Questione morale e garantismo a due velocità
L’ultimo arresto, scattato martedì 3 maggio – misura cautelare che ha portato il sindaco del PD di Lodi e il suo avvocato in carcere con l’accusa di presunta turbativa d’asta – ha risvegliato le coscienze zelanti di qualche giornalista nostrano, pronto ad immergere la pennina nel calamaio e vergare le dovute frasi di rito: troppi si buttano in politica per fare malaffare.
Apriti cielo. Davvero? Noi non ce ne eravamo ancora accorti…
L’arresto del sindaco lodigiano, braccio destro di Guerini (vicesegretario del PD) e assessore all’ambiente durante i suoi due mandati a guida del comune lombardo, ha dato il via ad un nuovo imbarazzante atto in cui politici, giornalisti e opinionisti hanno solcato il palcoscenico mediatico per svolgere diligentemente il loro ruolo di comparse nella vicenda giudiziaria del giorno.
Ognuno ha giocato la sua partita: da Matteo Salvini che ha attaccato il PD, dimentico delle ruberie che il suo stesso partito ha condotto per anni nella regione lombarda; fino a Matteo Renzi che si è visto costretto a rilanciare la patata bollente a tutto l’arco istituzionale e che ha dichiarato che in Italia esiste un problema di integrità morale che coinvolge tutti i soggetti collettivi che ricoprono un ruolo protagonista nella vita politica nazionale.
I giornalisti stessi, a seconda della testata di riferimento e dell’elettorato a cui si rivolgono, dopo la dovuta premessa sull’esistenza di una trasversale “questione morale”, si sono divisi tra chi ha scritto righe apologetiche nei confronti della magistratura vista come deus ex machina che perseguita i politici/ladri e si erge ad ultimo argine contro il malaffare (nel patetico stile dell’antiberlusconismo che fu) e in chi, invece, si è ridipinto una verginità garantista scoprendo finalmente – nel momento del bisogno e dopo anni di campagne giustizialiste contro militanti e movimenti sociali – che, nonostante tutto, esistono tre gradi di giudizio prima di essere dichiarati colpevoli.
Sulla base di quanto letto in questi giorni, dal nostro punto di vista, emergono due questioni principali: un ordine del discorso, diffuso e trasversale, che condensa nel ragionamento intorno alla “questione morale” un sentimento legalitario svincolato da qualsiasi visione del mondo e sua interpretazione valoriale e un garantismo a due velocità che giornalisti e opinionisti invocano a seconda dello status sociale, economico e politico dell’indagato.
Procediamo con ordine e partiamo dalla prima. Come precedentemente accennato in questi giorni si è elevato quasi unanimemente e in coro l’assunto di partenza che ha dato il là alle molte pagine di inchiostro che sono state scritte sull’arresto del sindaco di Lodi. Sia chi si è scagliato a testa bassa contro il malaffare della politica (comprensibilmente!), sia chi si è arroccato in arzigogolati “ma”, “però”, “in fin dei conti” – giustificando la turbativa d’asta come finalizzata al bene della comunità, sostenendo la ricostruzione dei fatti data dagli indagati stessi – ha dovuto partire con l’incipit doveroso in cui si riconosce l’esistenza di tale “questione morale” più o meno trasversale a tutta la politica istituzionale.
Elemento che noi stessi non vogliamo negare o trascurare, anzi! Ma detto questo ci sembra un discorso svuotato di un elemento basilare (anche quando omesso in buona fede): molti di coloro che si fanno paladini della necessità di una nuova morale fondante che sappia ri-vivificare (dal loro angolo prospettico e per i loro progetti) le speranze nella politica del palazzo, scacciano dai loro ragionamenti ogni punto di vista partigiano che “puzzi” di parzialità, che parta dalla contrapposizione degli interessi in campo in una società divisa in classi e dal loro rispecchiamento valoriale. Perciò riducono il discorso a mero rispetto della legge senza, nei fatti, slegarsi da atteggiamenti, comportamenti, punti di vista e progetti politici condotti pure nel pieno rispetto della normativa vigente, ma che sono a tutti gli effetti pilastri fondanti di un codice etico, comportamentale, politico che legittima lo stato di cose esistenti.
Se già per Marx i governi e i parlamenti erano i comitati d’affari della grande borghesia, oggi tale sudditanza si è approfondita, rimarcando il primato dell’economia sulla politica: la politica come momento mediatore tra gli interessi economici contrapposti è andata scomparendo negli anni.
La politica per il grande capitale è diventata la politica esercitata senza mediazione dal grande capitale. Perciò, oggi ancor più che un tempo, la politica che accetta le regole del gioco liberal-democratico – tanto quella condotta nel rispetto della legge, quanto quella condotta contro la normativa vigente – è la politica che gioca alle regole del capitale e diventa necessariamente, con sfumature diverse, la politica al servizio del capitale.
Ugualmente, il piano di ragionamento condotto dagli stessi giornalisti e opinion-maker che richiedono una politica sana, pulita, moralmente rifondata, costruiscono un senso comune neutro che fonda la sua avversione verso la classe dominante come odio verso la “casta”, vista come un tappo di marciume e illegalismo che blocca gli sviluppi positivi e auspicabili che questo sistema potrebbe garantire.
Se dal nostro punto di vista questo ragionamento può offrire, se opportunamente colti, spazi politici di contro-soggettivazione, dobbiamo essere allo stesso tempo consci che ogni contraddizione può essere leva del conflitto sociale se e solo se si agisce in essa per farla esplodere.
La “questione morale” o diventa campo di contesa di moralità contrapposte, di valori diametralmente diversi e in netta contrapposizione, oppure rischia di diventare motore di legittimazione e di whitewashing per un fittizio quanto impossibile “capitalismo dal volto umano”.
La seconda questione che è emersa con forza in questi giorni è il garantismo a due velocità che vige in questo paese. “La Repubblica” si è scagliata contro i forcaioli che chiedevano la testa del sindaco di Lodi riscoprendo una verve garantista che raramente si nota quando salgono all’onore della cronaca notizie di militanti arrestati perché protagonisti delle lotte sociali che portano avanti da nord a sud dello stivale. Il segretario provinciale del PD di Lodi ha definito Simone Uggetti una persona onesta e la sezione locale del PD ha diffuso una nota in cui si dice che, nonostante tutto, il sindaco non ha rubato soldi pubblici, ma potrebbe aver truccato un’asta per assegnare le piscine a cielo aperto della città ad una azienda sportiva – una compartecipata del comune – per fare il bene della collettività.
Alcune persone vicine al PD lodigiano hanno commentato la vicenda scrivendo su facebook che, anche se il sindaco dovesse aver sbagliato, dietro a queste notizie esistono drammi personali da non trascurare, una persona ed una famiglia da rispettare.
Siamo ben felici di questa svolta garantista del PD e della sua velina ufficiosa – La Repubblica -; saremmo stati altrettanto felici di vedere un atteggiamento simile anche un anno fa quando, in una perquisizione preventiva a danno di alcuni compagni di Milano nei giorni precedenti al corteo nazionale NO EXPO, venne sequestrata una bottiglia di succo di frutta vuota, fatta poi passare dalle forze dell’ordine per una molotov fatta e finita.
Saremmo stati ben lieti di vedere un atteggiamento simile anche questo 25 aprile quando, a Torino, i genitori e i familiari di 28 ragazzi sottoposti a misure cautelari per la loro militanza nel movimento NO TAV e per la loro opposizione fattiva alle presenze fasciste nelle loro università, hanno dovuto conquistare la possibilità di leggere una lettera dal palco del jazz festival dopo essersi scontrati con l’arroganza del PD locale e della questura.
In questi casi non abbiamo visto nessuna attenzione e nessun rispetto per le persone degli inquisiti e dei loro familiari.
Non abbiamo visto in questi casi – e mai ne vedremo in eventi analoghi – una simile premura da parte di giornalisti e politici di spicco; anzi siamo abituati a vedere sbattuti sui giornali locali e nazionali i volti, i nomi e persino gli aneddoti biografici dei tanti e tante che quotidianamente pagano un prezzo salatissimo per le proprie scelte di vita e di lotta.
Non siamo avvezzi al piagnisteo e non ci stupiamo di tali atteggiamenti: quando bisogna colpire chi collettivamente si organizza sul terreno del conflitto sociale, tutta la politica di palazzo, le procure, le questure e i media ufficiali sanno mettere da parte gli interessi particolari che, in alcuni casi e in alcuni momenti, possono anche confliggere uno contro l’altro e si costituiscono in blocco a difesa dello status quo.
Questa non è sicuramente una novità, ma la nostra capacità deve essere quella di rendere palese il garantismo a due velocità esercitato dai lacchè di chi comanda: legittimo e doveroso con i forti, superfluo e trascurabile con tutti gli altri.
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