Il futuro remoto della giunta De Magistris
poiché essi sono i primi a scoprire i tuoi difetti.
(Antistene)
E’ passato un anno da quando a Palazzo San Giacomo, tra feste, cotillon e proclami rivoluzionari, ha varcato la soglia della stanza del sindaco Luigi De Magistris.
Napoli, in quei giorni, fu invasa da una certa ebbrezza primaverile. Sicuramente, la paura di precipitare sotto il giogo della peggiore destra berlusconiana, capeggiata dai loschi affari di Letteri, aveva fatto tremare parecchi in città. A quella paura, andò concatenandosi il desiderio di voltar pagina con Bassolino, le sue clientele e anche il canto del cigno dei bassoliniani barcollanti ormai da un decennio.
Insieme a Milano, Napoli sembrava che potesse diventare il laboratorio politico di tutta l’Italia. Anche noi, in quei giorni, abbiamo voluto concedere il beneficio del dubbio, osservando attentamente il divenire di questa nuova alchimia. Non siamo mai stati tra quelli che, davanti alle novità, anche le più antitetiche col nostro dna, si fermano sulla riva a osservare, chiosando, “l’abbiamo già visto”, “sono tutti uguali quelli li”. Abbiamo provato a interrogare il piano delle relazioni tra movimenti e istituzioni, ragionando sull’insufficienza di questi ultimi e sulla crisi irreversibile della rappresentanza.
Ci siamo posti questo interrogativo a partire da noi stessi. Convinti che qualsiasi processo dovesse muovere da un rafforzamento del ruolo dei movimenti dinanzi alle istituzioni, lungi dall’offrire il destro, invece, a dispositivi di imbrigliamento e sudditanza a queste ultime.
Già la campagna elettorale del sindaco ci sembrò scarna e priva di quell’apertura alla città conseguenza di promesse e parole decantate ai quattro venti. Che la luna di miele tra Napoli e De Magistris sarebbe finita presto, l’abbiamo appreso presto sulla nostra pelle. Quando già ai primi di settembre, per 2 settimane abbiamo presidiato, con tende e materassi, il comune di Napoli insieme a 15 famiglie, sfrattate e sbattute in mezzo alla strada, a cui nessuno sapeva dare una risposta concerta. Grazie alla loro forza e alla lotta, queste famiglie hanno un alloggio. E, nonostante i loro redditi siano passati ai raggi x , qualcuno a sinistra ancora sostiene che “avere una vasca idromassaggio” non è degno per chi occupa una casa.
Dopo settembre, un susseguirsi di conferme: dai migranti ai disoccupati, passando per i senza casa, l’amministrazione demagistriana scoloriva man mano la tinta rivoluzionaria. E tutti coloro che non rispondessero direttamente alla linea del sindaco transitavano dall’essere esempio del “Laboratorio Napoli” a fastidioso intralcio. Figure di spicco usate in campagna elettorale, come Raphel Rossi o Giuseppe Narducci (per il quale non abbiamo mai tifato, anzi…), sono state silurate, senza se e senza ma. Forse perché sulla questione rifiuti e sulla gestione del patrimonio immobiliare non erano morbidi come il sindaco auspicava. Siamo sicuri che un personaggio come Rossi, distintosi in passato per scelte coraggiose, non abbia esitato un solo istante a preferire la porta piuttosto che rendersi zerbino delle richieste, tutt’altro che nitide, del sindaco. Mentre su Narducci, e sul suo fido “cane da guardia” Sementa, abbiamo più volte attaccato l’amministrazione, ma il brusco capolinea dell’assessorato alla sicurezza e alla legalità non è stato certo una conseguenza dei metodi fascisti dei due soci, riservati a disoccupati organizzati, occupanti case, migranti e venditori ambulanti.
Con buona pace di qualche consigliere che, ancora annebbiato dai fumi della rivoluzione, ha sostenuto che la sua “fuga” sia stata una vittoria proprio “dell’ala sinistra” della giunta, nondimeno è stata una vittoria dei movimenti (clicca qui). Senza infingimenti, è stata la cifra dell’affaire Romeo a dettare i termini della discordia tutta interna al palazzo municipale, i cui costi, però, andranno ricadendo nei prossimi mesi sulle fasce più precarie e povere della città. “Non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere”: tanto la questione rifiuti, praticamente ferma a un anno fa, con differenziata al palo e continui viaggi di navi cargo verso l’Olanda, quanto la gestione del patrimonio pubblico, oggi in carico a Romeo e con un sicuro rinnovo alla scadenza settembrina, nascondono i veri nervi scoperti, l’illusione e l’ipocrisia di una giunta rivoluzionaria.
Nulla è chiaro all’ombra del Vesuvio. Di sicuro c’è solo che ormai il sindaco guarda più verso Roma che verso Mergellina. A riprova è il nuovo oggetto dello scandalo, in verità un capolavoro di demagogia: la defenestrazione di Riccardo Realfonso. L’ex assessore è famoso per essere già stato messo alla porta, per il suo rigore e la sua trasparenza in materia di bilancio, dal precedente sindaco Iervolino. Proprio per queste sue doti, De Magistris l’ha invece usato come modello durante la campagna elettorale, per poi compiere lo stesso identico giochetto di Rosetta (leggi l’articolo delle dimissioni di Realfonso di 2 anni fa clicca qui http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/notizie/politica/2009/10-dicembre-2009/assessore-realfonzo-si-dimette-accusa–1602133195096.shtml)
Poco ci interessa raccontare gli inciuci di corridoio, ma l’ultimo rimpasto è utile per comprendere come si muovano i nuovi equilibri politici, sia locali che nazionali. Al posto di Narducci e Realfonso sono arrivati: l’ex prefetto di Roma, Achille Serra, carta conosciuta dai compagni e dalle compagne di Roma, il quale ha consultato, prima di accettare l’incarico, i suoi mammasantissima Casini e Cesa; e Panini, ex sindacalista e componente dell’assemblea nazionale del Pd. A dimostrazione che per governare Napoli, oltre alle parole rivoluzionarie, servono gli accordi con i soliti poteri.
Il nodo della questione non è – e nondimeno potrebbe essere – quanto sia a sinistra l’amministrazione De Magistris. Ciò che, oggi, assume centralità è il nodo della scelta. Nell’Europa della crisi e nel declino dell’Euro non c’è spazio per equilibrismi. Non si può pensare essere contro la Tav, capeggiare manifestazioni contro l’omofobia, mentre si stringono accordi con Pd e Udc, cioè con gli stessi partiti che fanno quadrato sul governo Monti, difendono la Tav, la repressione conseguente, la devastazione di un territorio in barba alla volontà della popolazione valsusina, adducendo posizioni inaccettabili. Non si può pensare di guardare alla CIGL, esaltandola quale modello di organizzazione del conflitto tra capitale e lavoro. Noi ne sappiamo qualcosa. Così come lo sanno i precar* dati letteralmente in pasto a Confindustria e alla precarizzazione portata avanti per un ventennio dal ministero del lavoro, con lo scopo di garantire la propria sopravvivenza, rifocillandosi alla fonte della concertazione.
E ancora: strizzare l’occhio a Caldoro, vuol dire essere complice delle politiche di contenimento della spesa pubblica adottate dal governatore della Campania; politiche che, a cesoiate, tagliano servizi sociali, trasporti, assistenza e complessivamente le misure di welfare, vale a dire i soli sostegni rimasti per le fasce più deboli e le/i precar*, in una regione con un tasso di povertà al 38%.
Ovviamente, non ci aspettiamo nulla dalle urne, né dai partiti. Nondimeno pensiamo che la soluzione a tutto ciò possa venire da comici/politici o politici/comici. L’unica soluzione è quella dei movimenti. Dentro di essi troviamo le uniche risposte alla crisi. Risposte che, giorno dopo giorno, soprattutto al Sud, vanno costruendosi sul sangue e sulla carne di migliaia di uomini e donne che praticano una resistenza costante alla povertà, mettendo in atto pratiche di mutualismo e di cooperazione produttiva. Le esperienze degli occupanti case o dei disoccupati organizzati, in questa regione, sono state forme avanzatissime di lotta in materia di reddito. Rievocando il ciclo di lotte ambientali, viene subito alla mente la capacità di comunità intere di di ripensarsi come comunità solidali, di elaborare forme alternative del fare politica, non basate sulla sommatoria o sulla rappresentanza, ma sulla partecipazione diretta e sulla concatenazione di desideri e interessi. Altri significativi esempi sono le esperienze di autogestione attuate da student*, precar* e intermittenti dell’immateriale: le occupazioni di spazi abbandonati o al servizio di partiti e clientele, vanno rinascendo a nuova vita, una vita aperta a tutt*, in cui non si elemosina ma si prende parola, e lo si fa direttamente sulla gestione della res pubblica restituita alla cooperazione produttiva.
Quello che manca a quest’amministrazione non sono certo delle personalità di “sinistra” o più a “sinistra” nel parlamentino comunale. Quel che manca è sicuramente la capacità di aprire i movimenti, di fare reti che oltrepassino gli steccati del pubblico e del privato, in grado di imporsi sull’agenda politica e sulla governance pubblica. Le istituzioni senza i movimenti sono palazzi vuoti, palazzi destinati a crollare sotto il peso del futuro. E’ evidente, infatti, il fallimento di un esperimento (o di un’alchimia) che pretendeva di costruire un laboratorio all’altezza dei tempi. Quel che resta è una città in cui una parte dei conflitti è narcotizzata, mentre le esperienze meno compatibili vivono un isolamento, dal quale stentano ad uscire. Un fallimento che chiarisce quali siano le sorti politiche del paese, laddove si pensi che la risoluzione alla crisi della rappresentanza e all’insufficienza dei movimenti, passi dall’illusione che, aggirare la posta in gioco e buttarsi nella scorciatoia elettorale, sia la strada per il cambiamento.
Deposta la maschera, il re è nudo. Ora i movimenti sanno qual è il volto di De Magistris e della sua amministrazione. Ora, giochiamo a carte scoperte: rien ne va plus, les jeux sont faits!
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