I lavoratori dell’Asa protestano sul tetto dell’azienda
Il Tribunale di Ivrea ha accolto la richiesta di posticipare la decisione sul fallimento dell’Asa, che è stata rinviata al 5 di Novembre perché possano essere valutate le ipotesi di acquisto avanzate da alcune aziende private.
I lavoratori saliti sul tetto per protesta all’alba di lunedì mattina hanno accolto la notizia con scetticismo, dichiarando di volerci rimanere almeno fino a venerdì, data nella quale ci sarà un tavolo di crisi convocato dalla Regione per discutere della situazione dell’Asa.
Se sarà l’ennesima presa in giro, dicono i lavoratori, ‘siamo pronti a tutto’.
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Terzo giorno di protesta per i lavoratori dell’Asa, l’azienda di rifiuti di Castellamonte (Torino), che nella notte di domenica sono saliti sul tetto di uno dei capannoni della ditta per chiedere che l’Asa non venga svenduta a privati.
L’azienda, che al momento è di proprietà di un consorzio che riunisce Comuni e Comunità montane, da due anni è commissariata dal governo, cioè da quando gli effetti della crisi hanno cominciato a pesare sulla ditta che ha accumulato passività.
La soluzione proposta dalle istituzioni locali sarebbe quindi quella di cedere alcuni rami dell’azienda a privati ma i lavoratori hanno respinto questa proposta; finora, inoltre, sono arrivate poche proposte di acquisto quindi il destino dell’Asa oscilla tra la privatizzazione e la dichiarazione di fallimento. In entrambi i casi ci sono in ballo 200 posti di lavoro che potrebbero essere soppressi.
Quattordici lavoratori sono rimasti sul tetto, supportati da un presidio all’ingresso del capannone; nella notte quattro di loro si sono cosparsi di benzina, in attesa della decisione del tribunale fallimentare di Ivrea.
Negli striscioni e negli slogan dei lavoratori dell’Asa emerge più volte il richiamo alla battaglia dell’Alcoa e la complicità con le altre esperienze di lotta nate nel contesto della crisi contro gli attacchi al mondo del lavoro; in attesa della decisione rispetto al futuro dell’azienda, molto starà alla capacità di queste esperienze di superare un’ottica di mera difesa del posto di lavoro che non si traduca nella disperazione del gesto individuale ma sappia organizzare risposte collettive e di lunga durata.
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