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Cortocircuito sull’Art.9: Pisa e il caso del Supporters’ trust

 

Per quanto riguarda lo smantellamento delle forme più organizzate del tifo considerate le più “violente”, motivo principale per cui la banda di Maroni propose il decreto, non sembra che la Tessera del Tifoso abbia portato il risultato desiderato, tant’è che in questi cinque anni dall’approvazione del decreto il fenomeno ultras continua a resistere negli stadi. Le migliaia di famiglie invocate da Maroni negli stadi se ne vedono ben poche e questo è da attribuire anche al fatto che il costo dei biglietti sia più oneroso del calcio visto in televisione.

Una conseguenza rilevante che possiamo attribuire alla Tessera del Tifoso è quella dello scioglimento di molti gruppi organizzati delle Curve italiane a causa dei divieti di andare a sostenere la propria squadra in trasferta. L’aggregazione giovanile che si dava da decenni ad oggi è stata intaccata da un tentativo di smantellamento e di criminalizzazione di uno dei fenomeni più dirompenti e conflittuali in Italia.

 

Curva Nord Maurizio Alberti contro l’Art.9

Ma gli ultras non sono usciti fuori di scena. Ancora resiste un aggregato sociale che si muove dentro e fuori dagli stadi: tra questi la Curva Nord Maurizio Alberti di Pisa.

Da anni ormai la Curva Nord, che non si è mai omologata e chinata alle leggi repressive, segue la propria squadra in trasferta rimanendo fuori dagli stadi, non potendo entrare proprio a causa del decreto. I gruppi organizzati come i Rangers, Sconvolts, Wanderers, Kapovolti e Svitati, soggetti trainanti del tifo organizzato della città, da sempre portano avanti notevoli iniziative con finalità sociale come la raccolta fondi per i paesi sotto assedio delle guerre e dei grandi conflitti come la Palestina, il Chiapas, l’Uganda e il Burkina Faso o per le zone terremotate dell’Aquila, dove sono stati costruiti reparti ospedalieri essenziali per le popolazioni in difficoltà.

Negli ultimi giorni la Curva Nord si sta rendendo protagonista di una battaglia che da diversi anni ormai vede i tifosi e gli ultras pisani lottare per farsi riconoscere il diritto a ritornare in trasferta, con o senza la Tessera del Tifoso.

 

Il Supporters’ trust

Dal 2009, in conseguenza della retrocessione dalla serie B alla serie C ed al fallimento della società di Covarelli e poi Pomponi, indagati e arrestati in una maxi-inchiesta per riciclaggio di denaro, i tifosi della città hanno costituito il “Comitato Vecchio Cuore Nerazzurro” con l’intento di salvare il Pisa Calcio dal fallimento. Nonostante l’impegno messo dai tifosi, non fu possibile salvare la vecchia società a causa della voragine finanziaria creata dalla vecchia gestione societaria. Il Comitato entrò così a far parte della nuova società Ac Pisa 1909 che ripartirà dalla serie D, detenendo l’1% delle quote societarie con l’intento di salvaguardare e vigilare il Pisa che in poco tempo è riuscito a risalire in Lega Pro.

Da allora tesserati e non tesserati, ultras, diffidati, semplici tifosi e appassionati della squadra, si riuniscono per lavorare al progetto Supporters’ Trust che consentirebbe di riportare in trasferta tutta la parte non tesserata del tifo neroazzurro. Questa possibilità inizia a concretizzarsi ad inizio 2014, ottenendo l’approvazione dall’Osservatorio Nazionale delle Manifestazioni Sportive.

 

L’ufficialità e l’approvazione del via libera alle trasferte arriva in occasione della partita Teramo-Pisa dello scorso 10 gennaio, tant’è che molti tifosi pisani hanno potuto acquistare, per la prima volta dopo anni dall’introduzione della Tessera del Tifoso, i biglietti per la trasferta.

Dopo solo 24 ore dal via libera, la Questura di Pisa ha bloccato la vendita dei biglietti per i tifosi sprovvisti di Tessera, bloccado la trasferta autorizzata tramite il supporters trust e convocando per la settimana successiva (14 gennaio) un tavolo in Viminale, al quale erano presenti il rappresentante legale del “Comitato Vecchio Cuore Nerazzurro” e la Questura di Pisa.

In questa occasione viene chiesto espressamente un censimento degli aderenti al Comitato e di radiare i DASPATI, allo scopo di impedire a chi ha avuto diffide per motivi calcistici di poter far parte di esso e quindi di poter tornare in trasferta. In poche parole, il tentativo delle istituzioni è stato quello di creare una divisione tra tifosi buoni, disciplinati e consumatori dello spettacolo e coloro che sono etichettati come violenti ed in contrasto con le leggi che tendono a ristrutturare il calcio ai giorni d’oggi. Ma si sa, lo sport ormai è business, un prodotto da vendere.

In risposta a questa strategia non si sono fatte attendere le prese di posizione durante la settimana da parte dei gruppi organizzati della Curva Nord Maurizio Alberti e del Comitato che hanno precisato che non esiste nessuna possibile differenza tra tifoso “bravo” e ultras diffidato. Proprio coloro che hanno dimostrato passione e attaccamento alla squadra, sono stati diffidati soltanto per aver fatto entrare un tamburo o per non essersi posizionati nel posto assegnato, oppure per l’accensione di un fumogeno o per il lancio di carta igienica durante le tante coreografie.

 

La protesta durante la partita Pisa-Santarcangelo

Domenica 18 gennaio all’Arena Garibaldi i gruppi organizzati della Nord hanno messo in atto uno sciopero del tifo, creando un vuoto nella parte centrale della curva solitamente occupata e animata dai colori nerazzurri. Per venti minuti la partita si è svolta in assoluto silenzio e con l’esposizione di uno striscione inequivocabile: “QUESTO E’ QUELLO CHE VOLETE…”. Allo scoccare del 20′ minuto, le circa 2000 persone presenti in Curva Nord si sono ricompattate al centro esponendo la seconda parte della protesta: “QUESTO E’ QUELLO CHE SIAMO. CONTINUATE A LIMITARE LA NOSTRA LIBERTA’, MA NON PIEGHERETE IL NOSTRO ESSERE ULTRAS, CI FATE VOGLIA DI CAA”. Per buona parte della partita sono stati intonati slogan e cori contro le istituzioni che vogliono rendere il calcio esclusivamente uno strumento di profitto, trasformando la passione in omologazione e consumo.

Le vicende di queste settimane stanno dimostrando l’irriducibilità di quello della sottocultura ultras sul territorio che, nonostante faccia i conti con i propri limiti, continua a essere punto di riferimento per una composizione giovanile senza prospettiva. Lo stadio è ancora catalizzatore di nuovi rapporti sociali che si sviluppano a partire dal rigetto delle proprie situazioni personali di vita, veicolando la rabbia e la tensione sociale in modo che non si sprigionino del tutto in maniera nichilista.

Il ragazzo di periferia trova riconoscimento portando la domenica in curva la stessa bandiera di Che Guevara che durante la settimana era appesa alla finestra della scuola occupata; gli abitanti della provincia rimarcano il proprio attaccamento alla squadra e alla città riconoscendosi in appartenenze più ampie; gli abitanti dei quartieri popolari che vivono condizioni di precarietà lavorativa o disoccupazione trovano certezze e appartenenza. Questa è la composizione eterogenea che vive lo stadio e tenta di contrapporsi alla disgregazione imposta quotidianamente.

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