Paris, debout, soulève toi!
La necessità d’infrangere l’état d’urgence, per quanto primaria e confermataci da più voci, non dice però tutto di questo movimento. Non ci dice neanche abbastanza di quello stesso bisogno di possibile che attraversa le menti e i cuori di chi, in queste settimane, si è attivato nelle forme più diverse. Vivere in una città globale come Parigi (ma potrebbe benissimo trattarsi di Londra o Milano) è una fatica quotidiana in cui il ventaglio delle possibilità offerte si scontra con la dura realtà di ritmi di vita e lavoro serrati, deserti affettivi, la percezione di essere atomi solitari gettati in un vortice di flussi che ti travolge. Chiunque ne ha fatto esperienza, sa di cosa parliamo. Come ovunque, si lavora per sopravvivere, ci si sbatte ai quattro angoli di una città esigente per svolgere le proprie attività quotidiane, magari si abita al quinto (o al settimo) piano senza ascensore; se si studia, si deve stare in tempi sempre più stretti, eseguendo compiti ripetitivi e annichilenti; se si lavora è anche peggio, schiacciati dalla routine metro-boulot-dodo. In ogni ambito s’impone un produttivismo esasperante. Se questa è la realtà generale e specifica della vita sotto il capitale, nella metropoli essa si presenta in forma concentrata, intensiva, sviluppata al massimo grado. Per questo, quando qualcosa erompe in questi luoghi paradigmatici che sono le metropoli, quanto avviene parla immediatamente a tutt* noi. A manifestarsi è la contraddizione tra l’ampiezza delle possibilità incompiute e la miseria della propria condizione presente.
L’idea che ci siamo fatti – a partire da qualche lettura, diverse chiacchiere con chi in questa città ci vive e la partecipazione ad una giornata di lotta lunga e articolata – parziale e impressionistica, è che la parte più vitale e dinamica di questo movimento raccolga questa riforma del lavoro (la necessaria opposizione ad essa) come occasione per andare oltre ed esprimere tutto il negativo che la disciplina del vivere in questa società impone e rimuove. All’improvviso succede qualcosa: fare un corteo non autorizzato, prendere la testa di una manifestazione, zig-zagare per la città… in breve rompere i codici e in cui è tradizionalmente imbricata la politica come attività separata (specchio di come è quotidianamente organizzata la nostra esistenza), schiude il mare di possibilità latenti su cui siamo sospesi. S’intravede il potere della folla.
Quando facciamo queste osservazioni ci mettiamo come ovvio in una prospettiva estremamente soggettiva. C’interessa meno cogliere l’oggettiva disposizione dei soggetti e delle forze in campo quanto individuare linee di tendenza possibili dentro una composizione eterogenea e dispersa, per quanto maggiormente concentrata e omogenea in alcuni suoi segmenti.
Se guardiamo a un corteo grande come quello di ieri, vi ritroviamo in massima parte la classica composizione sindacale e di sinistra, scendere in campo sul terreno delimitato dall’opposizione al progetto di legge El Khomri. Non intendiamo sottovalutare questa presenza né negarne l’importanza, notiamo soltanto che questi soggetti, determinati dalla propria condizione lavorativa e organizzati dai sindacati corrispondenti, si esprimono in forme prevedibili e ben disciplinate, interessate tuttalpiù a contrattare il grado di ritiro/applicazione della legge. Ma per una certa composizione giovanile (non solo studentesca e comunque non riconoscentesi in quanto tale) il giorno per giorno in cui il movimento si auto-crea consiste in una serie di occasioni da cogliere e sviluppare. Allo stesso modo, se guardiamo al ventaglio di forme in cui l’opposizione alla legge si sta manifestando, riscontreremo soprattutto delle esperienze di lotta e (auto)organizzazione delimitate spazialmente e temporalmente: la mobilitazione sindacale, quella studentesca, la République della Nuit debout, le occupazioni delle facoltà universitarie. Ma se affiniamo lo sguardo, riusciamo forse a intravedere i fili invisibili di una trama che inizia a tessersi. Dal nostro punto di vista c’interessa cogliere il momento in cui lo studente incazzato si affaccia tra il cittadinismo della République, quando la compagneria abbandona l’attaccamento ai propri milieux e si ricompone dietro i soggetti che tirano il movimento, quando l’universitario esce dalla facoltà occupata, quando il tesserato della Cgt scazza coi delegati e incontra la gioventù incazzata, quando la Nuit debout inizia a muoversi…
Quella che segue, é la cronaca di una giornata lunga, tanto faticosa quanto entusiasmante. Speriamo di riuscire a restituire qualcosa del clima che si respira in città. Non vorremmo però falsare la realtà o farci sorpassare dall’ottimismo: la metropoli è tale anche perché continua a funzionare nella sua totalità nonostante le perturbazioni locali che la attraversano. Siamo lontani dalla paralisi e dall’inceppamento della sua macchina complessiva. Embrioni ed esperimenti emergono però dopo un lungo inverno.
H 14 – Place de république. Sono le due passate da poco quando arriviamo a Place de la République. Salta agli occhi un cordone di CRS protegge il memoriale delle vittime del 13 novembre, non si sa bene da chi visto che erano stati proprio i colleghi a calpestarlo nel tentativo di sgomberare la piazza durante le mobilitazioni contro la COP 21 a qualche settimana dell’attacco al Bataclan. Verso la Bastille è già partito un lungo serpentone di carri sovrastati da palloncini d’elio colorati con la sigla del sindacato di riferimento, sulla piazza stand e frenetica distribuzione di volantini. Il colpo d’occhio è quello del popolo di sinistra che si ritrova per costatare quanto le speranze nel governo socialista di monsieur Hollande fossero malriposte. “Sgravi fiscali agli imprenditori, Loi Macron, Loi travail: non ho votato Hollande per questo” si leggeva qualche giorno fa sul cartello di una manifestante che ha deciso di mettersi di nuovo in marcia contro un governo che sarà ricordato come caratterizzato da una politica economica tra le più filo-padronali di sempre. Avanzando lungo boulevard du Temple, un variegato spezzone giovanile e studentesco è riuscito a prendere la testa del corteo. “Durante le manifestazioni dei giorni scorsi c’erano state botte da orbi col servizio d’ordine della CGT perché i liceali volevano stare in testa. Forse oggi anche i capi sindacali hanno finalmente riconosciuto che sono questi ragazzi che stanno spingendo il movimento” ci dice Nina, studentessa a Paris 8.
La dirigenza delle principali sigle confederali è infatti rimasta piuttosto esitante davanti a un movimento che è stato cercato soprattutto dai militanti delle rispettive organizzazioni. L’intersindacale del 3 marzo aveva solo decretato lo sciopero generale del 31, cercando di limitare a una sola scadenza le proteste contro la riforma del codice del lavoro tant’è che la manifestazione del 9 marzo, giorno in cui l’hashtag #OnVautMieuxQueCa si è materializzato per le strade, è stata organizzata interamente dalla base. La mobilitazione ha poi guadagnato rapidamente in diffusione e intensità. Sono soprattutto gli studenti medi stanno dando il il tono, con delle manif sauvage che partono dai propri istituti dopo averli bloccati con barricate improvvisate, obbligando di fatto le scuole a chiudere. “All’inizio i blocchi sono partiti soprattutto nei licei del centro e dell’Est parigino, dove c’era una presenza organizzata di giovani compagni ben radicati nelle scuole” dice Patrick, che lavora in un liceo di Saint Denis. Sembra che negli ultimi giorni la forza tellurica del movimento si stia propagando per centri concentrici fino ai quartieri più periferici. “Serve tempo prima che queste situazioni raggiungano i quartieri più lontani dal centro città, ma magari, come è successo venerdì, basta che un liceo sia bloccato in un nuovo quadrante che subito le scuole vicine prendono esempio” continua Patrick. La polizia, in palese difficoltà a gestire questi cortei disordinati e gioiosi, ha fatto di tutto per evitare che i licei della periferia nord raggiungessero i loro omologhi del centro e dell’est. Ma spesso sono i liceali stessi che restano nelle proprie zone rispettive, dando luogo a piccole deambulazioni spontanee intorno ai propri istituti. Un movimento che vive anche di una sua latenza, insomma, frammentato e unito all’immagine della metropoli che lo contiene.
Il corteo di venerdì scorso sembra aver marcato un cambiamento di passo nelle strategie di governo della piazza. I giovani liceali, al mattino, sono stati violentemente caricati a più riprese dopo che le provocazioni della polizia, che cercava di avvicinarsi al corteo, erano state respinte a sassate. Ragazzini con la testa spaccata e braccia rotte, proiettili di gomme e granate assordenti, 130 arresti. E che la polizia non voglia lasciare margini allo spezzone non-sindacale è chiaro fino da subito. Un centinaio di agenti in tenuta anti-sommossa avanzano scientificamente divisi in due gruppi ai lati del corteo e dopo pochi metri assistiamo già alla prima, violentissima carica per provare a dividere in due lo spezzone e far capire l’antifona. Il tentativo di creare un cordone sanitario intorno al corteo studentesco comunque fallisce, mentre la manifestazione avanza lo spezzone s’ingrossa e viene raggiunto anche da manifestanti più attempati. L’atmosfera è carica ma allo stesso tempo si respira la tranquillità di giovanissimi che l’innocenza sul ruolo delle forze dell’ordine l’hanno persa in maniera rapida quanto definitiva nelle ultime settimane e che non vogliono lasciarsi intimidire. Poco dietro Sud-Solidaires, il sindacato “di base” che vanta anche lui una bella presenza studentesca, in un spezzone festivo e colorato.
H 17 – Place de la nation. All’arrivo a Place de la nation, la polizia inscena l’ennesima provocazione pavoneggiandosi armata di tutto punto su una collinetta in mezzo alla folla. La reazione è spontanea quanto potente, centinaia di persona cacciano gli agenti. La piazza è nostra. I tentativi di avanzata delle truppe nemiche a colpi di cariche e lacrimogeni vengono respinte per ben due ore. “Hey, sono a Nation, è tipo la rivoluzione qui!” grida nel cellulare una ragazza di una quindicina d’anni. In prima serata si contano dieci feriti tra i manifestanti a causa dei proiettili di gomma sparati dalla polizia e altrettanti arresti ma tanti sono restati fino a tardi chi a dare man forte, chi a gridare, chi semplicemente a guardare dove finalmente sembra succedere qualcosa.
H 19 – ritorno a République. Dal 31 marzo qui è iniziata un’acampada, les Nuits debout, letteralmente le “notti in piedi”, che vorrebbero idealmente continuare la giornata di sciopero generale: #32 mars, #33 mars, #34 mars sono gli hashtag che accompagnano ogni notte di occupazione. Dalle 18 un’assemblea partecipatissima ogni sera dura per diverse ore dando luogo a diverse commissioni e sotto-commissioni. La Nuit debout è stata animata, almeno inizialmente, da varia intellettualità di sinistra (uno degli iniziatori è François Ruffin, il regista di “Merci patron!” recentissimo film già cult che racconta una troppa ordinaria storia di delocalizzazione industriale) con l’appoggio di una parte dell’estrema sinistra istituzionale “che ci vede un’operazione elettorale: ha già in mente di recuperare tutto come Podemos con gli indignados” ride Nina. L’occupazione ha subito però una crescita esponenziale di partecipazione, da una trentina di persone siamo già a diverse centinaia, gli stand di grigliate come di libri si sono moltiplicati e tanta gente comune si avvicina a un evento che sta beneficiando, tra l’altro, di una rappresentazione mediatica benevola a differenza dei vari débordements che caratterizzano i cortei sempre abitati da non si sa quali infiltrati per i media mainstream.
C’è sicuramente la sinistra cool tutta hashtag e buone intenzioni, ci sono i sessantottini e il loro eterno soliloquio ma ci sono anche giovani che passano perché c’è la musica e persone di tutta le età che hanno voglia di mettersi in gioco. Chi ha vissuto la piazza in questi giorni ne fa un bilancio piuttosto ambivalente. Da una parte, la Nuit debout pare riprodurre la schizofrenia assembleare che ha impantanato il potenziale degli Indignados e di Occupy portando a compromessi mediani e immobilizzanti o a discussioni senza grandi legami con la necessità d’incidere sul presente. “La prima sera siamo stati ore a dover discutere di una presunta necessità di una piazza apolitica, poi sul fatto che non bisognava chiamarsi la zad della republique sennò passavamo per violenti…” dice sconsolato Fred, che è venuto a Parigi da Grenoble per la seconda settimana di fila per ingrossare le file dei corteo nella capitale. Dall’altra parte, nonostante la sua eterogeneità, si tratta di un spazio attraversato da tantissimi individui che si sentono parte di uno stesso movimento. Tutti sembrano pronti a seguire chi propone iniziative in sintonia con lo spirito cangiante e frammentato che attraversa una piazza che vive di tanti momenti che a volte s’intersecano, altre volte avanzano decisamente paralleli, altre ancora si toccano all’infinito. “Venerdì è bastato che venisse uno di noi a dire che c’erano i 130 arrestati in un commissariato poco lontano per portarsi dietro 300 persone a chiederne la liberazione. Poi anche quei 300 sono stati accerchiati dalla polizia ed ecco ancora un altro corteo partire dalla piazza facendo pressione fino a ottenere che nessuno venisse identificato” ci spiega Mathieu, un compagno che vive in zona Belleville.
H 21 “Solidarité avec les réfugiés”. E infatti, verso le nove c’è la proposta di partire in direzione di Stalingrad dove da mesi vivono accampati diversi richiedenti asilo. Ora il Comune ha recintato l’area dove avevano trovato riparo e in duecento ci si muove con la metro per andare a rimuovere e distruggere le griglie di metallo che vorrebbero privare i migranti persino della possibilità di dormire. Poi di nuovo in corteo al grido di “Solidarité avec les réfugiés” per tornare a République lasciandosi dietro cassonetti per non farsi seguire dalla polizia che, prese alla sprovvista, non forza la mano e resta a debita di distanza.
H 22:30. “Apero chez Valls.” Non è passato che qualche minuto dal ritorno alla base che parte un’atra proposta che sveglia la piazza dal torpore assembleare. “Il primo ministro Valls abita non lontano da qui: perché non andiamo a berci un bicchierino sotto casa sua?” dice una studentessa universitaria. La reazione è spettacolare, tremila persone si alzano e partono con un boato, “Apero chez Valls!” risuona nelle strade di Parigi a riprova della potenza che si può sprigionare quando si propone un obiettivo davvero logico. “Pareva la champions league!” commenta ridendo un compagno italiano venuto a seguire il movimento.
Si parte a passo spedito verso la dimora del Primo ministro, respirando a pieni polmoni, finalmente, in una metropoli la cui geografia viene ridisegnata dai nostri passi collettivi. La notte in piedi, finalmente è in marcia. La rabbia, la gioia, il gioco. Il gioco, la gioia, la rabbia. La polizia non sa che fare, prova a bloccare la marea umana che schiva e continua imperterrita. Sul percorso Société Generale, la banca al centro dello scandalo Panama papers si ritrova con le vetrine rotte e poco più un là un commissariato viene attaccato con un fitto lancio di oggetti. Accelerazione, poi di colpo cariche e lacrimogeni, siamo troppo vicini alla casa di questo bizzarro primo ministro, che come Renzi ha voluto rottamare la sinistra ma che sembra proprio finirà rottamato. Trecento manifestanti finiscono in una nasse, un accerchiamento, della polizia. Stallo. Piano, piano arrivano i solidali al grido di “Liberate i nostri compagni!”. Tensione, insulti qualche spintone con gli agenti antisommossa che alla fine decidono di lasciar perdere e vengono cacciati tra le urla della folla.
H 1:30 “Barrichiamo République”. E poi di nuovo in corteo per tornare alla Nuit debout. Durante il percorso alcuni manifestanti recuperano delle transenne da un cantiere “Barrichiamo République!” gridano guardandosi sorridenti e accollandosi i pesanti accessori per un chilometro. Ritornati al punto di partenza, invece di rimettersi sulla zona pedonale, in un centinaio restiamo a bloccare il traffico, fermando una delle più importanti arterie di Parigi. “Però la commissione azioni spontanee ha deciso che questo non si potrebbe…” dice provando a mettersi in mezzo un satiro del servizio d’ordine dell’organizzazione “ufficiale”. Ma è già troppo tardi, in decine, incuriositi, raggiungono dalla piazza il blocco. Arriva anche la musica e un fuoco viene acceso in mezzo alla strada. “Sono qua dal primo giorno ma mica lo sapevo che potevamo fare così” ci dice un ragazzo sulla trentina sedendosi accanto a noi con una birra. Quando gli chiediamo che ne pensa del movimento ci dice semplicemente che non riesce proprio a immaginarsi come una cosa così si potrebbe fermare.
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