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E così la vita si riversa nelle strade

In questi giorni in cui gli eventi ci hanno superato, dove ciò che non ci si aspettava è diventato quotidianità, per ogni rivoluzionario ESSERCI significa comprendere che il centro dell’universo non siamo noi, le nostre identità o le nostre parrocchie, ma tutto ciò che ci circonda: la metropoli con le sue contraddizioni, gli ultimi con le loro ambiguità e la loro rabbia.

I fatti di Tor Sapienza, così come l’esperienza greca di Alba Dorata insegnano che dove non ci sono i compagni, la strada per i fascisti è spianata. Per questo il lavoro quotidiano nei quartieri è fondamentale. In questi luoghi le nostre convinzioni ideologiche devono misurarsi con la realtà di chi è stato messo ai margini della città vetrina e guarda da lontano lo spettacolo miserevole della Milano legalitaria, finanziaria e borghese. Questa realtà produce rabbia e isolamento. E’ qui che si gioca tutto, nella capacità di fare della solidarietà un’arma che seppellisca la solitudine e nell’indirizzare questa rabbia contro i veri colpevoli, non contro gli immigrati o il vicino di casa.

Hanno cercato di fomentare la guerra tra poveri dividendoci tra italiani e stranieri, tra abusivi e regolari, ma ESSERCI ha determinato che questa rabbia non avesse colore di pelle e che l’unica divisione possibile fosse quella tra poveri e ricchi, tra chi sgombera e chi vuole resistere.

Non ci sono solo persone che si organizzano per difendere le proprie case e quelle degli altri. Nei quartieri popolari centinaia di persone scendono ogni giorno in strada, abitanti che non si sono mai parlati diventano complici: c’è chi porta da mangiare alle colazioni anti sgomberi, chi si occupa di preparare il pranzo. Alcuni portano le sedie e i tavoli da casa propria, dalla finestra si passa il sale per la pasta, dai balconi arrivano gli ombrelli per gli occupanti che bloccano una via sotto la pioggia.

E così la vita si riversa nelle strade, quella vita che i giornalisti e i politici non vedono e che chiamano degrado. Su quel degrado gli abitanti dei quartieri popolari costruiscono le proprie vite, le proprie storie e prendono un posto nel mondo. C’è molta più vita tra le vie del Giambellino che tra i grattacieli della Milano di Expo.

Al bar, in edicola, al kebbabaro, alle poste non si parla d’altro. Qualcosa è cambiato, a fronteggiare la polizia accanto a te oltre che i tuoi compagni c’è una signora mai vista o dei ragazzi che prima stavano tutto il giorno al parco a fumarsi gli spinelli e a parlare dell’ultima giornata di campionato senza mai venire a contatto con le iniziative del quartiere. A lanciare i sassi in prima fila in alcuni casi ci sono pure i bambini.

Chi si organizza in questi giorni non sono solo le “realtà di movimento” ma i quartieri con i loro abitanti. Durante le assemblee non ci sono silenzi imbarazzanti o interventi noiosi di qualche autoproclamato “rappresentante”, ma la sincerità e a volte anche l’innocenza e ingenuità di chi si trova per la prima volta a fare un’assemblea per decidere se bloccare una strada o fare un corteo la sera. Le persone prendono posizione, ci si trova e le decisioni prese valgono più di qualsiasi compromesso di movimento. Organizzarsi tra quartieri anche nell’ottica del divenire, i fatti di Can Vies a Barcellona insegnano. Quando i quartieri sono organizzati la geografia politica e conflittuale di una città viene stravolta e non c’è dispositivo poliziesco che tenga.

Non c’è bisogno di fare l’elogio dello scontro, ciò sta già avvenendo, è tutta una questione di mezzi e contesto. Capire quando e come fare qualcosa, se quel qualcosa ci da potenza o semplicemente riproduce la nostra triste identità. Con ogni mezzo necessario sì, ma ogni contesto ha i suoi ritmi, i suoi tempi e la propria forma. Per chi vuole vincere e non ha più voglia di aspettare il metro di misura non è l’ideologia ma la lotta, è la lotta che detta le condizioni materiali perchè qualcosa avvenga e nelle lotte bisogna ESSERCI per creare queste condizioni.

Finalmente la plebe ci supera e i calcoli politici si fottono, chi spinge se stesso e per chi sa quali equilibri non si sporca le mani, rimarrà immortalato negli albi d’oro del movimento. I giochi di egemonia finiscono dal momento in cui non c’è nessuno da rappresentare, ma una massa di gente con cui contaminarsi.

ESSERCI per sognare ancora, ESSERCI per vivere ogni secondo di questi giorni che non si vedevano d’anni e che non devono ridursi a una fiammata fugace ma prendere consistenza in un divenire rivoluzionario.

LUNGA VITA ALLA RIVOLUZIONE CHE AVANZA!

 

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