Coronavirus, i privati pronti all’abbuffata con i test sierologici
Con i quotidiani che continuano a parlare di guerra invece che di epidemia, veniamo calati in uno scenario fatto di eroi al fronte, bollettini di contagi e decessi, limitazioni e imposizioni -anche surreali-.
Probabilmente in tutti noi questo genera un senso di impotenza e paura soprattutto in chi è barricato in casa e si sente disarmato. Eppure se quelle armi, oltre ad essere le famose mascherine, fossero dei programmi reali di sanità pubblica, non staremmo qui a constatare quanto, già da adesso, i privati stiano preparandosi all’abbuffata. Puntando tutto su un sentimento di incertezza e preoccupazione diffuso. Perciò abbiamo indagato come si stanno comportando i laboratori analisi sul nostro territorio e abbiamo scoperto che non si differenziano affatto dall’imperativo privatistico del trattare la salute come fosse una merce.
L ’emergenza invece dovrebbe insegnare che la salute è un insieme di molti aspetti, determinati da una serie di condizioni, che non derivano esclusivamente dalla propria persona. È del 1991 uno schema ancora attuale che spiega come dovremmo andare oltre i dati asettici e spersonalizzanti di età-sesso-patologie (quelli che snocciola ogni sera la Protezione Civile) perchè in tema di salute bisogna sempre fare i conti con aspetti quali la funzionalità del sistema sanitario, le reti sociali, le condizioni socio-economiche di ognuno quindi casa, lavoro, educazione, alimentazione… Cosa c’entra con il coronavirus? C’entra eccome: a livello globale stiamo assistendo ai risultati di una medicina occidentale-razionale-tecnologica che interviene solo su cause dirette-effetto quindi su diagnosi-terapia. Diagnosi: come tutti ormai sappiamo, parliamo di dati che dipendono dall’esito del famoso tampone; non si fa il tampone non si fa diagnosi. Terapia: non ci sono né terapie specifiche per curare né vaccini specifici per prevenire, inoltre se non si ha la diagnosi non si fa terapia.
È in questo contesto raccontato come un fronte, con un nemico invisibile (che non fa troppe distinzioni, come gran parte delle malattie d’altronde), con avanguardie sbaragliate e prime linee stanche e malate, che sul territorio si prepara lo sciacallaggio dei laboratori privati. Fino ad oggi hanno assistito, compiacenti e gongolanti, a un sistema sanitario pubblico che ha puntato tutto sulla costruzione in fretta e furia di terapie intensive, per agire laddove i casi erano conclamati, dimenticandosi di andare a scovarli con anticipo quei casi, persona per persona, casa per casa. Ecco allora che la possibilità di speculare è arrivata. Ci andranno loro, i privati, a scovare quei positivi al covid-19. Come? Con che cosa? Alla modica cifra di…?
Ma andiamo per ordine.
Cosa hanno fatto i laboratori analisi privati (quasi tutti “convenzionati”1) dalla famosa dichiarazione di pandemia? Hanno aspettato di dimostrarsi l’opposto del sistema pubblico in termini di disponibilità, puntualità, presenza sul territorio. Caratteristiche che avrebbe dovuto avere la “sorveglianza sanitaria”, quello strumento indispensabile per fare una fotografia epidemiologica della situazione e calibrare al meglio l’intervento sanitario. Un compito che dovrebbe essere svolto dal pubblico e di cui invece si stanno appropriando i soggetti privati che in queste settimane stanno proponendo test immunologici al costo variabile tra i 20 e i 100euro.
Sono stati però prontamente pizzicati dalle associazioni di consumatori che hanno obbligato quindi un blocco del prezzo ad un massimo di 45euro.
Se nel Lazio l’assessore regionale alla sanità dichiara guerra su facebook al “business dei privati”, non fa nulla per impedirlo nei fatti e soprattutto non sta attuando alcuna politica territoriale che prevenga quel “collasso” a cui ha assistito la Lombardia fiore all’occhiello della sanità privata. Staremo a vedere come lavoreranno queste USCAR, ciò che sappiamo è che, chi darà disponibilità a lavorare rispondendo a questa chiamata della Regione deve essere già in servizio presso strutture pubbliche. Insomma, dal fronte, cercano operatori che abbiano il tempo di lavorare anche nelle retrovie!
E di cosa saranno “armati”: di tamponi o di test sierologici? Ancora non è dato sapersi. Si sa però che sugli operatori sanitari ed altre figure è stata predisposta un’indagine epidemiologica che si servirà della ricerca degli anticorpi tramite test sierologici.
Cosa dicono le autorità scientifiche sull’affidabilità di questi test immunologici? Dicono poco, se non che l’unico esame diagnostico “al momento tecnicamente più vantaggioso, attendibile e disponibile rimane quello basato sul rilevamento del virus in secrezioni respiratorie”2 . È il famoso tampone, che viene analizzato in centri pubblici idonei. Perché l’individuazione dei casi positivi in un’emergenza epidemiologica è una cosa seria che prevede un ferreo conteggio, non il soddisfacimento di una curiosità o una corsa al “patentino d’immunità” a tutto interesse di aziende e produzioni. Ma d’altronde in un paese in cui il tampone, riconosciuto attualmente come l’unico esame attendibile, viene fatto ai presidenti di regione o ai calciatori invece che al personale sanitario, a cui viene eseguito il test sierologico, si capisce bene quali siano gli interessi reali di chi amministra le scelte della sanità pubblica.
Su questi test diagnostici, che siano dei kit o un prelievo di sangue in provetta, ci sono pochi documenti ufficiali, ma quello che sembra chiaro sono vari punti: è più specifico il tampone perché ricerca la presenza di quel virus; è possibile che ci sia una “cross-reattività” con altri coronavirus umani (ossia che gli anticorpi trovati sono quelli pronti a sconfiggere gli altri coronavirus che abbiamo incontrato nella nostra vita); avere un risultato negativo non significa con certezza non aver incontrato il virus perché l’organismo umano ci mette un bel po’ di giorni a creare gli anticorpi; il virus è nuovo, potrebbe mutare e quindi gli eventuali anticorpi non è detto che siano efficaci per sempre o per un lungo periodo.
E sul nostro territorio? Abbiamo provato a contattare i laboratori analisi privati di zona (tutti convenzionati con il SSN): tra chi è già pronto ad effettuarli e chi non li effettuerà, la comunicazione che va per la maggiore è “ci stiamo preparando, richiami presto per prenotare questo nostro servizio”. Il costo fissato a 45 euro non è rispettato da tutti. Le informazioni che danno sono ambigue, se non evasive.
Ciò che inoltre constatiamo, e riportiamo nella mappa qui sotto, è la chiusura, parziale o totale, di quei presidi pubblici che la ASL Rm2 segnala come servizi territoriali (alcuni come via Mozart o via La Rustica sono chiusi, altri hanno sospeso le visite specialistiche). Quelli che dovrebbero svolgere il ruolo della sorveglianza sanitaria oltre che tutti quegli aspetti che è bene non siano trattati in ospedale. Quelli che chiudendo le loro porte, stanno spalancando quelle dei privati, che, dal canto loro, non vedono l’ora di vedere le macerie di un sistema sanitario pubblico, per arrivare a proporsi ai cittadini con le proprie infrastrutture, accattivanti e tecnologiche, in maniera puntuale, disponibile e capillare sul territorio. Alle persone la scelta di chi fidarsi.
1È il riconoscimento, da parte della Regione, della possibilità che un soggetto, già autorizzato all’erogazione di prestazioni sanitarie, possa svolgere la propria attività per conto del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) venendo quindi rimborsato dallo Stato.
2 https://www.frareg.com/cms/wp-content/uploads/2020/04/circolare_11715_03042020.pdf
Ti è piaciuto questo articolo? Infoaut è un network indipendente che si basa sul lavoro volontario e militante di molte persone. Puoi darci una mano diffondendo i nostri articoli, approfondimenti e reportage ad un pubblico il più vasto possibile e supportarci iscrivendoti al nostro canale telegram, o seguendo le nostre pagine social di facebook, instagram e youtube.