InfoAut
Immagine di copertina per il post

USA2016, da Yes we Can ad un doppio rifiuto: al voto un paese sempre più lacerato

Sebbene negli USA le elezioni siano sempre state più passaggi di raccolta di clientele che “espressione popolare”, con percentuali di voto stabilmente più basse del 50%, in questa campagna elettorale la frattura tra candidati e società pare essersi molto approfondita. Questa è probabilmente la nota più importante da sottolineare a qualche ora dall’inizio delle operazioni di voto: lo sanno bene i repubblicani, che sono stati travolti essi stessi dall’ascesa di Trump, candidato inviso all’establishment dello stesso partito, proprio perchè il magnate ha saputo comprendere in maniera perfetta questo risentimento popolare e ha condotto una campagna di fatto contro il suo stesso partito.

Ma lo sa bene la stessa Clinton, che ha subito per tutta la campagna delle primarie la forza espressa – più che da Bernie Sanders – del movimento d’opinione che ne appoggiava la nomina a candidato democratico, movimento che è riuscito a far passare in secondo piano la potenza del fatto che Hillary fosse la prima candidata donna alla guida del paese e che si trovasse di fronte un avversario davvero impresentabile, imponendo una lettura della Clinton che la rappresentava come il candidato dell’establishment e dei poteri forti del paese.

La campagna elettorale è stata unanimemente giocata su un piano molto più vicino al gossip che alla discussione politica: i dibattiti tra i due candidati sono stati condotti all’insegna di accuse reciproche e dall’emersione di scandali, dalle accuse a Trump di essere un molestatore seriale di sue dipendenti a quelle alla Clinton di essere stata un pessimo Segretario di Stato durante la prima presidenza Obama e di essere, come detto, il candidato più lontano dagli interessi reali della stragrande maggioranza della società e più vicino a quelli di Wall Street e della Silicon Valley.

Se è difficile negare la profonda verità di queste accuse, ciò che risalta è l’incapacità dei piani alti della politica americana di trovare figure capaci di dare una prospettiva al paese, affermando un immaginario positivo, seducente, avvolgente: nessuno “Yes we Can!” questa volta, con entrambi i candidati che sembrano espressione del declino americano e del fallimento di Obama a rilanciare il soft power statunitense su scala mondiale.

Una dimensione colta in parte solamente dallo stesso Trump che con il suo slogan “Make America great again!” testimonia con la sua ascesa una percezione diffusa di un’America ormai per nulla più “nazione indispensabile”, mentre la Clinton di fatto ha condotto la campagna cercando di assestarsi in continuità con Obama, differenziandosi solo per un atteggiamento più assertivo verso la Cina, costruito per strizzare l’occhio all’elettorato bianco conservatore che è il bacino fondamentale di Trump.

Del resto, dopo l’era Obama, contraddistinta molto più dalla capacità comunicativa del presidente che da successi reali (ma ci torneremo in seguito), gli Stati Uniti si ritrovano paese sempre più diseguale a livello sociale interno e molto più indebolito a livello geopolitico. La crescita economica, dopo la grande crisi finanziaria del 2007, è ripresa in maniera forte rispetto all’Europa ma ha avuto effetti benefici solamente sulla parte più ricca della popolazione, privatizzando ulteriormente la ricchezza sociale nelle mani di pochi, accentuando le disparità e creando insofferenza diffusa.

Testimoni di questa indifferenza non sono solamente le minoranze etniche, i neri travolti dalla violenza poliziesca, gli ispanici sempre più stigmatizzati, bensì anche le fasce basse di quella middle-class devastata dai processi di outsourcing degli ultimi 40 anni che si è rivolta a Trump nella speranza che i suoi proclami per un’economia protezionistica e per lo stop pressochè totale alle migrazioni potessero avere la possibilità di essere messi in campo.

Il centro della società americana si è così praticamente dissolto, portando ad una polarizzazione politica che deriva anche dall’impatto a livello di immaginario dello slogan “We are the 99%”, che per quanto problematico ha senza dubbio sfondato nell’opinione pubblica.

Il patrimonio di voti e consenso che Obama poteva vantare nei confronti soprattutto delle minoranze all’inizio della sua epopea è venuto meno in questi mesi non solo a causa di un profilo all-establishment della Clinton, ma anche di un’eredità politica che testimonia una crescente recrudescenza dell’odio razziale e degli omicidi polizieschi verso neri e ispanici, che hanno portato ai riot di Baltimora e Ferguson, alla reazione di Dallas, ad una percezione diffusa che un presidente nero non è poi tanto diverso da un presidente bianco nel difendere i “cops” e la loro azione nelle tante periferie urbane e sociali del paese.

Dal canto suo il movimento Black Lives Matter è stato capace di portare un rinnovamento politico nel panorama Usa, che ha visto come controcanto il radicarsi, dalla parte reazionaria, del movimento cosidetto dei “gun rights”, che si è opposto fortemente ad ogni (per quanto più mediatica che reale) tentativo di Obama di limitare l’accesso facile alle armi sulla spinta di shock per l’opinione pubblica come gli attentati di Orlando e San Bernardino.

Ma anche all’interno della “maggioranza” bianca – che maggioranza resterà solo per un’altra generazione, a quanto dicono gli indicatori demografici  – alcune tendenze si sono approfondite, a partire da quella che sottolinea la separazione tra una upper-class bianca che lavora nelle fasce più produttive e innovative del paese (Silicon Valley et similia) e una lower-class devastata dalla crisi dei subprime e dalle conseguenze dell’approfondirsi della globalizzazione neoliberista.

Fa poi impressione il dato che vede più di 50 milioni di persone vivere al di sotto della soglia di povertà (circa il 15%) in quello che dovrebbe essere il paese guida a livello globale, il testimonial dei trionfi del modello democratico da opporre al crescente autoritarismo dei competitor globali come Cina e Russia.

Questi movimenti testimoniano, ancor più delle traiettorie di Trump e Sanders, una crescente polarizzazione della vita politica negli USA che è ulteriore segno di un paese non pacificato dalla presidenza Obama e che anzi mostra numerose linee di frattura pronte ad esplodere sin dal day first in cui sarà in carica il nuovo o la nuova presidente.

Le elezioni da sempre si vincono più sull’economia che sulla politica estera, ma anche in questo caso bisogna sottolineare come gli Stati Uniti, dopo il tracollo di credibilità e immagine dovuti alla presidenza Bush e alla war on terror che seguì gli attentati alle Twin Towers, non siano riusciti ad invertire la rotta con la presidenza Obama.

Gli accordi con Cuba ed Iran sbiadiscono rispetto all’ulteriore perdita di terreno statunitense in Medio Oriente, con l’incapacità di Obama nel 2011 di lanciare un attacco alla Siria e con la destabilizzazione nell’area (ottenuta anche grazie al sempre meno segreto appoggio dato a suo tempo a quelle che oggi costituiscono le truppe del Califfo) che gioca sempre più a sfavore di Washington.  Ma non solo ISIS e caos mediorientale.

La forte ripresa di attività della Russia nella stessa Siria e in Europa a partire dal caso ucraino, le sempre maggiori tensioni con l’Europa rispetto alle politiche economiche e alle strategie militari, l’imbarazzo con cui sono state gestite le relazioni con la Turchia e i curdi, le difficoltà sempre più forti a contenere l’ascesa della Cina nel Pacifico – con alleati di lungo corso come le Filippine che cambiano bandiera – e in ultimo anche la strategia di raggiungere l’integrazione militare a partire da accordi economici che sembra sempre più sfumare (vedi difficoltà a far approvare TTIP e TPP).

Il lascito della presidenza Obama è che i predoni di Wall Street sono stati sostenuti dall’amministrazione nonostante la catastrofe che hanno provocato e le promesse della campagna elettorale obamiana, che i grandi imprenditori hanno aumentato a dismisura i loro profitti, che i salari si sono ridotti in maniera importante, che gli studenti sono indebitati per migliaia e migliaia di dollari, che il mondo non è affatto più sicuro e che l’economia globale è tutto fuorchè in ripresa, promettendo nuove crisi nei prossimi tempi.

Nessun passo avanti sulle tensioni razziali, a salvarsi solo in parte l’ObamaCare per quanto anch’esso strumento fortemente contestato per i profitti che ne derivano per le multinazionali private del mondo della sanità e per le diverse limitazioni al godimento delle sue prestazioni da parte della popolazione.

Difficile e poco interessante fare previsioni, per quanto molto probabilmente il voto femminile si rivolgerà in modo compatto contro Trump in modo forse irreparabile per il tycoon, così come alla fine i voti delle minoranze, soprattutto degli ispanici, difficilmente andranno a favore di un candidato che ha nel suo programma la costruzione di un muro tra Stati Uniti e Messico. E’ ragionevole affermare che vincerà il candidato che avrà inspirato meno rifiuto da parte gli elettori, non certo quello che avrà proposto un programma dignitoso e capace di dare risposte ad una situazione difficile come quella attuale.

Più utile sembra invece sottolineare come il prossimo presidente statunitense partirà fortemente indebolito in termini di consenso interno e reputazione globale; con la conseguenza che queste elezioni segnano forse l’ascesa per la prima volta dal 1945 di un presidente Usa che dovrà confrontarsi in un mondo, se non pienamente, decisamente più multipolare, con tutte le conseguenze che ne derivano.

Negli Stati Uniti da sempre le elezioni sono più passaggi di raccolta di clientele che effettiva “espressione popolare”, contando che l’affluenza è da decenni e decenni al di sotto del 50%, ma forse con queste elezioni tale dinamica si approfondisce

Ti è piaciuto questo articolo? Infoaut è un network indipendente che si basa sul lavoro volontario e militante di molte persone. Puoi darci una mano diffondendo i nostri articoli, approfondimenti e reportage ad un pubblico il più vasto possibile e supportarci iscrivendoti al nostro canale telegram, o seguendo le nostre pagine social di facebook, instagram e youtube.

pubblicato il in Approfondimentidi redazioneTag correlati:

Articoli correlati

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

La questione della Palestina nel mondo di lingua cinese

Nell’ottobre 2023, con l’operazione “Diluvio di al-Aqsa” lanciata da Hamas e la brutale risposta di Israele, il movimento di solidarietà con la Palestina è ricomparso in Cina.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

La società della resistenza e la liberazione degli oppressi. La lunga storia di Hezbollah

Appena il governo di Beirut ha deciso il disarmo di Hezbollah, immediatamente nella capitale sono scoppiate proteste e cortei, non solo opera del partito sciita, ma di molti altri partiti e semplici cittadini.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

I signori della terra: i latifondisti transnazionali e l’urgenza di una redistribuzione

Troppa terra in poche mani: le dieci multinazionali che controllano milioni di ettari

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

‘Nessun paradiso senza Gaza’: intervista esclusiva di Palestine Chronicle al rivoluzionario libanese Georges Abdallah

Traduciamo da The Palestine Chronicole questa lucida e approfondita intervista del 13 agosto 2025, a Georges Abdallah.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

E’ uno sporco lavoro / 3: Hiroshima Nagasaki Russian Roulette

Sono ancora una volta delle parole, in parte esplicite e in parte giustificatorie, quelle da cui partire per una riflessione sul presente e sul passato di un modo di produzione e della sua espressione politico-militare.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Il laboratorio della guerra. Tracce per un’inchiesta sull’università dentro la «fabbrica della guerra» di Modena

Riprendiamo questo interessante lavoro d’inchiesta pubblicato originariamente da Kamo Modena sul rapporto tra università e guerra.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Più conflitti, meno conflitti di interesse

“Le mie mani sono pulite” ha detto il sindaco Sala nella seduta del consiglio comunale dove ha sacrificato il suo capro – l’assessore all’urbanistica Tancredi, coinvolto nelle indagini della procura milanese su alcuni (parecchi) progetti di trasformazione urbana.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

STOP RIARMO “Se la guerra parte da qua, disarmiamola dalla città!”

Riprendiamo e pubblichiamo il documento uscito sul canale telegram del percorso @STOPRIARMO che a Torino ha organizzato una prima iniziativa qualche settimana fa. Il documento traccia un quadro composito del sistema guerra nei vari ambiti della produzione e della riproduzione sociale oltre a lanciare alcuni spunti rispetto a ipotesi di attivazione.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Robert Ferro – Dove va l’Europa? Crisi e riarmo nel cuore dell’Unione

Dal welfare al warfare, dall’automotive al carroarmato, dall’«Inno alla gioia» di Beethoven alla «Marcia imperiale» di Dart Fener. Nel cambio di tema che fa da sfondo all’Europa, l’imperialismo colpisce ancora. 

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Raffaele Sciortino – L’imperialismo nell’era Trump. Usa, Cina e le catene del caos globale

Che cos’è l’imperialismo oggi, nell’era di Trump? da Kamo Modena Non è una domanda scontata, né una mera speculazione teorica; al contrario, siamo convinti che sia un nodo fondamentale, tanto per chi vuole comprendere il mondo, quanto per chi mira a trasformarlo – partendo, ancora una volta, da dove si è, da dove si è […]

Immagine di copertina per il post
Confluenza

Che fine ha fatto la battaglia per l’Acqua Pubblica?

Pubblichiamo un aggiornamento sulle attività del Comitato Acqua Pubblica Torino.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Il Movimento No Tav era, è e sarà sempre al fianco della resistenza palestinese: sosteniamo la Global Sumud Flotilla!

Se Israele deciderà di fermare con la forza la Global Sumud Flottilla, impedendo ancora una volta l’arrivo di aiuti umanitari e provando a spegnere un atto di resistenza collettiva, noi non resteremo a guardare.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Global Sumud Flotilla: le barche italiane lasciano la costa siciliana alla volta di Gaza, “Buon vento”

Sono salpate, alla volta di Gaza, le imbarcazioni italiane della Global Sumud Flotilla dal porto siciliano di Augusta.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Gaza Inc: dove il Genocidio è testato in battaglia e pronto per il mercato

Gaza è diventata la vetrina di Tel Aviv per lo Sterminio privatizzato, dove aziende tecnologiche, mercenari e fornitori di aiuti umanitari collaborano in un modello scalabile di Genocidio Industriale venduto agli alleati in tutto il mondo.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

America Latina, “la guerra secondaria”

Nel 2025, la competizione globale per i minerali essenziali – terre rare, litio, cobalto – e per le fonti energetiche – petrolio, gas, energie rinnovabili – sta riconfigurando il potere globale.

Immagine di copertina per il post
Formazione

Assemblea geografa per la Palestina: quanto successo in parallelo al Congresso Geografico Italiano 2025 di Torino

Dal 3 al 5 settembre 2025, presso il Campus Einaudi e il Castello del Valentino di Torino, si è svolto il 34° Congresso Geografico Italiano. 

Immagine di copertina per il post
Culture

“The Ashes of Moria”: che cosa rimane del campo profughi più grande d’Europa?

A cinque dall’incendio che lo ha distrutto, il documentario porta nel cuore del campo, tra odori, rumori, paure e violenze. Allo stesso tempo offre le coordinate per capire i meccanismi attuali delle brutali politiche europee.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

“Guerra alla guerra” nelle università: a Pisa il 13 e 14 settembre, due giorni di assemblea nazionale

Il 13 e 14 settembre a Pisa si terrà l’assemblea nazionale universitaria “Guerra alla Guerra”, due giorni di confronto tra collettivi e realtà studentesche da tutta Italia.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Roma: attacco sionista al csoa La Strada

Nella notte tra giovedì e venerdì, poco dopo le 4, ignoti hanno lanciato una bomba carta contro l’ingresso del Centro Sociale “La Strada” in via Passino.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

L’assemblea nazionale “Stop al genocidio. Fermiamo il sionismo con la resistenza” si terrà al cinema Aquila

Alcuni giorni fa il sindaco Gualtieri aveva vietato l’utilizzo di una sala del cinema Aquila di Roma per l’assemblea nazionale convocata dalle organizzazioni palestinesi in Italia. Ora il passo indietro. LA LOTTA PAGA – L’ASSEMBLEA SI TERRÀ AL CINEMA AQUILA IL 14 SETTEMBRE ALLE ORE 10.00 Dopo la conferenza stampa di lunedì 8 settembre davanti […]