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Sei indicazioni dalle elezioni turche

HDP / Flickr||||

Di Güney Işıkara – Alp Kayserilioğlu – Max Zirngast

Erdoğan può aver trionfato nelle elezioni turche, ma ci sono ancora barlumi di speranza tra dispotismo e repressione.

Le elezioni di domenica 24 giugno in Turchia – sia parlamentari che presidenziali –  si sono concluse in ciò che è sembrato essere un trionfo risonante per il Presidente Recep Tayyip Erdoğan, leader sempre più dispotico. Se talvolta è sembrato che l’opposizione potesse avere una seria possibilità, alla fin fine i risultati sono stati chiari.  Erdoğan ha vinto l’elezione presidenziale al primo turno e l’Alleanza del Popolo, il patto elettorale del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP) di Erdoğan ed il fascista Partito del Movimento Nazionalista (MHP) si è impossessata della maggioranza dei seggi in parlamento. Secondo i risultati preliminari, Erdoğan ha vinto la corsa presidenziale con il 52.6% del voto mentre il suo principale rivale, il candidato del centrista Partito Repubblicano del Popolo (CHP) Muharrem İnce, ha potuto raccogliere il 30.6%. Nell’elezione parlamentare l’Alleanza del Popolo ha ottenuto il 53.7%, mentre l’Alleanza Nazionale (comprendente il CHP, il nazionalista Buon Partito e il conservatore-religioso Partito della Felicità) il 33.9%. L’Alleanza del Popolo avrà 344 dei 600 seggi in parlamento, una maggioranza assoluta, mentre l’Alleanza Nazionale avrà solo 189 seggi. Il Partito Democratico dei Popoli (HDP), un partito di sinistra non allineato e filo-curdo, ha conquistato l’11,6% dei voti ed otterrà 67 seggi in parlamento. Queste sono le nude cifre. Ma cosa significa tutto ciò? Ecco sei indicazioni dalle elezioni.

1 – L’elezione è stata illegittima.

Tutti i partiti ed i candidati presidenziali hanno rapidamente accettato i risultati. Se il candidato presidenziale ed il portavoce del CHP avevano denunciato con forza i primi risultati come platealmente inaccurati, in poche ore hanno fatto una completa retromarcia. Akşener, la candidata del Buon Partito, non ha tenuto alcun discorso. Si possono fare solo ipotesi se ci sia stato un accordo dietro le quinte o se semplicemente ciascuno abbia ritenuto i risultati essere più o meno validi.
In ogni caso ci sono state numerose irregolarità il giorno delle elezioni. Nella provincia sudorientale curda di Urfa, ad esempio, gli osservatori dei partiti di opposizione sono stati rimossi forzosamente dai seggi elettorali, e vi sono state persone colte nel tentativo di introdurre in maniera fraudolenta migliaia di voti. Nella stessa provincia, quattro persone sono state uccise dieci giorni prima dell’elezione, quando un candidato dell’AKP e le sue guardie del corpo hanno attaccato a mano armata negozianti filo-HDP. Molte delle irregolarità riportate nel giorno delle elezioni si sono concentrate nelle province curde, dove c’erano pochi osservatori internazionali e molti osservatori locali sono stati sbattuti fuori.
La Turchia è ancora sotto lo stato d’emergenza che Erdoğan ha imposto dopo un fallito colpo di stato contro di lui nel Luglio 2016. Sotto il pretesto di combattere i sostenitori del golpe, Erdoğan ed il suo AKP — in alleanza con il fascista MHP — hanno scatenato una guerra a tutto campo contro le voci dell’opposizione, imprigionando decine di migliaia di politici ed attivisti, si sono gradualmente impadroniti della magistratura, ed hanno consolidato un controllo quasi totale su media quasi totalmente centralizzati. I partiti di opposizione ed i candidati presidenziali – da quelli a destra all’HDP di sinistra ed al suo ex-copresidente e candidato presidenziale imprigionato, Selahattin Demirtaş – non hanno ricevuto copertura mediale nei giorni precedenti all’elezione.
Ciò che è chiaro – e molto più importante che qualsiasi irregolarità individuale – è l’illegittimità complessiva dell’elezione stessa. E’ stata tenuta sotto uno stato d’emergenza, ha comportato un’enorme repressione dell’opposizione (particolarmente di quella socialista e curda), ed ha visto l’utilizzo di tutti i mezzi degli apparati statali per assicurare un trionfo elettorale per il blocco di Erdoğan.

2 – Il MHP fascista è diventato un attore centrale.

Se c’è un chiaro vincitore è il blocco sunnita-turco nazionalista di AKP, MHP e del Buon Partito. Sebbene l’ultimo si posizioni come forza di opposizione nel clima attuale, esso non differisce significativamente dagli altri due in termini del suo progetto politico e della sua visione. La fetta di voto per questo blocco ammonta a quasi il 64%. Il loro successo va considerato nel contesto di una mobilitazione ipernazionalista permanente nella sfera pubblica, oltre che della narrazione della guerra al terrorismo in generale e della guerra combattuta contro i curdi in particolare. Vale la pena esaminare i numeri dell’AKP e del MHP in un certo dettaglio. Se Erdoğan sembra essere il vincitore dell’elezione di domenica 24, e certamente viene dipinto come tale, non si tratta di un dato così liscio. Lo stesso Erdoğan sa che il suo partito ha ricevuto alcuni duri colpi, e non sembrano particolarmente felici dei risultati. L’AKP ha ottenuto circa due milioni di voti in meno delle elezioni del novembre 2015 — un calo di 7 punti percentuali. Non è riuscito ad impadronirsi dei 301 seggi necessari per assicurarsi una maggioranza parlamentare. E’ solo con l’aiuto del MHP che Erdoğan ha potuto prendere la maggioranza.
Di conseguenza ciò significa che la mano del MHP è stata rafforzata. Il partito ha mostrato una performance sorprendentemente forte nelle elezioni. Nonostante la scissione a metà e l’ottenimento da parte dell’altra fazione (il Buon Partito) di oltre il 10% del voto, il MHP è stato in grado di conservare la sua parte, intorno all’11%. E lo ha fatto senza imbastire praticamente alcuna campagna elettorale in prospettiva delle elezioni – il leader del MHP Devlet Bahçeli ha tenuto un totale di due o tre comizi, a fronte dei 107 di Ince. Il MHP è stato in grado di ottenere aumenti significativi nel voto, soprattutto nelle regioni prevalentemente curde, pur perdendo consensi in molte delle loro relative roccaforti (come nelle città meridionali come Osmaniye, Adana, e Mersin). Se c’è stata una frode di ampie proporzioni ha favorito il MHP nelle regioni curde. Il MHP è ben conscio della propria posizione. Bahçeli ha dichiarato dopo l’elezione che il suo partito è diventato “un partito chiave in parlamento”. Il MHP sarà in grado di imporsi in modo più spavaldo e risoluto, specialmente in rapporto alla domanda curda. E’ molto probabile che l’alleanza AKP-MHP persegua un corso ancora più apertamente fascista nei prossimi mesi.

3 – Il CHP si sta spaccando.

Il CHP ed il suo candidato presidenziale, Muharrem İnce, erano abbastanza fiduciosi di potere almeno spingere l’elezione ad un secondo turno. İnce ha condotto un’animata campagna che ha promesso ricostruzione e mobilitato milioni di persone demoralizzate. I risultati, tuttavia, puntano alla nascita di una nuova crisi entro il partito. Il CHP è finito a 3 punti percentuali di distanza dai suoi risultati alle elezioni del novembre 2015 — un finale molto deludente per i suoi sostenitori. İnce — che è finito 8 punti percentuali sopra il suo partito ed è diventato il primo candidato presidenziale del CHP dal 1977 ad aver ricevuto oltre il 30% del voto — ha sotteso la scorsa settimana che o spingerà per prendersi il partito o fonderà una nuova formazione ed inizierà immediatamente a prepararsi per future elezioni. L’attuale leader del partito Kemal Kılıçdaroğlu ha risposto non congratulandosi con Erdoğan, cosa fatta da İnce, ma esprimendosi aggressivamente sul carrierismo all’interno del partito. (Il fatto che Kılıçdaroğlu sia stato il leader del partito in nove elezioni – tutte conclusesi in maniera deludente per il CHP – ma si rifiuti ancora di dimettersi rende piuttosto strana la lamentela sull’essere incollati alle proprie poltrone e sul carrierismo.) D’altro canto İnce ha annunciato che viaggerà per il paese, tenendo incontri in tutte le 81 province per ringraziare le persone che lo hanno sostenuto. Non c’è bisogno di dire che questa sia l’azione di un leader di partito. Una crisi — una che potrebbe persino innescare una scissione – sembra imminente.

4 – L’HDP ha sfidato i pronostici.

Un altro vincitore delle elezioni è stato l’HDP. Nonostante la repressione, nonostante l’esilio e l’imprigionamento di così tanti quadri politici (ancora, incluso il proprio candidato presidenziale), nonostante la violenza e le minacce il giorno delle elezioni (particolarmente nelle province curde), l’HDP si è ancora una volta consolidato ed è entrato in parlamento, superando la soglia (altamente non democratica) del 10%. Questa è un’altra chiara indicazione che un forte partito filo-curdo è divenuto una realtà innegabile nella politica turca. In aggiunta, nonostante alcune tendenze di liberalizzazione, l’HDP ha cercato di incorporare altre organizzazioni socialiste e rappresentanti di forze popolari. Rivoluzionari socialisti dichiarati come Erkan Baş del Partito dei Lavoratori di Turchia (TİP), Oya Ersoy di Halkevleri (Case del Popolo), Musa Piroğlu del Partito Rivoluzionario (DP), e Murat Çepni del Partito Socialista degli Oppressi (ESP) saranno tutti in parlamento, tuonando costantemente contro la dittatura ed il capitale. L’HDP è l’unico partito in parlamento, e dunque l’unico grande partito della politica turca, ad ergersi fermamente contro l’alleanza patriarcale (turco-sunnita – cioé nazionalista ed islamista). Resta da vedere cosa accadrà col CHP ma l’HDP deve prendere l’iniziativa ed aiutare il rafforzamento dei movimenti popolari. Il Movimento di Liberazione Curdo in particolare è uno degli assi più importanti di resistenza allo status quo.

5 – La vista dal basso non è poi così male.

Lo stato dispotico turco ha le proprie radici nell’Impero Ottomano e nella formazione della classe capitalista turca. Se questa relazione di forze è passata per enormi trasformazioni e si è ora temporaneamente stabilizzata intorno all’AKP ed al MHP, le dinamiche popolari che si ergono contro lo stato e nutrono poche o nessuna aspettativa dallo stato sono state un fattore costante nella politica turca recente, in particolare dalla Sollevazione di Gezi nel 2013. Le forze scatenate da Gezi e dal Rojava (la regione curda autonoma in Siria del Nord) spaventano ancora l’AKP ed Erdoğan più delle rivalità interne allo stato o dei tentativi di golpe. Donne, aleviti, curdi, lavoratori e molti altri non ripongono più speranze in questo regime, e molti sono pronti a rompere con lo stato in quanto tale. Per i movimenti popolari i risultati elettorali, seppure in qualche modo demoralizzanti, non sono una causa di completa delusione. Se molti avrebbero desiderato di assistere alla cacciata finale di Erdoğan, le relazioni sociali di potere rimangono largamente intatte – in verità con del potere guadagnato da parte di Erdoğan e del blocco AKP/MHP — e la positiva campagna elettorale, basata sulla solidarietà tra i campi popolari, dovrebbe fornire della speranza per il futuro.

6 – Erdoğan non ha ancora vinto.

Le elezioni di domenica 24 giugno indicano che nonostante tutto il sistema sociale e politico in Turchia è ancora in una relativa impasse. L’equilibrio di potere si è mosso leggermente verso il blocco Erdoğan-AKP/MHP, con le elezioni che hanno raffforzato il già dittatoriale sistema presidenziale. Eppure non è stata una vittoria decisiva. Una larga fetta del paese è ancora contro il blocco dominante, come lo è stata dal 2013. D’altro canto, l’ascesa di İnce (del CHP) e del Buon Partito di Akşener — che hanno appena dichiarato di non “giocare a giochi infantili” e di accettare l’HDP comee “rappresentante del movimento politico curdo” – suggeriscono chiaramente che le diverse visioni entro i circoli statali e delle elite si stanno manifestando come fazioni con rappresentanza politica. Anche qualora il blocco di Erdoğan dell’AKP/MHP rimanesse dominante, non è che Erdoğan controlli tutto e tutti si inchinino a lui. Dovremmo aspettarci una lotta di potere entro il blocco di Erdoğan-AKP/MHP dato che il MHP è andato molto meglio di quanto chiunque potesse aspettarsi (ovviamente, se non ci siano stati accordi di frode sistematica in favore dell’MHP). Quella lotta di potere minaccerebbe la forza dell’AKP se colpisse in tempo di crisi. E c’è senza dubbio una crisi economica in attesa alla porta. La profondità e la gestione di questa crisi, la posizione dell’opposizione e, in maniera cruciale, l’attività di massa nelle strade, determineranno se Erdoğan sarà capace di istituzionalizzare il suo regime autoritario – o se crepe continueranno a formarsi.

Traduzione da jacobinmag.com a cura della redazione di Infoaut

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ELEZIONI TURCHIA 2018

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