Schieramenti del dissenso e politiche della classificazione: costruendo la resistenza in Turchia
di Emrah Yildiz
4 giugno 2013
Oltre diecimila persone hanno occupato le strade di Ümraniye, un quartiere proletario nella parte asiatica di Istanbul, attorno alle 22 di domenica 2 giugno, per dimostrare solidarietà ai manifestanti non solo nei dintorni di Gezi Park a piazza Taksim, ma anche a tutti coloro che stavano manifestando in 67 città in tutta la Turchia, da Ankara ad Izmir, da Adana ad Hatay. Riunitisi sulla strada principale del Mahallesi (distretto)1° Maggio di Ümraniye, una zona da sempre considerata roccaforte dell’AKP e casa di uno stile di vita socialmente conservatore, oltre diecimila abitanti del quartiere Ümraniye hanno sfilato in corteo lungo l’arteria principale del circuito autostradale di Istanbul che connette la parte europea a quella asiatica della città attraverso il ponte del Bosforo, conosciuto in Turchia come TEM. Gridando slogan come “Fianco a fianco contro il fascismo!”e “Resisti Gezi (Park) resisti!”dei manifestanti di piazza Taksim, gli abitanti di Ümraniye hanno formato un blocco umano chiudendo l’autostrada al traffico. Nonostante i cartelli allertassero gli automobilisti sulla presenza dei manifestanti con alcune miglia di anticipo un’auto di lusso nera – un’Audi A6 o una Bmw, secondo i testimoni – si è lanciata sulla folla, ferendo seriamente due manifestanti pacifici appartenenti alla Piattaforma Socialista di Solidarietà (Sosyalist Dayanışma Platformu – SODAP in turco). Il diciassettenne studente liceale e membro di SODAP Sezgin Kartal si trova in condizioni critiche presso l’ospedale di Göztepe Eğitim ve Araştırma mentre scriviamo questo articolo. Il 19enne operaio Mehmet Ayvalıtaş, membro della rete di hacker socialisti turca RedHack, è invece deceduto nello stesso ospedale nonostante tutti i tentativi di salvargli la vita.
Mentre i media internazionali ed alcuni analisti si sono concentrati in particolare sull’atmosfera celebrativa della piazza Taksim, premurandosi di evidenziare il carattere di “classe alta” e “laicista” degli occupanti che si godevano la vittoria sulla polizia nei due giorni passati, la storia straziante di Mehmet e l’informazione biografica tronca su di lui costituiscono un panorama molto più complesso, che comunica non solamente la ragione per cui le persone si ribellano, ma anche in particolare chi si sta ribellando. Non considerare la storia di Mehmet come parte integrante della “resistenza” scoppiata in Turchia non solo prepara la strada al peggior tipo di violenza epistemica sfogata nel linguaggio dell’analisi “politica” da poltrona, ma anche a pratiche di rappresentanza non etiche e irresponsabili. In entrambi i casi, disconoscere la storia di Mehmet e le storie come la sua significa riprodurre la stessa caratterizzazione sprezzante e altezzosa dei manifestanti operata da Erdogan, che li definisce “parassiti” viziati (capulcu in turco), indignati per “un paio di alberi” e alcolizzati (ayyas in turco) frustrati dalla recente legge sul consumo di alcol, organizzati e manovrati come burattini dal principale partito all’opposizione, i democratici sociali laicisti dell’”elite” in Turchia.
Come nativo di Istanbul e antropologo che lavora sulle sue connessioni regionali, mi sento – nel bene e nel male – abbastanza familiare con la retorica paternalistica del contro-attacco di Erdogan, sulla quale lui costruisce narrazioni manipolatorie di atrocità commesse durante la sua amministrazione. I suoi tentativi di reindirizzare l’attenzione pubblica dai massacri di crudi nei villaggi di Uludere/Roboski sul confine iracheno proponendo una nuova legge antiabortista, o il “tempestivo” emendamento della legge sull’alcol proprio dopo i bombardamenti che hanno devastato Reyhanli sul confine siriano dovrebbero bastare come esempi per i lettori e le lettrici che non sappiano a cosa mi riferisco. Per guardare un po’ più indietro, il fatto di definire Israele uno “stato terrorista” per uccidere bambini palestinesi, e successivamente ordinare i suoi propri F-16 per ammazzare quelli curdi nel Kurdistan turco dovrebbe suonare un altro campanello di allarme, e rispondere all’irritante domanda di “Perché le persone in Turchia sono così arrabbiate per un parco?”. Alcune persone hanno già scritto come e perché non si tratta di un parco, o di alberi o di alcol.
Ciò che mi risulta più irritante, comunque, è la miopia analitica che contraddistingue le politiche di definizione di quanto sta accadendo e gli attori che stanno resistendo in Turchia, da un lato, e dall’altro la totale noncuranza per storie come quella di Mehmet, poiché non entrano con precisione nelle classificazioni banalmente familiari e mutuamente esclusive della consolidata elite di laicisti contro la presuntuosa classe operaia di islamisti in Turchia. Gli schieramenti apparentemente strani che la “resistenza” sta generando in Turchia non dovrebbero essere spiegati in termini così astratti o categorici, ma approcciati come terreni sociali vitali attraverso i quali possiamo ripensare queste categorie, sia nelle nostre pratiche di rappresentanza che negli sforzi di analisi. La storia di Mehmet ad esempio, insieme alle informazioni sulla sua provenienza e la sua partecipazione a Redhack da operaio di fabbrica potrebbe aiutarci non solo a ripensare il binario elite laicista/classe operaia islamista, ma anche la provenienza di classe degli utilizzatori di social media ed attivisti della rete che è stata immaginata o dedotta, e la relazione più astratta fra la classe sociale e la tecnologia nell’era del tardo capitalismo.
Alcune notizie per il Primo Ministro e i suoi collaboratori, che tentano di ridurre la resistenza a qualche gruppo politico laico cercando in questo modo di creare spaccature fra noi:
1. Gli atei hanno formato una barriera umana attorno a coloro che stavano pregando nella piazza Taksim.
2. Gli ultras e tifosi del Galatasaray hanno resistito ai tentativi della polizia di detenere i tifosi del Fenerbahçe.
3. Nella stessa piazza ieri abbiamo visto le persone fare il tipico gesti appartenente ai socialisti o ai nazionalisti del “lupo grigio”.
4. Donne con il velo e persone di sinistra erano nella stessa piazza ieri.
Questa si chiama resistenza, si chiama solidarietà. Contro il fascismo uniti in un solo cuore!
Oppure prendiamo questa persona trans, Buse Kılıçkaya, anche lei presente a piazza Taksim. E’ un individuo lgbtq nella zona di Taksim, un’area che si trova oggi sotto attacco per un rinnovamento molto più ampio che non riguarda soltanto la demolizione del Gezi Park e la costruzione di un complesso che comprenderebbe una moschea e una replica di un casermone ottomano con centro commerciale annesso al suo posto. La sua t-shirt recita: “Noi puttane siamo sicure che i politici non sono figli nostri!”, affrontando anche il linguaggio omofobo rivolto a Erdogan dai manifestanti. E non sono arrivato a che cosa hanno da dire ambientalisti e anarchici, e (non meno importanti) le donne e le fazioni curde rispetto al perché e come sono presenti alle mobilitazioni. Il pezzo di Nazan Üstündağ dimostra ampiamente che significa la partecipazione di queste due fazioni (non mutuamente esclusive) dal punto di vista del disimparare e re imparare l’azione politica, e le azioni di dissenso di tutti i giorni.
Sia chiaro, non sto suggerendo che questi schieramenti avvengano senza problemi o che si tratti di una formazione politica stabile. E no, non credo che si tratti di un’estate turca che segua seriamente le fila della Primavera Araba. Una definizione del genere implicherebbe l’oscillazione da un estremo del pendolo (ovvero, che si tratti di una presa di posizione di classe alta e laicista, e non di una genuina manifestazione di massa) all’altro. Non sto neppure suggerendo che il principale partito all’opposizione e i suoi collaboratori non stiano tentando di inserire le proteste continue all’interno di linee di partito sotto l’auspicio dell’inno nazionale, della bandiera turca o degli inni della gioventù nazionalista. In altre parole, siamo di fronte ad un processo continuo di schieramenti e alleanze apparentemente insoliti fra molti individui e gruppi diversi, con posture ideologiche e identità sociali ampiamente differenti, che stanno apprendendo e insegnando l’uno all’altro, e continuano a stare fianco a fianco. In circostanze così indeterminate una lotta sul contesto ed il suo significato prevalente produce il problema dell’organizzare queste alleanze, e i laicisti si stanno seriamente contendendo questo ruolo, ma non sono gli unici. Il comunicato dei Revolutionary Muslims potrebbe chiarire questa posizione, ed illustrare che la lotta sul significato continuerà nei giorni a venire. Con gli attacchi brutali della polizia rediretti verso vari quartieri ad Istanbul, a Beşiktaş in particolare, così come dentro e attorno a piazza Kızılay ad Ankara e nelle piazze principali di Adana ed Hatay, anche la battaglia estremamente viscerale continuerà a crescere con tutta probabilità. Se consideriamo il report della Camera dei Professionisti Medici di Ankara di ieri leggiamo che ad Ankara, solamente nella notte, a causa della brutale forza utilizzata dalle forze di polizia contro i manifestanti 441 persone sono rimaste seriamente ferite, 15 delle quali rimangono ricoverate in condizioni critiche in 10 ospedali della città. Tale forza brutale non viene esercitata sulle persone a proposito qualche albero o qualche bicchiere di vino. Viene utilizzata per ridurre la “democrazia” all’urna elettorale, e per rimanere l’unico soggetto legittimato ad esercitare la violenza di fronte al dissenso politico espresso attraverso gli schieramenti apparentemente più insoliti.
Come tutti sappiamo bene la divisione laicista/islamista ha paralizzato l’organizzazione dei sistemi politici, per non parlare la formazione dei partiti politici, in tutto l’ampio Medio Oriente durante le rivolte che oggi chiamiamo primavere arabe. E’ anche arrivato a definire le politiche di nominare non solo le ideologie politiche dei manifestanti, ma anche la loro propria essenza, carattere e mentalità nella vita. Riflettendo sull’importante lavoro di Talal Asad sulle genealogie della religione e formazioni del laicismo, e attraverso la sua analisi della sovranità e delle proteste in Egitto, Hussein Ali Agrama propone di ripensare tale differenziazione mediante un’indifferenza al laicismo, coniando la rivoluzione egiziana come una “a-laica”: “Nel senso che si posizione anteriormente alla religione e alla politica ed è indifferente alla questione della loro distinzione; la pura sovranità espressa dal movimento di protesta si posiziona al di fuori del problema-spazio del laicismo. In quel senso rappresenta genuinamente un potere a-laico”.
Vorrei proporre, come conclusione, che rovesciamo la formulazione di Agrama sulla sua testa, ritenendo importante il lavoro che l’”indifferenza” sta facendo nella sua originale formulazione, per pensare agli schieramenti di “resistenza” in Turchia. In altre parole propongo che invece di definire i partecipanti come “laicisti” pensiamo ad essi come “a-religiosi” in quanto le loro istanze si collocano anteriormente alle questioni di religione e politica, come sostiene Agrama. Tuttavia, la “pura sovranità” che manifestano del proprio dissenso e gli insoliti schieramenti che hanno aiutato a congiurare quella “pura sovranità” li collocano – per rimanere fedeli alla formulazione di Agrama – “fuori dal problema-spazio” dell’islamismo come ideologia politica e principio moralizzatore della governamentalità neo-ottomana che Erdogan è così ansioso di implementare. Per questo suggerisco che, oltre a dare ai partecipanti l’opportunità di apprendere e di insegnare l’uno all’altro come negoziare posture politiche e mondi sociali di fronte allo schieramento di “resistenza” in Turchia, si potrebbe anche darci l’opportunità di ripensare le nostre pratiche di definizione di schieramenti instabili di resistenza, per capire meglio gli schieramenti di dissenso che stanno emergendo. Ora, come dice il piccolo saccheggiatore nell’immagine in basso, “Sulla strada della resistenza… tornerò!”
Note
In turco Adalet ve Kalkınma Partis = Partito per la giustizia e lo sviluppo, il partito islamico–conservatore al potere dal 2002. Il suo presidente, Recep Tayyip Erdoğan è dal 2003 primo ministro della Turchia (ndt).
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