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Sulle elezioni presidenziali in Romania ed il voto a Torino

Alla fine delle votazioni per il secondo turno delle elezioni presidenziali romene, che si sono svolte il 16 novembre, per le circa cinquecento persone ancora in coda per votare si è trovato solo l’uso dei gas lacrimogeni da parte della polizia italiana come unico mezzo per disperdere le persone in fila davanti al seggio di via Ancona 8, e la giornata si è conclusa (a Torino) con un arresto e quattro feriti. Una delle scintille che ha fatto scatenare alcuni tra coloro che aspettavano in coda è stato l’annuncio anticipato, alle 20:45 invece delle 21 (non 20:30, come afferma Repubblica), della chiusura del seggio. Qui vanno fatte alcune precisazioni, altrimenti si rischia di non capire come mai si è passati dall’attesa per votare ai tafferugli.

Che il ministero romeno degli esteri, del governo a guida social-democratica, non volesse assicurare la possibilità di votare a tutti i cittadini romeni all’estero era già palese la domenica di due settimane fa, 2 novembre, al primo turno delle elezioni presidenziali. Le scene di interminabili code davanti a seggi ridotti di numero, soprattutto nelle città in cui le comunità romene sono particolarmente numerose, si sono svolte tali e quali quel giorno; il governo Ponta (PSD/PSE, più Unione democratica dei magiari UDMR/PPE) pensava così di ridimensionare il voto sfavorevole a quel partito che notoriamente i romeni all’estero esprimono. È molto probabile che le brillanti menti della social-democrazia romena contassero, ancora, sulla remissività e passività dei propri concittadini, dando così prova di continuità di vedute con il partito unico di triste memoria di cui, in fondo, ma neanche troppo, è l’erede storico. Le cose non sono andate affatto nel modo sperato dal potere di Bucarest. E qui compare un triplice intreccio che nel giro di due settimane ha ribaltato il risultato prognosticato dai sondaggi, che davano in testa il candidato Ponta.

L’indignazione per la negazione palese del proprio diritto a votare (primo elemento) ha preso corpo durante la giornata del primo turno davanti ai seggi all’estero ed entro sera correvano già sui social media (secondo elemento) informazioni dettagliate, immagini e video, su ciò che stava accadendo, in Italia e altrove, e allo stupore iniziale si sostituiva così la certezza della premeditazione. Qui interviene il terzo elemento, ovvero i sit-in istantanei, davanti al ministero degli esteri a Bucarest, come anche in una grande città universitaria come Cluj, da parte dei cittadini in solidarietà con chi non riusciva a votare all’estero. Una ondata di sostegno che fisicamente esprimeva in Romania l’indignazione di chi si era fatto ore di coda per poter votare o semplicemente non ha potuto votare all’estero. La mobilitazione in strada è continuata e, senza entrare troppo nei dettagli, ciò che è seguito è stata una lunga serie di strafalcioni politici da parte del governo, il quale ha dimostrato così di essere stato sorpreso e di non poter fare altro che improvvisare senza nulla risolvere: dimissioni del ministro degli esteri per lavarsene le mani, sua sostituzione con un controcandidato di Ponta al primo turno (per la serie “finché la barca va”), scuse patetiche per non aumentare neanche all’ultimo il numero dei seggi esteri, ma anche la vista degli abbracci calorosi tra Renzi e “l’amico Ponta” (almeno per coloro che vivono in Italia).

Le manifestazioni di piazza di Bucarest e Cluj, soprattutto, ma anche di centri minori, sono state portatrici di un’indignazione diffusa, non solo contro la cattiva organizzazione delle elezioni, contro la negazione di diritti costituzionali, ma anche contro un andazzo generale, con la lotta alla corruzione e l’arroganza della politica, intrecciata a triplo filo con l’economia locale, europea e globale, come temi nevralgici. Il controcandidato vincitore, il liberale Klaus Iohannis, sindaco di Sibiu, ha fatto dei temi dell’anticorruzione e del rispetto per la Costituzione sue parole d’ordine, e gli altri hanno dovuto rincorrerlo, ricordandogli che anche nel suo partito, ancora tutto da rinnovare ai vertici e non solo, non mancano casi di condannati ed indagati. Ad ogni modo, ciò che fuoriesce da queste elezioni presidenziali è, a) una voglia di maggior partecipazione popolare alle decisioni politiche in genere poiché queste danno frutti tangibili, nell’immediato o a lungo termine, sulla scia delle mobilitazioni contro la legge sugli espropri per grandi opere (il caso della miniera d’oro a cielo aperto di Roșia Montană, ma non solo), quella contro lo sfruttamento del gas di scisto (questione tutt’altro che risolta); e b), così come risulta anche dal documento redatto e girato tra i protestatari a partire da venerdì sera, ovvero la “dichiarazione di Cluj”, legislazioni anti-casta partitica più restrittive e misure economiche più decise a favore di uno stato sociale ridotto all’osso, in Romania come in tutti i paesi dell’Europa centro-orientale. Che il voto di domenica sia stato anche uno di protesta è innegabile, ma, come è stato già sottolineato, che sia indubbiamente e per lo più uno propositivo e di sostegno al partito liberale è altrettanto innegabile.

Se poi bastino l’appoggio politico di Merkel, fatto pervenire a Iohannis pubblicamente nei giorni prima della votazione finale, e l’immagine austera da “uomo del fare di poche parole” del sindaco per lasciare il segno effettivo di un cambio di rotta, rimane ancora tutto da vedere; di sicuro ad averlo trasferito da Sibiu a Bucarest è la volontà di contare di una cittadinanza che per una ventina d’anni è stata un’appendice lontana e poco influente su decisioni verticiste e per lo più volutamente oscure.

Tutte questioni aperte che non possono più eludere un fatto: le mobilitazioni dei cittadini (per quanto difficili da sintetizzare e comprendere a pieno), che da gennaio 2012 a questa parte hanno assunto in Romania una certa intermittenza stabile (con picchi imprevisti durante l’”autunno romeno” dell’anno scorso), pagano e assicurano alle lotte a venire un minimo indispensabile di memoria storica collettiva, diffusa, senza la quale il loro innesco, o riattivazione, è affidato per lo più al caso.

Alcune corrispondenze realizzate ai microfoni di Radio Blackout:

Le elezioni in Romani viste dall’estero (3 novembre):

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Torino: disordini al consolato rumeno per il voto (17 novembre):

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