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‘’Per la strada non sarei più tornata’’. Una storia delle battaglie per l’abitare a Cagliari Ep.5

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Il Comitato di lotta per la casa

Negli anni ’70 la condizione abitativa a Cagliari aveva raggiunto livelli inaccettabili, soprattutto per i ceti medio-bassi della città.
5000 famiglie erano costrette ad abitare in grotte, scantinati e baracche; altrettante vivevano a Sant’Elia in case ritenute assolutamente inabitabili. Come già scritto nel precedente capitolo, la principale caratteristica della città erano i cosiddetti sottani, pericolanti e privi dei servizi più elementari, in cui abitavano addirittura seimila persone. I sottani si trovavano principalmente nei quartieri del centro storico, Marina, Castello e Stampace1.
Altrettanto drammatica era la situazione per chi desiderava abitare in città: centomila le persone che ogni giorno chiedevano all’amministrazione comunale e allo IACP una casa in cui poter vivere2. Secondo le inchieste della stampa isolana, per risolvere il problema abitativo nel capoluogo sardo sarebbero state necessarie diecimila abitazioni3.
Ciò nonostante, circa il 5% delle abitazioni presenti in città erano inutilizzate e sfitte4. La presenza di questi locali aveva come conseguenza un notevole aumento degli affitti: il prezzo di un appartamento con tre camere, cucina e bagno costruito dopo il 1960 si aggirava intorno alle 100-120 mila lire mensili, più alto rispetto ad una città come Milano il cui prezzo risultava essere di 97 mila lire5.
Per molte persone l’occupazione delle case era l’unica soluzione per abitare a Cagliari: secondo le dichiarazioni dell’assessore al patrimonio e alloggi dell’epoca, Mario Orrù, tra il 1972 e il 1977 furono 280 gli appartamenti spontaneamente occupati in città6.
Gli stessi protagonisti delle lotte per la casa ponevano l’accento sulla drammatica condizione abitativa presente a Cagliari.
Così ci dice Antonello Pu.:

Il problema principale era la casa, da lì nasceva tutto l’insieme, che non era solo casa come quattro mura, era l’abitare il problema, quindi ciò che lo circondava, spazi verdi, inquinamento dell’aria, una serie di problemi, quindi lavoro e via di seguito7.

Luigi S, invece, ci descrive la sua situazione personale:

Per esempio, io abitavo in via Dante, è crollato il tetto e una parete della casa e quindi abbiamo dovuto lasciarla. Mi sono trovato in locanda, e quindi abbiamo sentito altre persone che avevano lo stesso problema nostro, e ci siamo un po’ aggregati. Abbiamo formato il Comitato tramite però persone che ci avevano aiutato dall’esterno, avevano molta volontà, senza di loro… Il periodo moltissimi aiuti dall’esterno, ma moltissime famiglie… Era il periodo che non stavano più costruendo case. C’erano molti locali sfitti8.

casteddu lotta per la casa2

In questo contesto storico e sociale nacquero nel 1976 le prime occupazioni a carattere politico: il 4 aprile cinque famiglie, sostenute dal Comitato di quartiere di Castello e dal Movimento lavoratori per il socialismo, occuparono un appartamento sfitto in via Mazzini9; il 22 dello stesso mese quattro famiglie, che in precedenza abitavano nei sottani della Marina, presero possesso di un edificio di proprietà dell’Italjolly S.P.A. in via Porcile 61, sfitto da quattordici anni10; il giorno dopo altre cinque famiglie occuparono una vecchia villetta ai margini dello stagno di Santa Gilla, inutilizzata da sette anni11.
Il 25 aprile, in un’assemblea tenutasi nella sede della Scuola Popolare cui partecipò anche il Coordinamento dei Comitati e Circoli di quartiere, gli occupanti dei tre edifici crearono il Comitato di lotta per la casa. Il primo documento politico dell’organizzazione traccia i principali obiettivi che si volevano raggiungere: l’affitto della casa al dieci per cento del salario; l’immediata requisizione degli appartamenti sfitti; l’attuazione di un vasto piano di edilizia popolare; il blocco di tutte le manovre speculative in atto; l’esproprio di tutti quegli stabili costruiti con una licenza edilizia rilasciata irregolarmente; una verifica dei criteri di assegnazione delle case popolari e la denuncia dei non aventi diritto12.
Nel corso degli anni fecero parte dell’organizzazione moltissimi senzatetto, sfrattati e abitanti dei sottani del centro storico o delle case fatiscenti nei quartieri popolari.
Per spiegare al meglio le principali caratteristiche del Comitato, è fondamentale lasciare la parola ai protagonisti di quella stagione di lotte.
A proposito della composizione sociale del Comitato, ad esempio, così ci dice Marco M.:

E poi ci si occupò soprattutto dei senzatetto, di quelli che avevano grandi problemi, non trovavano, avendo un lavoro precario già allora e avendo perso il posto di lavoro o non avendo neppure il posto di lavoro si arrangiavano e vivevano in situazioni di grande difficoltà. Per cui si iniziò questo percorso con il Comitato di lotta per la casa13.

Marisa D., invece, ci racconta che il problema della casa riguardasse persone appartenenti a fasce di reddito differenti:

Molti erano anche garantiti a livello economico, però non si potevano permettere, perchè nasceva sempre la problematica che era quasi mezzo assurdo reperire alloggi14.

La principale azione politica sostenuta dal Comitato era l’occupazione di alcuni edifici sfitti – la maggior parte di essi pubblici – e il loro successivo risanamento.
Così ci dice Marisa D.:

Si occupava in punti strategici, senza togliere il diritto alla casa a nessuno, non abbiamo mai occupato case popolari assegnate. Erano scelte, c’era il riuso del patrimonio pubblico esistente, perchè non aveva proprio senso che tu lasci inutilizzati questi stabili15.

casteddu lotta per la casa1

Luigi S. ci racconta il modo in cui si sviluppavano le occupazioni:

Noi avevamo un quaderno, venivano le famiglie, per esempio venivano una persona che mi conosceva sono in mezzo ad una strada, voglio occupare anche io qui e là. “Dai, dammi nome e cognome” e si scriveva nel libro, si parlava, li si diceva ci sono alcune regole da rispettare noi siamo tutti compagni e al momento dell’occupazione si deve fare così e così, ti avvisiamo il giorno prima dell’occupazione, un paio d’ore se è possibile, alle volte che questi fossero messi lì da qualcuno e si faceva. Poi allora andava la ronda oppure a controllare il palazzo oppure quelli che ci abitavano, vedevano questa palazzina sfitta, o guardate che c’è questa sfitta, e andavamo a vedere un po’ come si poteva fare, di chi era, di chi non era, e come si poteva fare per entrarci dentro, quante famiglie ci stavano. Allora fatto tutto questo, avvisavamo le famiglie, la notte prima, la sera prima, dipende com’era l’occupazione, e così si occupava. Però il fatto che si sapeva è che magari molta gente, magari la sorella aveva occupato in tale posto. E come hai fatto? Chiedeva alla sorella, eh sono andato dal Comitato su in via Logudoro, c’è la riunione e così passaparola16.

Anna P. aggiunge:

Si faceva una riunione, solo le donne, individuavamo uno stabile, solo donne, si faceva una riunione e dicevano a tale ora si parte e andiamo a fare un’occupazione, però solo le donne, portatevi i materassi e la cosa più necessaria17.

Maria Teresa T. ci parla dei lavori di riqualificazione fatti negli edifici occupati:

Non erano appartamenti erano uffici grandi, poi hanno fatto lavori. Anche noi abbiamo fatto lavori. Sono state suddivise le case, hanno messo le porte, chi non aveva la cucina ha messo il lavandino18.

Tra le occupazioni più significative sostenute dal Comitato, possiamo citare quella compiuta il 9 maggio 1976 da sei famiglie del Palazzo Doglio, edificio appartenente all’industriale Franco Trois situato in via Logudoro, nella zona centrale della città. Negli anni successivi, nella stessa via fu occupata l’ex scuola media Regina Elena19 e nelle vie adiacenti l’ex scuola media n.420 e un appartamento in via Goceano21. Palazzo Doglio vide aumentare il numero delle persone presenti sino a circa trecento e all’interno dello spazio furono organizzate attività sociali e culturali, nacque un asilo e furono istituiti alcuni corsi per le 150 ore22.

Tra gli anni ’70 e ’80 il Comitato di lotta per la casa fu l’organizzatore d’importanti manifestazioni cittadine (come ad esempio il corteo che si tenne il 6 maggio 1976, a cui parteciparono mille persone, che si concluse con l’ingresso in aula Consigliare dei manifestanti, che costrinsero i rappresentanti del Consiglio a discutere del problema abitativo esistente23); fu promotore di alcune assemblee pubbliche sul problema della casa con altre realtà politiche e sociali (come ad esempio quelle tenutesi il 4 e 27 novembre 1977 insieme al Coordinamento dei Comitati e Circoli di quartiere); divenne punto di riferimento per le famiglie che si ponevano l’obiettivo di superare la loro drammatica situazione abitativa (come ad esempio gli abitanti di alcune case presenti nel quartiere di Stampace, che arrivarono ad occupare il comune per circa una settimana affinché l’Amministrazione comunale risolvesse i gravi problemi strutturali che rendevano questi edifici ormai inabitabili24).

Il racconto della storia dei Comitati di quartiere e del Comitato di lotta per la casa si chiude qua. I cinque articoli pubblicati in queste settimane hanno provato a tracciare una sintesi dei conflitti urbani sviluppatesi a Cagliari tra la fine degli anni ’60 e la metà degli anni ’80. Una storia poco conosciuta perché raramente studiata dalla storiografia ufficiale. È invece necessario raccontare questi avvenimenti, sia per dotare i movimenti di lotta attuali di un bagaglio storico e teorico necessario per comprendere il presente, sia per riportare alla luce quei conflitti– e le soggettività che gli hanno prodotti – dimenticati dalla cosiddetta “storia ufficiale”, contraddistinta da una visione lineare del progresso e dall’eliminazione delle fratture e dei conflitti che nel corso del tempo si sono prodotti.

 

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