Assaltata la prefettura!Livorno non si piega!
I fatti di oggi a Livorno invitano il premier Monti a diffidare di quella pacificazione artificiosa che fin’ora ha ben venduto sui mercati, perché oggi la rabbia sociale è esplosa per le strade della città labronica con tutta la potenza che può esprimere chi ha deciso che non si può continuare a far finta di niente.
Questo è ciò che, nel giro di pochi giorni, abbiamo visto condensarsi a Livorno. Le cariche di venerdì al molo crociere in occasione della contestazione a Bersani e le violente cariche a freddo di sabato in piazza Cavour scatenati dalla polizia ci parlano proprio di questa eccedenza. La partecipazione di oggi è stata numericamente altissima, se si pensa che i presidi dei giorni precedenti erano di 50 persone. Livorno è la città del centro nord con il più alto numero di giovani “neet”, senza lavoro né percorso di studio. La risposta di oggi è quella di una generazione stufa dell’arbitrio repressivo, che si è riversata in piazza per riscattare una passività che nella crisi diventa la cifra e il canale di espressione di un nuovo comando fatto di immiserimento e di mancanza di futuro.
Subito infatti il presidio convocato alle 17 in Piazza Cavour per ribadire l’agibilità politica in città nonostante le provocazioni del giorno precedente, ha mostrato una precisa volontà di riappropriarsi della città. Una piazza piena si è mossa in corteo verso la questura. 1000 circa i manifestanti. Davanti alla questura sale la tensione: una decina di agenti della digos si schierano nel piazzale antistante l’edificio, mentre camionette e reparti si schierano di fronte all’entrata della questura. Il corteo riparte e s’ingrossa al grido “delle divise blu non ne possiamo più”. Molti i ragazzi e le ragazze giovani e giovanissimi, gli stessi che hanno attraversato le strade del 14N, spesso con le sciarpe della curva. La componente più popolare della città si unisce al corteo che improvvisamente vira a sinistra verso la Prefettura. Il “Palazzo del governo” è sguarnito. Come durante tutto il percorso la polizia non si fa vedere: oggi non è giorno per le provocazioni. Alcuni agenti della questura con il casco indosso difendono il portone delle Prefettura, ma il corteo si avvicina. Alla vista di un reparto di celere inizia l’assedio con fumogeni e petardi. Viene chiuso il cancello, gli agenti si trincerano dentro lo stabile. Transenne e oggetti vari volano verso il palazzo, diverse decine di manifestanti si dirigono verso il cancello che viene riaperto.
Dalla Prefettura il corteo riparte ancora più nutrito. Un migliaio i manifestanti che si dirigono nuovamente verso Piazza Cavour, riattraversando la città, raccogliendo gli applausi di molti passanti in via Grande.
La giornata di oggi a Livorno mette in comunicazione frammenti di insofferenza sociale diffusa che la politica non riesce più a governare e che per questo semplicemente decide di espellere o, al meglio, di ignorare. Il ruolo repressivo della polizia rappresenta quel cuscinetto debole e temporaneo di cui ancora una rappresentanza politica lontana e sconfessata si serve per tenere lontana l’emergenza sociale di quanti sentono sempre più il bisogno di dire basta. Oggi a Livorno questo cuscinetto è saltato, o meglio è stato cacciato.
La dinamica della giornata di lotta livornese sembra inscriversi infatti nella cornice delle lotte euromediterranee evocate fin dallo sciopero del 14N, ricalcandone alcuni tratti distintivi: l’arroganza poliziesca priva di un controllo politico qualsiasi, un controllo incapace da esercitarsi per lo scollamento dei livelli della rappresentanza da una concreta dimensione sociale, colpisce in prima misura quel proletarato giovanile senza prospettive di emancipazione sociale, lo colpisce fino a colmare una misura che poi eccede in una rabbiosa volontà di riscatto.
Davanti a una domenica di primarie che millantano sempre più farsescamente una democrazia da talk show televisivo, l’isolamento e l’autoreferenzialità del Partito Democratico, al potere in città e sul territorio, è stato sancita dalla sua incapacità di cogliere minimamente la possibilità di un’irruzione simile da parte da soggetti concreti impoveriti nella crisi. Come a Pisa i responsabili del partito sfuggono alla realtà lamentando “tempi bui” per una bandiera bruciata, così a Livorno Bersani, ancora una volta contestato, fugge al molo Crociere.
Ripartire da questa giornata livornese significa per tutti tradurre in spazi organizzazione e di nuovo incontro l’agibilità politica che ci guadagniamo tornando a occupare le nostre città, per mettere in fuga definitivamente politici e polizia insieme ad un sistema al collasso.
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