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Se il family day usa i bambini come scudo umano

In Italia, a maggior ragione, questo genere di destra ha occasione di mobilitarsi: non deve difendere una sorta di riserva indiana dei valori tradizionali ma piuttosto mantenere l’apparato legislativo, ed educativo, sulla famiglia, per quanto possibile, per come è. Una parte di questa destra è direttamente al governo con il PD ed è possibile che lo condizioni. Infatti, l’NCD se magari cede al PD sulle politiche di bilancio, o su qualche immunità tolta in parlamento, su un tema che riguarda la propria base elettorale, e che trova orecchi comunque sensibili in Vaticano, è più facile che possa fare resistenza. Riuscendo magari a mandare nel binario morto, per l’ennesima volta, una legge sulle unioni civili.

 

Due sono i bersagli del family day: il ddl sulle unioni civili, il cui iter si preannuncia comunque accidentato (nonostante le prove di dialogo Pd-M5S), e i corsi e progetti sull’educazione sessuale nella scuola. Quest’ultimo punto ha, a sua volta, due bersagli: il comma 12 dell’articolo 2, del ddl di riforma della scuola, che semplicemente prevede presso docenti, studenti e genitori l’incoraggiamento all’educazione sessuale nel rispetto delle differenze; la serie di progetti e corsi scolastici che risultano in essere, a partire dal primo settembre, e che tengono conto delle indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (con standard di qualità educativa che, evidentemente, non tengono conto dei dogmi integralisti).

 

Su quest’ultimo punto l’attacco delle associazioni cattoliche, quelle che hanno dato vita al Family Day, è stato particolarmente virulento e tutto giocato sulla disinformazione di rete. Tra Twitter e Facebook, celebrati a suo tempo come la rivoluzione neoliberale dell’informazione funzionano benissimo anche per Isis e integralisti cattolici, sono partiti appelli contro le scuole che faranno praticare la masturbazione di massa dei bambini (sic) e scempiaggini simili. Il bello è che nel lessico della politica ufficiale questi soggetti sarebbero i moderati, i cui comportamenti sono improntati alla massima temperanza.

 

Come tutti gli aspetti ideologici, in questo caso pure fideistici, c’è sempre il risvolto economico di un comportamento. Prima di tutto, per molte associazioni cattoliche, il mondo dell’educazione alla prima infanzia, e successivi, è comunque un bel business. Se questo mondo deve confrontarsi con gli standard Organizzazione Mondiale della Sanità che, di fatto, lo delegittimano, e proprio nei cardini del progetto educativo, la cosa diventa prima di tutto un problema materiale. In materia di convenzioni, affidamenti, appalti e consulenze con il settore pubblico nel momento in cui lo stato acquisisce, magari su spinta Ue, questi standard. Poi, in prospettiva, si rischia di delegittimare anche la scuola “parificata” cattolica che si basa su standard educativi ben diversi da quelli del rispetto delle differenze. Infine, se la legge sul terzo settore può consegnare, alle associazioni cattoliche, pezzi di servizio pubblico certi standard di assegnazione servizi, come quelli OMS, possono impedire l’operazione. Come si vede, i criteri di valutazione e di calcolo degli istituti di governance, e delle legislazioni nazionali e continentali, non pongono solo problemi a sinistra (ammesso, e non concesso, che la sinistra sia in grado oggi di porsi problemi). Pongono anche seri problemi all’economia, basata sul disciplinamento tradizionale, degli istituti religiosi. E qui qualche entusiasta di Papa Francesco forse qualche domanda il più sul significato delle parole del Papa contro “l’Europa senza anima” magari sarebbe meglio se la facesse.

 

La chiesa punta chiaramente a continuare un governo, e una economia complessa, di tre tipi di corpi: espulsi dalla società liberista, migranti e bambini. Il Family day, per quanto non completamente in sintonia con Francesco, punta ad inserirsi nei conflitti tra economia della chiesa, che si basa sui corpi dei bambini, e governance europea sullo stesso terreno del governo dell’infanzia. Conflitti mai distruttivi, almeno ai nostri giorni, per le parti ma permanenti. I toni isterici e deliranti, sulla masturbazione insegnata nelle scuole, fanno quindi spettacolo ma si inseriscono nell’economia, in tutti i sensi, di questi conflitti.

 

Esibire i bambini –nella solita versione angelica e cherubinica in cui praticamente si nega l’esistenza di una complessa fase di sessualità infantile- come scudi umani che non devono essere toccati dallo stato, o dalle mani viste come adunche dei gay, non è solo la consueta costruzione del totem. Non c’è infatti solo da esaltare il totem, abituale portatore di valori alti quanto autoritari, per far circolare l’energia che tiene assieme le associazioni, i gruppi, il senso dei singoli comportamenti. Come sempre lo scudo umano dell’infanzia deve difendere, e se possibile alimentare, una microfisica economica della scuola dell’infanzia che si sente minacciata. La battaglia contro la cosiddetta ideologia gender non è allora solo questione di qualcuno che si eccita andando oltre le righe. E’ anche questione di qualcuno che ha fatto bene i conti.

 

L’altro bersaglio contro cui si è agitato il family day, con il consueto scudo dei bambini come arma sia difensiva che contundente, è il ddl sulle unioni civili. L’intento è piuttosto chiaro: mandare nel binario morto il disegno di legge o, quantomeno, stravolgerlo il più possibile. E qui per semplificare, e comunicare i problemi, guardiamo a uno scenario possibile che non ci piace: ad un terzo settore del futuro, una volta compiuti i passaggi legislativi in materia. Un settore in cui, in nome della sussidiarietà, il privato sociale drena risorse private, e contributi pubblici, e esercita in prima persona i servizi sociali mentre il pubblico interviene solo con l’impianto di norme o in casi di emergenza. In questo scenario, se il diritto di famiglia prevedesse l’equiparazione delle coppie dello stesso sesso con le altre, lo stesso istituto della sussidiarietà, il cui compimento è stato pure invocato a lungo dalla chiesa cattolica, subirebbe una netta mutazione di asse. Con associazioni laiche, se non direttamente atee, in grado di intervenire sui servizi sociali nel settore mentre quelle cattoliche perderebbero l’egemonia culturale –con un normativa in cui tutte le coppie hanno pari diritti e dignità- arretrando sul piano della possibilità di egemonia economica e organizzativa. Pur essendo nettamente contrari alla sussidiarietà, che è un concetto neoconservatore che pone il pubblico come attore secondario nelle politiche sociali producendo una società gerarchizzata da nuove filantropie di ogni ordine e grado, è chiaro quindi che si tratta di capire cosa realmente agita certi movimenti e quale è la posta in gioco. Una posta destinata a ricadere sulle mutazioni dei servizi pubblici, desertificati dall’avanzo primario di bilancio regolato direttamente da Bruxelles, e sui nuovi, futuri equilibri tra pubblico e privato in materia di governo del sociale. La questione gay, come si vede, è qualcosa che impatta non solo sul diritto di famiglia, e quindi su equilibri politici e sociali, ma, come tipicamente fa proprio il diritto di famiglia, anche sull’organizzazione economica dei servizi. E qui scoprire, o meglio riscoprire, la capacità del diritto di creare valore economico da parte del diritto, anche in tema di biopotere, non può fare che bene ad una politica senza idee che ha bisogno di confrontarsi con temi controversi.

 

E sul piano dei conflitti, con movimenti come quelli del family day, è chiaro però che non si sta parlando solo di economia ma anche di dimensione sociale. E quindi di consenso a questa o quella forza politica a seconda di come si dispone la società. Il riconoscimento pubblico della sessualità, sul piano normativo e simbolico, nel mondo globalizzato si è allargato alle coppie dello stesso sesso con molta forza negli ultimi 15-20 anni. Del resto, con la crisi delle tradizionali communities, che regolavano strettamente lo status pubblico della sessualità, alla fine del fordismo nei paesi anglofoni, e non solo, si erano imposti i primi Pride come espressione di conflitti tipici dell’uscita da un ordine sociale. E’ il periodo in cui, in Italia, si riconosce pubblicamente, e si regola normativamente, sia divorzio che aborto. Ora, era impensabile che la stratificazione sociale –mobile, complessa, conflittuale- formatasi nel neoliberismo e nella globalizzazione non cambiasse status e forme del riconoscimento pubblico della sessualità in molte parti del pianeta. Non esistono cambiamenti economici che mutano solo gli assetti di proprietà. Inoltre la rivoluzione digitale e della comunicazione (che è solo trasferimento di informazione solo per le mummie di sinistra, mentre ricombinare informazione è mutare composizione sociale) ha radicalizzato tutti i comportamenti sociali usciti da questo genere di trasformazioni strutturali (quando non direttamente agenti di tutto questo). Così oggi qualsiasi inclinazione sessuale è estremamente meno isolata, sul piano comunicativo e quindi logistico ed infine sociale, di 15-20 anni fa. Questo ne favorisce la permanenza, maggiore legittimità sociale e, infine, impone il problema del riconoscimento. Non solo simbolico ma anche normativo.

 

Per dire che l’integralismo religioso del Family Day è destinato a scontrarsi, in modo non episodico, con larghe fasce di società che sono frutto di mutazioni che fanno parte di paradigmi economici, per quanto non gradevoli ma nemmeno la fabbrica fordista lo era, che sono altrettanto permanenti.

 

Lo scudo umano dei bambini, agitato come la più estrema delle certezze sul piano della legittimazione sociale, ha molto da farsi vedere in una situazione del genere. Trovando alleati nuovi, come l’Imam di Centocelle che è andato al Family Day solidarizzando con i cattolici in difesa della famiglia tradizionale. E’ evidente che quello che Vattimo ha chiamato, riferendosi alla chiesa cattolica, “il governo degli orifizi” è qualcosa di odioso e minuto quanto strategico per quelle che vengono chiamate le grandi religioni. Perché per quanto sia astratta, guardando all’infinità azzurra dei cieli, la teologia senza una presa di potere che arriva fino alle tenebre domestiche delle lenzuola è difficile, per una religione, avere realmente influenza nelle società. Lo scontro –tra ricombinazione della tradizione in nuovo scenario e legittimazione dei comportamenti differenti dalla tradizione- è destinato a durare. Come si vede, e come sempre in questi casi, il problema non è solo ideologico o identitario. Al suo interno ci si gioca tutta una economia della società che riguarda anche il futuro dei servizi sociali.

 

In tutto questo la confusione delle associazioni del mondo Lgbt sembra però sovrana. In molti il pragmatismo “né di destra né di sinistra”, in questo perfetto riflesso della confusione culturale della politica generalista, non fa cogliere ad esempio tutta la dimensione normativa, di organizzazione amministrativa, di modelli economici, di tipo di governo di società presenti nelle differenti opzioni politiche destra-sinistra. Il punto non è infatti azzeccare, con senso dell’equidistanza, l’equilibrio delle forze politiche, che onestamente sembra non esserci mai, per ottenere un voto sulle unioni civili. Se queste associazioni vogliono avere un futuro per sé stesse, e non rimanere comitati d’opinione destinati a scontrarsi su Facebook in modo permanente con l’integralismo cattolico, devono fare un salto di qualità. Passando direttamente a prefigurare quale tipo di stato sociale –che è sempre legato in ultima istanza al diritto di famiglia- intendono perseguire. Cercando alleati nella società per uno stato sociale inclusivo, di massa, del benessere e non della carità, pubblico ben consapevole delle profonde mutazioni economiche che stanno attraversando, e ancor più attraverseranno, questo paese. Altrimenti l’altro pericolo, quello della balcanizzazione, di pezzi di futuro privato sociale gay friendly, isola autoreferenziale a regno della sussidiarietà, è dietro l’angolo. E in una società dove masse sempre più ampie di marginali cercano il capro espiatorio ora nell’immigrato ora nei gay, il pericolo assume una dimensione concreta e politica. E tutto questo, oltre a essere frutto di scenari di ineguaglianza, iniziative come il family day lo sanno sfruttare.

 

In una società spoliticizzata come la nostra, frutto di lustri di inaridimento del sapere politico sia diffuso che astratto, la comunicazione che parla agli istinti e alle pulsioni è, ancor più che nel passato, un fatto direttamente politico. Non a caso, come nel liberismo degli anni ’20 e all’epoca della grande depressione, chi sa parlare alla paura è in grado di guadagnare terreno politico. Sul terreno della sessualità, e della sua carica di connessione sociale, invece la capacità di parlare agli istinti, e anche alle pulsioni, è neutralizzata da un linguaggio rivendicativo sterile, tutto ripiegato sul piano della partita doppia dei diritti e rispettoso di tutte le compatibilità politiche. Anche perché il terreno è abitato, ancora oggi, da orde di normalizzatori (provenienti dalle professioni della sessualità dal campo medico a quello dei servizi sociali) che tanto più neutralizzano la carica politica di questa dimensione tanto più provano (invano) a concertare il tema sul piano dei diritti. Eppure, la carica politica proveniente da questa dimensione primaria del biopotere è stata forte, ed ha cambiato veramente in meglio la società, quando si è imposta come rivoluzione e liberazione sessuale negli anni ’60 e ’70. Quando la produzione di discorso su questo terreno era immediatamente politica e non solo, o non tanto, tentativo di riconoscimento di un diritto tra i tanti. In una società che ha perso la bussola come tale, che è per larghi tratti politicamente analfabeta, recuperare la carica di comunicazione politica di una sessualità che guarda al linguaggio primario dei rapporti tra persone è un bene fondamentale.

 

Altrimenti lo scenario di futuro è già scritto in un bel libro di Mel Gordon, docente di storia del teatro all’università di Berkeley, sulla Berlino dei primi anni ’30. In Voluptuous Panic, Gordon ci parla di una metropoli che, di fronte ai colpi della grande depressione e all’avanzare del nazismo, i costumi –individuali e collettivi, si fanno sempre più libertari, il linguaggio del cinema e del teatro sempre più liberati mentre Hitler, velocemente, si prende tutta la Germania. Finirà che nessuno uscirà vivo di lì, in senso letterale. Gordon ci racconta così è il destino delle avanguardie, in ogni senso, quando la loro dinamica di emancipazione non è più in grado di parlare al corpo sociale complessivo nel mezzo di una crisi economica epocale.

 

Saper rispondere a tono a chi agita i bambini come scudi umani assume quindi un senso maggiore di quello della semplice difesa di un settore di società. Per chi questi problemi vuol vederli. Altrimenti buone polemiche su Facebook con gli integralisti cattolici e, per chi vuol capire uno scenario possibile su come potrebbe andare a finire continuando in quel modo, l’invito a comprarsi su Amazon il libro di Gordon.

da Senza Soste

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