Di carcere non si deve morire
Leggendo le statistiche emerge che circa il 68% detenuti che scontano la propria in carcere ha buone probabilità di tornarvici, percentuale che si dimezza se i detenuti beneficiano di misure alternative.
Ben nota non è soltanto la chiara inutilità delle carceri ma anche il loro stato di sovraffollamento diffuso, il loro essere unicamente luoghi che auto-alimentano la loro ragione d’essere,dove si riproducono le condizioni della loro legittimazione securitaria.
Luoghi lesivi per la dignità umana, dove si violano giornalmente i diritti fondamentali dell’uomo, primo tra tutti quello alla salute.Basti pensare a come viene affrontato in Italia il problema della tossicodipendenza: 27.000 circa sono i detenuti tossicodipendenti (il 70% in più di quelli ricoverati in strutture terapeutiche).In carcere, oltretutto, si muore.
Tanti sono i nomi di ragazzi che vi sono entrati sulle loro gambe e che non vi sono più usciti vivi.
Lonzi, Cucchi, Franceschi e adesso anche Yuri, un altro episodio di ordinaria violenza che necessita di voce e visibilità perché, e di questo siamo tutto d’accordo, di carcere non si può e non si deve morire.
Yuri Attinà a 28 anni è morto mercoledì nel carcere delle Sughere, ben noto per il suo infelice record di morti e “suicidi”: circa 20 i morti negli ultimi 10 anni, tra cui, Marcello Lonzi caso faticosamente salvato dalle consuete insabbiature grazie alla tenacia della madre Maria Ciuffi che da 2003 porta avanti una faticosissima battaglia legale per ottenere la verità sulla morte del figlio.E Maria Ciuffi oggi si è unita ai familiari di Yuri, agli amici, ai collettivi e ai pezzi di movimento che si sono riuniti davanti all’ingresso del carcere per rispondere a questa ennesima violenza, a quest’ennesimo omicidio di stato.
Non importa il risultato di un’autopsia, rimane il fatto che di carcere non si deve morire: questo è stato più volte ribadito negli interventi dei manifestanti durante la giornata.
Più striscioni sono stati appesi sui cancelli e sulle inferriate :”Si vive di ingiustizie, si muore di carcere. Basta Omicidi di Stato” recita quello principale come monito affinché le istituzioni riconoscano le loro responsibilità morali, civili e politiche in queste morti.
I manifestanti si sono spostati in corteo per percorrere il quadrato esterno del carcere, nel tentativo di raggiungere le finestre delle celle dei detenuti che, subito dopo la morte di Yuri, avevano dato vita ad una protesta iniziando a sbattere contro le sbarre delle proprie celle.
Tanti gli slogan e gli interventi contro il sistema carcerario, contro una “giustizia” fatta di silenzi, bugie e soprusi, contro la repressione fatta di manganelli e arroganza.
I trecento manifestanti di oggi sono un segnale forte: nessuna disponibilità a credere alle menzogne care alle istituzioni, nessuna volontà a tollerare altri Yuri, altri Marcelli, nessuna connivenza con uno Stato assassino che tratta i detenuti come animali.
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