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Stralci di inchiesta (12): Carpisa e il lavoro precario nelle grandi catene d’abbigliamento

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In questa nuova puntata di Stralci d’Inchiesta torniamo ad occuparci di lavoro precario, all’interno delle grandi catene di franchising che affollano i centri commerciali e le principali arterie commerciali delle nostre città.

Lo facciamo parlando di Carpisa, una delle più note aziende italiane attiva nel settore della produzione e vendita di borse e pelletteria. E’ di proprietà di Luciano Cimmino, imprenditore a capo di una holding che controlla anche altri marchi come Yamamay, che all’attivo anche l’elezione al Parlamento nel 2013 con Scelta Civica di Monti. Carpisa nasce nel 2001 e dopo poco più di 15 anni ha più di 600 punti vendita in Italia e nel mondo, con 500 lavoratori impegnati tra la sede principale, ubicata all’Interporto di Nola (Napoli), e i punti vendita sul territorio.

Ma oltre a questi dipendenti, Carpisa assume per brevi periodi tanti altri uomini e tante altre donne, che effettuano brevi periodi di lavoro in condizioni che non sono esattamente assimilabili alla mission di cui l’azienda si fregia sul suo sito, per la quale Carpisa afferma di possedere “un’immagine energica, vitale, legata a valori della corretta competizione”.

Ne abbiamo intervistata una, che ha lavorato per alcuni mesi in una filiale di Carpisa all’interno di una grande città italiana in una delle classiche “vie dello shopping” dove le principali catene di abbigliamento, gioiellieria, pelletteria si rincorrono l’un l’altra.

Quello che emerge è soprattutto la diversificazione nella rosa dei dipendenti: a pochi elementi fissi con carattere organizzativo generale, come l’area manager, fanno da contraltare una serie di assunti per breve periodo, sostanzialmente intercambiabili, assunti con un regime di stage che non prevede esplicitamente la regolazione di ambiti quali gli straordinari e che non permette di ottenere bonus rispetto alla produttività.

Ne deriva una massa di manodopera flessibile utilissima soprattutto in periodo di feste e/o saldi, che se non si adegua a rinnovi di contratto sempre uguali può essere facilmente sostituita, costantemente ricattata da responsabili a livello ben più alto del capo del singolo negozio.

Anche in questo caso, come nei vari ambiti della gig economy, è da segnalare l’impiego della messaggistica instantanea come ambito organizzativo: anche in questo caso è tramite Whatsapp che si organizza il lavoro quotidiano, che si impartiscono mansioni e si fissano obiettivi, e sarebbe da indagare su scala generale la discrepanza tra le previsioni dei contratti e quanto viene invece aggiunto/modificato all’interno delle discussioni collettive, provando a sfruttare anche la dimensione emozionale e più “calda” offerta da questi strumenti, come visto ad esempio rispetto al settore delle consegne a domicilio..

Buona lettura.

Come era organizzato il tuo lavoro a Carpisa?

Facevo 24 ore alla settimana, con un giorno libero alla settimana, all’interno di uno stage a 500 euro. Facevo praticamente di tutto: assistenza al cliente, vendita assistita, smarchiamento merci, vetrina, pulizia del negozio. Mi hanno fatto un contratto ma non era ovviamente un contratto “normale”: la paga era bassa, facevo ore e ore di straordinari non pagati, ma proprio tante ore, soprattutto sotto le feste.

Quanto durava il contratto? L’hai rinnovato quante volte?

Il contratto era di due mesi. Me l’hanno poi rinnovato allo stesso modo, senza propormi alcuna cosa differente. Me ne sono andata prima del terzo rinnovo.

Come mai?

Perché non mi hanno voluto fare un contratto normale. Cercavano qualcun altro da assumere in stage per risparmiare soldi. Se io rimanevo alle stesse condizioni avrebbero tenuto me credo, però non volevo e quindi è andata così.

Come erano le relazioni sul luogo di lavoro?

Con i capi del negozio e i colleghi era tutto tranquillo, a patto che raggiungessimo la media vendite stabilita del negozio di volta in volta. Il mio capo era una persona alla fine valida e tranquilla. L’unico vero problema l’ho avuto con uno dei miei colleghi che siccome aveva un contratto indeterminato poteva, a differenza mia, usare la cassa per segnare gli acquisti e ottenere dei bonus in base alle vendite che faceva. In teoria lui doveva fare lui cassa ma poi segnare a me la vendita, e non lo faceva per accaparrarsi più bonus lui. Una cosa davvero brutta.

Avevate responsabili dell’azienda a livello nazionale con cui interagivate?

Andavamo molto sotto pressione più che altro quando c’era l’area manager, quella che in tutti gli store dell’Emilia Romagna fa i colloqui, decide sui contratti, si occupa dei licenziamenti e soprattutto mette ansia…io davvero per lei mi sentivo un numero, questa pensava solo ai soldi, non c’era mai, veniva una volta al mese e quando veniva giudicava tutti per il nostro lavoro, sulla base di nulla. Questa mandava i feedback sulle nostre condotte alla mail interna dei capi, che riuscivamo a leggere dato che a volte la lasciavano aperta nel pc messo affianco alle casse..un vero schifo.

Come vi organizzavate per i turni?

Noi ci sentivamo su un gruppo whatsapp per metterci d’accordo su quello che dovevamo fare durante la giornata. La nostra capa ogni giorno ci mandava gli orari, le mansioni e tutto quanto. Ci aggiornava sulla media che dovevamo raggiungere e cosi via.

Ci fai un po’ una panoramica delle biografie dei tuoi colleghi..

Li c’è gente che lavora da anni, gente che ha l’indeterminato, cosi come persone che vanni di tre mesi in tre mesi..c’è gente a cui viene rinnovato il contratto perché magari sono più grandi tipo oltre la trentina, e poi c’era una ragazza appena maggiorenne in stage come me. I colleghi più grandi avevano tutti molta più esperienza di me, è gente che lavora in quei negozi da anni, girando da una parte all’altra alla ricerca di una condizione di lavoro migliore.

Nessuno dei tuoi colleghi era iscritto a sindacati?

No.

Che tipo di previdenza avevi? Contributi, ferie etc?

Non avevo contributi, né disoccupazione, né giorni di malattia, né giorni di ferie, come previsto dal fatto di essere in stage. Se mi assentavo al lavoro quel giorno non mi veniva pagato e finiva li.

Come funzionava durante i periodi di festa?

Ci chiedevamo semplicemente di fare ore in più. Io badgeavo solo quando entravo e non quando uscivo, perché anche se il negozio doveva chiudere alle 18.30 e invece si chiudeva alle 20.30 io comunque 500 euro dovevo prendere e 500 euro mi davano, non si parlava mai di straordinari, se facevo ore in più tanto non mi venivano pagate.

Come hai trovato lavoro li?

Sono entrata nell’azienda direttamente, senza passare per cooperative: ho portato il curriculum, mi hanno fatto fare una prova e mi hanno presa subito dopo. Tutti i miei colleghi erano arrivati allo stesso modo, e in generale in settori come questo non ci sono agenzie che mediano, funziona tutto cosi a passaparola…

 

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