluppo”. Nella fase attuale si fa strada un’embrionale critica del Diritto, per il ruolo politico ( di supplenza e rinforzo repressivo) che la Magistratura sta conducendo contro il movimento.
Come dicevamo all’inizio, il movimento Notav per la forza, la continuità e il radicamento che esprime, per la capacità di diffusione e riproduzione, fa tremare tutte le diverse componenti che formano la controparte – lobby, sistema dei partiti, media… – e la criminalizzazione e la macchina repressiva tenta con ogni mezzo di indebolire una lotta che fa paura. Condanne, arresti, restrizioni, risarcimenti di migliaia di euro, e una vera e propria sperimentazione giuridica di modelli repressivi. Come il movimento Notav risponde a questo accanimento? Come il movimento si misura con il terreno della repressione? Cosa ha rappresentato rispetto a questo la giornata di mobilitazione nazionale di sabato 22 febbraio?
Non bisogna nascondere che il movimento si trova oggi ad affrontare un momento delicato e difficile. L’acuirsi della repressione, tra arresti e uso molto generoso e creativo di dispositivi di controllo sociale (fogli-di via, misure cautelari, convocazione di minori al Tribunale e minacce di “affidamento sociale”…ecc), segnano certamente un nuovo livello di scontro, impostoci dalla controparte. La criminalizzazione del movimento procede a pari passo sul piano penale e su quello della rappresentazione mediatica del movimento (o di una sua parte) come “in mano a minoranze di estremisti” in odore di “terrorismo”. Tuttavia, questo tipo di minacce continuano a non sortire effetti: nonostante tutte le difficoltà il movimento continua ad assumersi i livelli di conflitto che produce e rivendica pubblicamente. Ancora oggi, dopo la manifestazione di sabato, gli operatori della Rai e di Mediaset sono obbligati ad ammettere che nessuno prende le distanze dai sabotaggi e che il movimento tutto pretende la liberazione di Chiara, Claudio, Nicolò e Mattia.
Più preoccupante l’utilizzo di strumenti di monetizzazione della repressione, con la condanna pecuniaria a pagare i danni economici prodotti dalle azioni di blocco, comminate a singoli militanti secondo la logica della responsabilizzazione individuale. Un brutto modello che rischia di far scuola… Anche qui però la risposta è stata straordinaria e in tre settimane si sono raccolti quasi 300.000 euro per sostenere Alberto Perino e due amministratori (colpiti seguendo un’ottica ben precisa, dove lo Stato cerca di andare a colpire figure di raccordo tra la dimensione più militante dello “zoccolo duro” del movimento e quella istituzionale, a mo’ di intimazione, come disciplinamento collettivo e minaccia generalizzata).
Credo che per il movimento sia necessario oggi perseverare e resistere agli attacchi concentrici che sta subendo. Certo, pesa un po’ l’isolamento complessivo per cui stentano a riprodursi dinamiche di lotta virtuose e capace di generalizzare istanze simili in altri pezzi del territorio nazionale. Anche qui però, le cose iniziano a cambiare. Le recenti operazione contro i compagni del movimento di lotta per la casa a Roma e contro i Precari Bros a Napoli sono però in questo senso anche la testimonianza di una difficoltà del potere centrale nel gestire i conflitti secondo i già rodati dispositivi di governance… che iniziano a saltare! Segno che il prodursi di lotte dal basso che affermano anche la legittimità di forme massificate di illegalità e riappropriazione fanno paura.
In questo senso tutte le manifestazioni e le iniziative che si sono tenute questo sabato sono state molto importanti perché hanno abbozzato un rimando concreto ed effettivo tra lotte territoriali e lotte sociali sul welfare. In alcune città migliaia di persone hanno gridato a gran voce che ribellarsi è giusto, che la pratica del sabotaggio è legittima, che la criminalizzazione diventa assunzione collettiva di responsabilità e che la lotta contro il Tav è solo la punta di una più generale opposizione al modello sociale iper-liberista che si sta ristrutturando dentro la crisi, contro di noi. Siamo ancora ai primi passi, e con numeri ancora troppo bassi per le sfide che abbiamo di fronte ma la strada è tracciata e il movimento Notav continuerà ad esser parte integrante delle resistenze e dei contrattacchi futuri. Come diciamo sempre: a sarà dura… ma anche per loro!
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