Si, lo so, che questa è una lingua estinta, che il parlare “nuovo” non riconosce più. È vera l’obiezione di fondo: questo forse il partito è stato, questo certo non lo è più. Chi di noi se la sente di riconoscersi, qui e ora, in un partito che c’è? Mi ricordo di una frase che disse Laura Lombardo-Radice Ingrao, poco prima della morte: dovevamo diventare vecchi per ritrovarci a essere dei senza partito. Essere dei senza partito per chi vuole fare una politica combattente, forte, efficace, che cambia, che conquista, è una maledizione. Liberarsi da questa maledizione è il compito da passare alle più giovani generazioni. Le strade sono due, parallele e complementari: ripulire la memoria e riarmare la prospettiva. Con una rivista, si può fare bene, volendo, la prima cosa. È quanto cerca di fare questo numero. Per la seconda, non tutto, anzi quasi niente, è nelle nostre mani. Si possono comunque proporre dei buoni argomenti a favore. Uno è questo. La politica è entrata in crisi quando si è destrutturata, con un’operazione, consapevole da destra e inconsapevole da sinistra, la sua forma organizzata. Storicamente, questa forma era il partito. Si può arrivare a pensare che questa parola sia ormai irrimediabilmente senza forma. Ma resta il problema: la politica non si autorganizza, la politica deve essere organizzata. Allora l’alternativa non è: partito sì o partito no, l’alternativa è: politica organizzata o antipolitica. È scandaloso pensare che qui si colloca uno dei punti di differenza tra sinistra e destra?
dall’introduzione all’ultimo fascicolo di “Democrazia e Diritto“
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