Tracce di inchiesta e conricerca in via Verdi 15
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Quando sei arrivato alla Verdi Occupata? Facevi già parte del movimento borsisti o ti sei avvicinato per altre ragioni?
Io sono arrivato la settimana dopo l’inizio dell’occupazione. Non ero parte del movimento borsisti e non avevo nemmeno seguito troppo le vicende perché mi trovavo all’estero da settembre. Sono arrivato qui principalmente perché non avevo un altro posto dove stare, conoscevo uno dei ragazzi che stavano qui e quando l’ho saputo in qualche giorno mi sono organizzato e sono venuto ad abitarci. Sono arrivato totalmente da esterno, non ero appartenente ad alcun gruppo organizzato, poi ovviamente qua dentro si è messo in moto un meccanismo per cui non era solamente il posto dove stare a dormire gratis ma era anche un posto dove si poteva costruire qualcosa, ed è una cosa che a me è piaciuta moltissimo. Fin da subito questo meccanismo faceva anche ‘accettare’ cose che altrimenti avrei trovato noiose, come passare una notte fuori al gelo per fare il turno, ma ero mosso dalla convinzione che questo, oltre a risolvere una mia esigenza primaria come quella abitativa, potesse anche servire per provare a costruire qualcosa, che sia la lotta per le borse di studio o per il diritto allo studio più in generale. Questa è stata la ragione per cui mi sono unito a quest’occupazione e da allora non me ne sono praticamente più andato.
Come è organizzata la vita della residenza? Nel portare avanti la quotidianità dell’occupazione, pensi ci sia l’opportunità per trovare degli spazi di protagonismo?
La vita quotidiana della residenza viene organizzata tramite le assemblee di gestione, i primi tempi per necessità se ne faceva una al giorno poi man mano si è andati a scalare. Le decisioni in merito all’organizzazione, a cosa fare, quali progetti portare avanti e come, divisione dei compiti, etc, vengono decise dall’assemblea di gestione che è un’assemblea aperta, quindi ognuno, anche chi non abita nella residenza occupata, può venire e portare qualcosa, metterci del proprio. Perciò, anche in un percorso collettivo, la propria voglia di mettersi in gioco, l’esperienza e capacità di ognuno trova assolutamente spazio, infatti stiamo portando avanti progetti anche molto diversi tra loro, dall’autoformazione, al cineforum, alla ciclofficina, alle cene di ogni giovedì sera che facciamo un pò per autofinanziarci e un pò per trovare anche un momento di svago tutti quanti assieme. In questo caso abbiamo inizialmente fatto un percorso di cene etniche in base al paese di provenienza degli occupanti e poi è venuta anche gente dall’esterno a proporre di organizzarne altre. Questa possibilità per tutti di mettersi in gioco si può notare anche dalle piccole cose: magari uno all’inizio nelle assemblee parla poco o niente, vuoi per timidezza o per abitudine, poi man mano, chi vive l’occupazione si trova sempre più coinvolto (perché qua comunque si vive un’esperienza che va avanti 24 ore su 24) e se anche non conosce a fondo i temi di cui si è parlato in assemblea se li va poi a cercare per i fatti suoi e la volta dopo magari può metterci molto di più. Questo è un pò quello che credo di aver fatto anche io.
Col passare del tempo l’esperienza della Verdi 15 Occupata si è legata ad altri percorsi di lotta, inserendosi in un più ampio contesto di crisi e di tagli al welfare: cosa ne pensi di questo? Credi che sia stato un valore aggiunto per la Verdi 15 Occupata?
Sicuramente un’esperienza come la nostra si deve per forza inserire in un contesto di più ampio respiro e si deve quindi collegare anche con una serie di lotte che esulano da quella per le borse di studio. Su un piano pratico ed immediato si è arrivati, secondo me, anche ad una lotta sul diritto all’abitare, perché comunque qui ci abitano parecchie persone che altrimenti non avrebbero un altro posto dove stare e che si vedrebbero costrette tornare nei rispettivi paesi di provenienza. Dopodiché si è legata per forza di cose alle altre lotte che si danno sul territorio torinese e più in generale piemontese; in questo senso penso alla lotta No Tav in Val Susa, perché se prima non essendo organico di alcun movimento me ne interessavo solo in termini passivi, dopo essere entrato qua e aver conosciuto meglio anche le dinamiche di quella battaglia, ho deciso di impegnarmi in prima persona andando diverse volte in Val Susa in occasione di manifestazioni. Partecipare alla Verdi mi ha quindi portato ad avere un interesse politico di più ampio respiro. Anche per quanto riguarda i tagli delle borse di studio, sicuramente rientrano in un progetto politico molto più ampio che parte da molto più in alto rispetto all’Edisu piemontese; negli ultimi anni a livello governativo son stati effettuati sempre più tagli per quanto riguarda il diritto allo studio e a mio parere anche il modello di università che ci viene propinato è ormai privo di qualsiasi valore perché si basa solamente o quasi su lezioni frontali (quando ci sono, dato che diversi corsi di studio sono stati completamente tagliati) e questa è una cosa per cui a mio parere non si può fare a meno di lottare. Nonostante adesso sia un periodo di bassa del movimento, la Verdi è comunque riuscita a creare aggregazione, a creare una sensibilizzazione su queste tematiche nonostante la fase non sia delle migliori. Non ci siamo rinchiusi a dialogare solo col gruppo borsisti, che è un pò la matrice di questa occupazione, ma ci siamo aperti ad altre esperienze di lotta.
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Come sei entrato in contatto con l’esperienza della Verdi Occupata e cosa ti ha spinto a viverci?
Prima di venire ad abitare alla Verdi Occupata facevo parte del movimento borsisti ed ero qui la notte in cui decidemmo di occupare questo edificio. Di lì in avanti iniziai a frequentare spesso la Verdi, durante i momenti liberi o la domenica. All’inizio di febbraio ho deciso di venirci a vivere perché senza la borsa di studio per me era davvero difficile pagare un affitto. Prima di trasferirmi a Torino, infatti, credevo che avrei ricevuto la borsa di studio e avevo dunque assicurato alla mia famiglia che avrei potuto provvedere a mantenermi. Una volta a Torino ho fatto richiesta all’Edisu e sono risultato idoneo; tuttavia, a causa della mancanza dei fondi, non ho ricevuto il posto in residenza e neppure la borsa di studio. In quella situazione per me era molto difficile proseguire gli studi perché non potevo chiedere soldi alla mia famiglia avendogli assicurato che non ce ne sarebbe stato bisogno. Dunque la Verdi Occupata per me ha significato anzitutto la possibilità di mantenermi e proseguire l’università senza dover gravare sulla situazione economica della mia famiglia. Oltre naturalmente ad essere un’opportunità per partecipare meglio al movimento. Ma la ragione principale era che non avevo soldi, né l’università mi lasciava sufficiente tempo per lavorare quanto mi serviva per sopravvivere.
Qual è la differenza fra la tua situazione di studente migrante a Torino prima della Verdi Occupata ed adesso?
Io credo molto nel confronto internazionale ma ho sperimentato sulla mia pelle che stare in un paese straniero non basta se la tua vita lì si limita a studiare o lavorare. Fin quando non mi sono trasferito in Verdi non ho sperimentato un vero confronto interculturale e anche se avessi ricevuto un posto in una residenza Edisu la situazione sarebbe stata la stessa perché lì la vita, gli spazi sono organizzati in un modo che limita fortemente il contatto e la condivisione fra studenti. Qui vivere insieme significa invece condividere tutto, organizzare collettivamente le attività e socializzare la stessa necessità di sostentarci. In Verdi sono entrato finalmente in contatto con italiani e persone di altre nazionalità, sono riuscito ad osservare i loro modi di vivere ed ho imparato a trascorrere la vita organizzandola collettivamente con gente di altre culture. Vivere in Verdi è un’importantissima occasione di socializzazione fra comunità.
In che modo ti ha trasformato questa esperienza?
Alla Verdi ho imparato ad organizzarmi e gestirmi la vita in un modo che mi era completamente estraneo prima. L’attività politica, l’organizzazione sono importantissime in questo senso: alla Verdi Occupata a differenza delle normali residenze, non c’è un’organizzazione esterna, noi studenti autogestiamo ogni aspetto della nostra vita qui. Questo mi sta portando a maturare moltissimo dal punto di vista della mia vita pratica, grazie alle esperienze che faccio e ai saperi che posso condividere con la gente che vive qui. Far parte di questo movimento, di questa comunità, gestire questo posto sono esperienze straordinariamente arricchenti per me e credo che, al di là della formazione che ricevo all’università, mi stiano davvero preparando per quella vita pratica che mi aspetta dopo aver completato gli studi. Inoltre questa esperienza mi sta insegnando l’indipendenza e l’autonomia in un modo che non avrei mai immaginato prima: nella mia vita in Pakistan ero completamente dipendente dalla mia famiglia e quando sono arrivato in Italia, senza una borsa di studio e sostegni di nessun genere temevo che non ce l’avrei fatta a rendermi indipendente da loro. Ma quando in Verdi parlo con la gente con cui vivo della loro condizione economica o della mia realizzo che ci stiamo sostentando tutti insieme e senza bisogno di aiuto da parte delle nostre famiglie. Due giorni fa ero in un altro posto occupato con un amico italiano e sul muro c’era una scritta, tipo: ‘Stiamo imparando a gestire autonomamente le nostre vite’. Mi piace questa frase e credo sia vera anche nel nostro caso.
Il tuo domani?
Quando e se sarò costretto a lasciare questo posto dovrò nuovamente preoccuparmi di trovare un tetto e dei soldi per sopravvivere, un modo per affrontare questa difficile situazione. Ma la cosa importante è che in questa esperienza ho acquisito una capacità di gestirmi la vita che non perderò mai e mi aiuterà a fronteggiare anche le difficoltà future. Un’altra esperienza che ho imparato a vivere grazie alla Verdi è la capacità di gestirmi nelle situazioni difficili, durante le manifestazioni o i cortei. Già in precedenza ero coinvolto in esperienze politiche e di lotta, mi era capitato di entrare in contatto con le forze dell’ordine durante le manifestazioni tuttavia con la Verdi ho rafforzato la consapevolezza della necessità di fronteggiare istituzioni che non sono a mio favore o in favore delle generazioni che verranno. Io sono stato tradito da queste istituzioni, dall’Università, dall’Edisu e con me tanti altri studenti, soprattutto gli studenti migranti che arrivano in Italia facendo affidamento sulle promesse di diritto allo studio e poi rimangono bloccati: non possono mantenersi ma neppure possono tornare indietro a mani vuote dalle loro famiglie o dalle loro comunità, alle quali hanno promesso di diventare persone autonome senza il loro supporto.
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Come è nata questa occupazione e in che fase del movimento borsisti?
Lo scorso anno accademico, sull’onda del movimento No Gelmini, si è formato anche il movimento borsisti Edisu perché la giunta regionale minacciava tagli al diritto allo studio e la seconda rata delle borse di studio rischiava di non essere erogata. Il movimento quell’anno era particolarmente vivo e animato e alla fine le borse le abbiamo avute! Quest’anno invece, a partire da settembre e sempre a causa dei tagli della giunta Cota, era giunta notizia che non sarebbero arrivate tutte le borse di studio per gli aventi diritto, e mentre l’assessore Maccanti dichiarava che il diritto allo studio non era una priorità della sua giunta, noi ci riunivamo in assemblee all’università e in qualche presidio del movimento borsisti sotto il palazzo della Regione senza però portar a casa alcun successo. Il 12 gennaio scorso, dopo un’assemblea del movimento a Palazzo Nuovo, si è dunque deciso di occupare la Verdi ed io fin dall’inizio ho accolto e condiviso la scelta che mi è sembrata essere un modo pratico, concreto, più utile dei presidi a cui ero solita partecipare, per portare avanti la mobilitazione per il diritto allo studio. Il movimento borsisti a quel punto si è in un certo senso scisso, tra coloro che non condividevano la scelta di occupare e chi invece era a favore dell’occupazione come metodo di lotta e di organizzazione differente da cui ripartire nella battaglia per il diritto allo studio.
Per te che vieni da un’esperienza di vita dentro le residenze universitarie Edisu, quindi da un concetto di diritto allo studio di stampo istituzionale organizzato secondo degli spazi di socialità e dei tempi di vita molto diversi, che differenza ha rappresentato la vita dentro la Verdi a livello di quotidianità, oltre che per i momenti politici significativi, e a livello di rapporti umani e di socialità?
Partiamo dal fatto che nel 2008, quando sono entrata per la prima volta in una residenza Edisu, le cose erano sensibilmente diverse rispetto ad adesso; anche se fin dall’inizio era netta la sensazione di non essere a casa propria, di non avere una camera ‘tua’ ma una stanza in cui ‘sei ospite’, la situazione col tempo è molto cambiata perché da parte dell’Edisu ho come assistito ad una marcia indietro nei nostri confronti, un progressivo venirsi a creare di formalità e distacco da parte di chi gestisce le residenze, la tendenza ad aumentare regole e controlli degli spazi fino addirittura ad impedirci di attaccare un manifesto in bacheca per promuovere la partecipazione degli studenti ai momenti di mobilitazione per salvare l’Edisu stessa! Mi torna in mente Trabucco la sera di un presidio sotto la sede dell’ente in via Madama. Pur di non parlare con noi scappava tra le auto parcheggiate scortato da decine di uomini delle forze dell’ordine. E’ stato un episodio illuminante! Per quanto riguarda la vita qui alla Verdi la situazione è completamente diversa. Ci conosciamo tutti, mentre nelle residenze Edisu è usanza comune il venirsi a creare di piccole comunità isolate. Durante le assemblee di gestione si prendono collettivamente le decisioni funzionali alla vita della Verdi e alla mobilitazione ed in generale lo stare qui determina costantemente il venirsi a creare di momenti socializzanti, che passano attraverso i pranzi comuni, lo striscione da preparare, piuttosto che la pulizia degli spazi o l’allestimento degli stessi per ospitare un’iniziativa. Inoltre, dal punto di vista politico, ora mi sento parte integrante di un gruppo di persone che la pensa in un certo modo e che agisce di conseguenza. Prima il mio partecipare alle mobilitazioni No Gelmini, a Torino come a Roma, era avulso dai processi di comprensione e costruzione degli stessi. Adesso io sono parte attiva di questi processi, le mie idee qui diventano pratica.
Come si è intersecata la battaglia per le borse di studio della Verdi dentro il contesto più ampio di protesta contro i tagli al welfare e di mobilitazione cittadina?
Partirei dal fatto che in questi mesi io come molti altri borsisti, abbiamo avuto modo di compiere un forte passaggio di consapevolezza rispetto all’Edisu, che se prima da molti veniva vista come una ‘mamma’ che ti regala le borse di studio, adesso per molti di più ha assunto le vesti di controparte politica, a cui fare delle rivendicazioni precise. In Verdi si è data una crescita politica collettiva, per cui i nostri discorsi ben presto non vertevano più solo sulla questione borse di studio in senso stretto, ma andavano a toccare livelli più generali di discussione, anche ampliando quello intorno al diritto allo studio comunemente inteso, e dunque organizzandoci per crearlo noi dal basso e condividerlo. Assumendo questi come punti di partenza, ecco che alla Verdi ci siam ritrovati a collocare la nostra lotta dentro quello che è un più ampio panorama sociale di contestazione a difesa dei diritti di tutti. Da soggetto in rapporto specifico con l’istituzione Edisu a soggetto parte di una rete più vasta in mobilitazione per la difesa del welfare sociale. Per chiarire e portare degli esempi, mi vengono in mente le varie occasioni di piazza con gli operatori sociali, con le maestre e le mamme degli asili, penso ai lavoratori della cultura e a tutti i soggetti in lotta contro l’amministrazione Fassino, che anche noi abbiamo contestato il primo maggio. Mi viene in mente la lotta No Tav, quindi l’incontro che abbiamo tenuto alla Verdi nel primo periodo della nostra occupazione e mi viene da dire che per me ora è naturale interessarmi e solidarizzare con tutte le lotte sociali in difesa del bene comune. Credo che l’esperienza della Verdi sia stata un’occasione dentro la vita delle singole persone per compiere quel passaggio politico che ti porta ad interessarti non più al solo caso particolare che ti riguarda individualmente ma a tutte quelle che sono le realtà in lotta per il bene collettivo.
Come cambierebbe la tua vita se si sgomberasse la Verdi?
Scrivete così: minchia la presa male! Beh, senz’altro la reazione sarebbe terribile! Ma credo che il progetto politico della Verdi non morirà con uno sgombero, per cui le persone che la abitano son certa che le rivedrei con continuità. Dal punto di vista emotivo… beh, qui è come avere ottanta coinquilini, tutte persone con cui ho trascorso un sacco di tempo e che non riesco ad immaginare altrimenti, tornare a vite separate e individualiste… e non ultimo, se si sgomberasse la Verdi, la mia vita ma anche quella di tutti gli altri cambierebbe, perché ci ritroveremmo all’improvviso in emergenza abitativa… e non mi sembra il giusto modo in cui costringere la vita degli studenti a Torino.
Inchiesta tratta da Rise up! 2.0, rivista del Collettivo Universitario Autonomo
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