Tav e grandi opere sacrificati sull’altare della buona educazione istituzionale?
La Torino-Lione in trent’anni di storia è stata la cartina di tornasole di molte compagini politiche istituzionali dalla facciata “dell’opposizione.”
Un tema politico spinoso perché posizionato al centro tra una lobby decennale, trasversale e nutrita dal sistema grandi opere, e uno dei movimenti sociali più longevi del nostro Paese. Nel 2005, quando il movimento notav raggiunse l’apice dalla propria forza, incidendo in maniera diretta sulle scelte del governo (la liberazione di Venaus fermò di fatto la cantierizzazione e mise in crisi l’iter decisionale fin lì utilizzato) la sinistra parlamentare appoggiò decisamente il NO al tav, utilizzandolo in campagna elettorale. Grazie a questa presa di posizione si presentò nell’alleanza con il governo Prodi con un bacino di voti (impressionante per Rifondazione e i Verdi in Valle di Susa) da spendere per ricalibrare le gerarchie dell’accordo.
La fine del governo Prodi dell’epoca la conosciamo tutti così come il destino di quella com- pagine dalle tinte arcobaleno che man mano si estinse, non ritagliandosi nemmeno un ruolo marginale nella storia di questo Paese. Il Bertinotti presidente della Camera, il Pecoraro Scanio ministro dell’ambiente, il Di Pietro ministro delle infrastrutture, dimostrarono quanto di peggio ci possa essere nel pragmatismo istituzionale, sacrificando la fiducia di un popolo/movimento, come quello della Valle di Susa, sull’altare della tenuta del governo, tradendo violentemente ogni aspettativa e rapporto fin lì instaurato.
Un popolo consapevole e battagliero come quello Valsusino ha la memoria lunga e dall’epoca, ogni “ritorno” in qualsiasi veste/esperimento degli ereditieri di quelle esperienze è sempre stato punito al momento del voto, in maniera netta.
Negli ultimi anni l’avvento e la relativa ascesa del Movimento 5 Stelle sembra ripercorrere i fasti di quella esperienza, trovando adesioni nel popolo notav, a tanti livelli. Del resto Beppe Grillo fu uno dei protagonisti pubblici che aderirono alle istanze del movimento notav, partecipando alla manifestazione torinese post-liberazione di Venaus che marciò sulla città come segno di vittoria dei galli sui romani.
Era l’incubazione del M5S e negli anni il rapporto fu coltivato da entrambi i lati, ognuno per i propri interessi di parte: Grillo per avere visibilità al suo neonato progetto, i notav per avere una voce pubblica, scomoda al sistema.
Grillo coltivò ulteriormente il rapporto, partecipando ad un’iniziativa nella baita in Clarea sequestrata dalla polizia (fu anche condannato) e fece una visita a Chiomonte, il 3 luglio del 2011, provando di persona l’odore acre dei lacrimogeni, rilasciando dichiarazioni con le lacrime generate dai cs.
Tutto “lavoro dal basso” che ha portato oggi i 5 stelle nella stessa posizione dell’armata brancaleone del 2005, ovvero a far proprie le istanze dei notav per andare al governo, con la di speranza di avere la chance di presiedere la legislatura da protagonisti del primo partito in termini numerici.
Quindi, indistintamente da come andranno le cose per quanto di guarda il governo, la Torino Lione ritorna al centro (anche se mai citata) di un agire politico istituzionale. Tutta l’ossatura dei 5 stelle si basa (o si è basata?) sul no alle grandi opere inutili, sui temi ambientali, sui temi dello spreco di denaro pubblico. Tutto ciò in cosa si tradurrà una volta entrati nella stanza dei bottoni?
I segnali che arrivano oggi ci fanno tornare alla mente i primi anni 2000, perché una volta assunta la famosa “responsabilità del governare” temi così spigolosi per la buona educazione istituzionale vengono sacrificati per qualche anno di legislatura.
Se poi il test di governo è quello torinese allora tutto sarà in discesa, proprio come in una pista di bob, come quella che la sindaca Appendino vorrebbe rispolverare per la candidatura alle Olimpiadi invernali.
Del resto nel programma penta stellato non abbiamo mai letto nulla di esplicito sul Tav Torino Lione, e solo Giggino di Maio, in campagna elettorale a Torino l’ha usato perché consapevole della necessità dello sprint finale qui in Piemonte, dove ha rappresentato uno spartiacque con il PD.
Nonostante qualche ammiccamento di troppo, non abbiamo dubbi che il movimento notav saprà proseguire la sua strada scegliendosi, in determinati momenti e con astuzia, i compagni di viaggio adeguati per avere una sponda all’interno delle istituzioni, mantenendo e rafforzando la sua autonomia. Rimaniamo dell’idea che quel cantiere, il progetto e il sistema delle grandi opere possa essere fermato solo dalla forza dei movimenti, e al contempo siamo curiosi nel vedere quale posto sarà riservato dalla storia all’ennesimo partito politico partito che si dice “di opposizione”.
(questo articolo è stato pubblicato inizialmente su Spazi sociali – il giornale del network antangonista torinese – 1 maggio 2018)
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