Regionali: tra voto per censo e vuoti politici
Il dato delle Regionali in Lombardia e Lazio conferma la tendenza che si è aperta con le ultime elezioni politiche: un deficit di rappresentanza sempre più allargato. La politica istituzionale ormai interessa per censo e lavora consapevolmente o meno alla soppressione del voto povero.
Ieri nella giornata delle analisi e dei mea culpa abbiamo sentito ogni tipo di attenuanti sull’enorme astensione che ha riguardato le elezioni regionali. Dallo scarso tempo per la campagna elettorale, alla poca visibilità mediatica ecc… ecc… ma i dati parlano chiaro. Ha votato solo il 40% degli aventi diritto contro il 70% delle regionali precedenti ed il 63% delle politiche che hanno dato la vittoria al governo Meloni. Si consideri anche solo che alle politiche il centrodestra ha raccolto in Lombardia 2.560.790 voti, ieri Attilio Fontana è stato rieletto con 1.774.477, più di 700mila voti in meno. E il dato del non voto alle politiche era già molto significativo rispetto ai trend precedenti. In Lazio i votanti sono stati ancora meno, circa il 37% con la capitale punta massima al 33%.
Ora la premier Meloni ed il centrodestra tutto hanno festeggiato il risultato, di fronte ad un’evidente e ovvia debacle di un’opposizione impalpabile ed insignificante, ma la tendenza che si sta corroborando è quella di un’astensione sempre più caratterizzata dal “rifiuto della politica”, da un senso di nausea totale verso l’ipocrisia totale dell’arco costituzionale. Il deficit di rappresentanza è sempre più trasversale, anche se fa più male a ciò che rimane del pulviscolo liberal. Il governo Meloni si è affidato in questi primi cento giorni di governo alle proprie battaglie identitarie per provare a coprire la crociata antiproletaria che ha portato avanti, ma là dove la crisi sociale colpisce più forte, soprattutto come differenziale rispetto al passato, ad esempio nella Lombardia produttiva che a sua volta inizia a saggiare la sempre maggiore periferizzazione dell’Italia, le battaglie identitarie iniziano a interessare di meno, soprattutto se non sono collegate a risposte e miglioramenti concreti. A pesare sono probabilmente consciamente o meno le preoccupazioni rispetto all’escalation del conflitto ucraino e alle sue conseguenze socio-economiche. Non a caso quel vecchio volpone di Berlusconi approfitta della foto di rito alle urne per lanciare un messaggio tardivo a chi ritiene che il sostegno incondizionato a chi governa l’Ucraina non sia proprio il massimo. Il suo ovviamente è un messaggio interessato ma sa che ad oggi nessuna forza politica è in grado o vuole anche solo rappresentare il sentimento di rifiuto della guerra maggioritario e trasversale dentro il paese. Il balbettio dei 5Stelle come di parte del PD è privo di ogni credibilità, soprattutto se non si sostanzia con un’azione politica conseguente. Dall’altro lato al di là delle alzate d’ingegno di Silvio, la volontà di Fratelli d’Italia è saldamente legata alla NATO (in linea d’altronde con gran parte degli alleati est-europei, al netto di Orban).
Ecco che è proprio sulla guerra che si sta consumando la fine della sinistra per come si è presentata negli ultimi decenni, ma si sta sgonfiando anche l’illusione che le politiche della destra sovranista possano portare ad un qualche tipo di rilancio complessivo del paese e dunque proporre un nuovo patto sociale conservatore di cui possa godere anche una parte del proletariato in sofferenza. Per non parlare del voto giovanile. La politica istituzionale non interessa perché è sempre più evidente che si tratta della stessa minestra proposta con diversi impiattamenti e a questo giro se ne rendono conto persino i sondaggisti, ormai con meno credibilità degli astrologi.
Molti come al solito si chiederanno cosa ce ne facciamo di questa astensione, si domanderanno se dalla disillusione può nascere qualcosa e se invece il disinteresse non sia in fondo l’ulteriore matrice su cui può rafforzarsi una proposta reazionaria. L’unica certezza che abbiamo è che in questa grande confusione la ricerca di un punto di vista antagonista, situato e tendenzialmente maggioritario necessita di tempo, cura, fatica e non presenta scorciatoie. Ciò che crediamo è che incominciare da questo vuoto politico sulla guerra, sulle sue conseguenze economiche e sociali, sul suo impatto sui territori possa essere un punto di partenza per ritrovare una bussola.
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