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Immaginare il comunismo, oggi.

Phil A. Neel, Nick Chavez, La foresta e la fabbrica. Contributi ad una fantascienza del comunismo, Porfido Edizioni, Torino 2025.

di Sandro Moiso, da Carmilla

Continua con la presente pubblicazione l’opera meritoria delle Edizioni Porfido di traduzione, pubblicazione e proposta all’attenzione del pubblico italiano delle riflessioni condotte sulla rivista online «Endnotes», di cui in passato ci si era già occupati su Carmilla (qui). In questo caso nella medesima collana «I Sanpietrini – Un’idea più grande di noi», viene sottoposta all’attenzione del lettore un testo curato dal geografo comunista americano Phil A. Neel, che collabora frequentemente anche con la rivista «The Broklyn Rail» di Paul Mattick Jr., e da Nick Chavez, ingegnere meccanico residente negli Stati Uniti che scrive di ingegneria e comunismo sul blog designformanufracture.wordpress.com. Un testo, Forest and Factory. The Science and the Fiction of Communism, originariamente edito nel dicembre 2023 sulla medesima rivista online.

La sfida, quella di pensare oggi il comunismo in una società che sembra essere lontana come non mai da qualsiasi ipotesi di cambiamento radicale e positivo e in cui sembrano potersi leggere soltanto segnali di rivolte acefale o distorte nelle loro finalità1, non è da poco. E, in effetti, c’è da chiedersi come potrebbe mai emergere una tale forma sociale dal pantano e dai vicoli ciechi in cui il capitale sembra aver definitivamente confinato l’umanità.

Soprattutto occorre rispondere a una fondamentale domanda, ovvero quale comunismo immaginare in un contesto in cui la stessa idea non è stata soltanto relegata in soffitta dalle politiche liberali o fasciste contemporanee e dai rimasugli di movimenti sociali dispersi, ma anche dalla sua fasulla realizzazione novecentesca, in cui spesso la sua idea si è confusa con le scelte controrivoluzionarie più spietate, come nell’URSS di Stalin o nella Cine che ancora oggi si richiama alla medesima idea attraverso il nome del partito (unico) al governo.

Eppure è una riflessione che da anni viene condotta dai militanti che ruotano intorno alla rivista americana Endnotes. Militanti rivoluzionari che si interrogano non solo sulla necessità, ma anche sulle forme materiali della sua realizzazione. Su quali possano essere le modalità attraverso cui declinare oggi, in un quadro di crisi ecologica, guerra permanente e crisi e competizione economica globale, una transizione verso una società senza classi, senza denaro e senza lavoro salariato.

Gli autori e i curatori del libello hanno ben presente che tale idea non può essere di carattere utopistico e non a caso in epigrafe è riprodotta una chiara asserzione in tal senso da Amadeo Bordiga nel lungo articolo, intitolato Il programma rivoluzionario della società comunista elimina ogni forma di proprietà del suolo, degli impianti di produzione e dei prodotti del lavoro, pubblicato nel giornale «Il programma comunista» nei numeri 16 e 17 del 1958.

L’errore dell’utopista sta nel trarre […] la trama della società futura non da una concatenazione di processi reali che legano il percorso precedente a noi a quello futuro, ma dalla propria testa, dal razionale umano e non dal reale naturale e sociale. L’utopista crede che il punto di arrivo del corso sociale debba essere contenuto nella vittoria di alcuni principi generali che sono insiti nello spirito umano.

Se così fosse, allora, basterebbe affidarsi a quella che oggi è definibile come cultura woke oppure alla fasulla transizione ecologica ispirata dal green deal per permettere all’umanità di fare un decisivo passo in aventi. Ma così non è e non potrebbe essere e, proprio per questo, fare i conti con la difficile realtà che ci circonda, le sue contraddizioni, le sue crepe e le possibilità che possono aprirsi a partire dalla stessa diventa il tema centrale della riflessione contenuta nel testo di Neel e Chavez. Così come si afferma nella postfazione al testo, datata settembre 2024:

La possibilità di costruire sulle ceneri del capitalismo un mondo di liberi e uguali sarà necessariamente stretta tra due argini: l’esigenza di garantire le condizioni materiali per vivere e quella di organizzare la vita su basi del tutto nuove, al di fuori di logiche di sfruttamento e oppressione. La rivoluzione potrà andare avanti solo se questi due argini rimarranno in piedi lungo tutto il suo corso, senza il primo non si potrà banalmente vivere, senza il secondo si ritornerà invece a farlo lungo il solco scavto in precedenza dal capitalismo2.

Sono i due argini all’interno di cui si muovono anche i due autori con il loro immaginario fantascientifico, ma che di fantastico ha ben poco se non nulla. E i cui cardini possono essere rappresentati proprio dai due termini già contenuti nel titolo: la foresta, come simbolo della natura, dell’ambiente e della varietà dei rapporti sociali necessari per la riproduzione della vita, e la fabbrica, simbolo della necessità di organizzare la produzione in modo consono al mantenimento della prima.

Occorre quindi immaginare le tecnologie, le scelte economico-ecologiche e politiche, intendendo la politica non come funzione dello Stato e delle sua rappresentanza più o meno democratica, ma come gestione e organizzazione della comunità. Umana e autonoma. Uno sforzo variamente e riccamente illustrato nell’opera da cui si trarranno, qui di seguito, alcuni esempi. Così:

il comunismo non costituirà una monocultura sociale. Come le vecchie forme di sussistenza agro-ecologica locale fornirono la base per una molteplicità di pratiche sociali differenti, allo stesso modo la nuova base produttiva planetaria genererà un’efflorescenza di diversi modi di vivere, completamente inediti. Il lungo processo di rovesciamento del capitalismo e di costruzione di un mondo comunista produrrà esso stesso, nel caos della transizione, un mosaico di nuove forme sociali […] Risulta quindi impossibile delineare una loro esatta configurazione, se non ipotizzando alcuni loro principi “in negativo” (assenza di dominio, mantenimento dei principi fondamentali dell’associazione volontaria, interdizione di pratiche ecologiche indebitamente distruttive, ecc.), che verrebbero assicurati dall’azione di istituzioni decisionali di più ampia scala3.

D’altra parte, come si sottolinea ancora nella Postfazione, la riflessione sulle caratteristiche che dovrà esprimere una società comunista dovrà tener conto della necessità di rivoluzionare la tecnica più che fare la rivoluzione con la tecnica. Oppure i limiti spaziali che la società umana futura dovrà sapersi dare per mantenersi in equilibrio con la Natura o, ancora, le forme dello scambio in cui non si tratterà di

ridurre l’attuale sistema dei prezzi ad una sorta di “valore lavoro” o “valore d’uso” assoluto incarnato dalla merce. Il comunismo costituisce l’annientamento del “valore”, quindi anche dei prezzi [tramite] “misure comuniste”, le quali: a) puntano ad un’immediata demercificazione, attraverso la distruzione del denaro, del sistema dei prezzi (compreso il baratto, che è una sorta di sistema di prezzi “zombie”) e dell’intero complesso dei mercati e della proprietà privata; e b) avviano la sperimentazione di pianificazione, di allocazione e di riconfigurazione tecnica, come mezzi di smantellamento del dominio sociale. […] La guerra civile difensiva che segue a qualsiasi insurrezione rivoluzionaria potrebbe così trionfare per davvero soltanto tramutandosi in una guerra sociale più ampia rivolta contro le relazioni di base che strutturano il mondo capitalista, cristallizzate in forme come il prezzo e la proprietà4.

Quindi non si tratterà soltanto di sostituire i “prezzi” con il “piano”, come a partire dall’URSS si è troppo spesso ragionato, lasciando così intatto il fondamento del capitalismo stesso. Soltanto in questo modo la parola Rivoluzione assumerebbe in pieno il suo significato di rovesciamento e ribaltamento totale dell’esistente.

Un testo dunque, quello qui proposto, che sfida troppi assunti di una teoria comunista che guarda ancora troppo agli errori del passato (ma erano davvero solo errori?) senza osare, come ha fatto spesso la migliore fantascienza, accettare la ben più reale sfida del futuro e del mondo nuovo da costruire.

Immaginare, quindi, una fantascienza del comunismo risulta stimolante non perché permette di visualizzare mondi stravaganti e fantasiosi, ma perché mostra come mondi fondamentalmente altri rispetto al nostro possano comunque emergere da questo cumulo di macerie lasciatoci in eredità. […] La questione, pertanto, non è come far funzionare il comunismo in sé, ma come restare comunisti in un frangente in cui le condizioni necessarie alla sua piena instaurazione risulteranno ancora fuori portata. Abbiamo cercato di dimostrare, al contempo, come non esistano vincoli tecnici tali da impedire una riconversione in chiave comunista del mondo attuale. Non è necessario che le “forze produttive” si sviluppino fino ad una “piena automazione” perché un ordine sociale comunista divenga possibile. La costruzione comunista potrebbe benissimo prendere le mosse oggi stesso, se solo esistesse la soggettività politica in grado di avviare tale processo5.


  1. Si veda in proposito: V. Bevins, Se noi bruciamo. Dieci anni di rivolte senza rivoluzione, Giulio Einaudi editore, Torino 2024.  
  2. T.S., Postfazione. Inaggirabili possibilità in Phil A. Neel, Nick Chavez, La foresta e la fabbrica. Contributi ad una fantascienza del comunismo, Porfido Edizioni, Torino 2025, p. 91.  
  3. P. A. Neel, N. Chavez, op. cit., p. 38.  
  4. Ibidem, pp. 56–57. 
  5. Ivi, pp. 84-85. 

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