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Intorno al 9 Dicembre. Quello che è sicuro, è che non è un pranzo di gala

Per continuare il dibattito sul #9dic ed i cosidetti #forconi pubblichiamo questo bel contributo de*** compagn* del centro siociale Gabrio di Torino…

Quella di lunedì sarà una mobilitazione oggettivamente complessa, dove gli sfruttati si troveranno in piazza con i loro sfruttatori. In buona parte, infatti, l’iniziativa sarà in mano ai padroncini ed ai padroni degli autotrasporti, dei mercati, deimagazzini generali. Luoghi in cui lo sfruttamento in alcuni casi raggiunge il livello della schiavitù.

E’ innegabile però registrare come la “rivoluzione italiana” e la data del 9 dicembrestiano catalizzando l’attenzione e la rabbia di una buona fetta di quella che potremmo definire come piccola borghesia. Uno strato sociale che da alcuni anni soffre di un impoverimento sempre più evidente e che manifesta da una parte una disaffezione decisa verso le forme della politica istituzionale…”.


Scrivevamo così qualche giorno fa a proposito della scadenza del 9 dicembre, una data che vedevamo nella nostra città circolare con sempre maggiore intensità dopo essersi saldata con una certa rabbia ed esasperazione degli ambulanti che già si era palesata nelle settimane scorse. Ci interrogavamo e continuiamo doverosamente a farlo, perchè quella che è partita lunedì è stata oggettivamente una mobilitazione complessa.

È stata nella settimana precedente etichettata da alcuni portali di movimento piuttosto frequentati come una mobilitazione spinta ed egemonizzata da alcuni settori organizzati della destra anche estrema. Proprio mentre leggevamo i primi contributi dei ‘giri di compagni’ ci si sono aperte davanti le prime contraddizioni frutto di rimandi, chiacchiere damercato più che da bar e varie voci di zona. Secondo alcuni il Gabrio ci sarebbe stato, secondo altri eravamo lo spauracchio utilizzato per minacciare i negozianti che avessero deciso di tenere aperto (se apri arrivano gli squatter del gabrio e ti rompono le vetrine). Altri ancora ci hanno cercati e dopo aver annusato l’aria che tirava all’assemblea cittadina della settimana scorsa indetta dal Coordinamento, ci è sembrato, non senza qualche dubbio, che quello che stava succedendo andasse valutato direttamente per provare a leggerlo e interpretarlo almeno parzialmente.

Nel territorio, crediamo che uno dei veicoli principali per la circolazione della scadenza siano stati proprio i mercati rionali, realtà forte e fortemente radicata nella città di Torino che ne conta ben 35. Gli ambulanti non sono un soggetto nuovissimo sulla scena politica cittadina, non solo per la mobilitazione di un paio di settimane fa contro l’aumento della tassa rifiuti, ma anche per le mobilitazioni contro la direttiva Bolkenstein di qualche tempo fa. I mercatari sono un blocco sociale che negli anni è stato tendenzialmente orientato a destra, base di consenso per la Lega “di lotta e di governo” o per la Forza Italia miraggio per tantilavoratori autonomi. Un blocco sociale che però, nel corso degli ultimi anni è andato via via impoverendosi e, verrebbe da dire ri-proletarizzandosi, ingrossando le sue fila di molti nuovi lavoratori immigrati che entravano sulla scena dei mercati rionali torinesi un po’ come molti autoctoni due o tre decenni fa, con l’idea di avere in un certo senso svoltato, di essersi emancipati da un lavoro dipendente mal pagato e ricattato, per essere finalmente sulla via di una ricchezza possibile e di un’autonomia lavorativa in grado di garantire certezza di reddito. Il nemico sono le tasse, e ad esempio l’avversione verso le imposte in generale ed Equitalia in particolare è un punto che accomuna i mercati, i piccoli esercizi commerciali, l’artigianato, etc.

Nelle piazze di questi primi tre giorni ci sembra che questa presenza sia stata rilevante, prevalentemente autoctona ma non esclusivamente. Gli interventi degli ambulanti immigrati presenti facevano peraltro emergere il concetto prevalente nella piazza dei “veri italiani” evocati nei volantini di convocazione: è vero italiano chi lavora (meglio se) come autonomo, senza l’assistenzialismo statale, anzi vessato dalle imposte; in questo senso non è “un vero italiano” chi fa parte della casta, non lo sono i sindacati e al limite i “parassiti” lavoratori statali. In questa declinazione la scivolosa definizione sciovinista non individua l’immigrato come il nemico. Lo assume, forse per alcuni inevitabilmente, come un alleato in termini corporativi dentro la categoria vessata e impoverita. Insomma un blocco sociale che possiamo definire piccolo-borghese e che come dicevamo è sempre stato tendenzialmente orientato a destra che va incontro ad alcune modificazioni rilevanti, in un momento di perdita di ricchezza e che anche per quanto riguarda la questione della rappresentabilità ha dimostrato di non essere perfettamente incanalabile ed ascrivibile al mondo delle associazioni di categoria dei piccoli imprenditori. Una contraddizione aperta. In questo mondo un settore organizzato di destra è presente ma non ci pare che sia stato egemone nelle mobilitazioni di questi giorni. Anagraficamente è forse la componente in cui abbiamo visto un’età media un po’ più alta rispetto al resto della piazza. Una frattura generazionale che si è anche palesata in alcuni momenti rispetto ad altre componenti presenti in piazza.

La seconda componente che ci sembra sia stata protagonista in questi giorni è probabilmente ancora meno omogenea, e ci riferiamo una fascia di persone che sono scese in piazza principalmente sulla base di “conoscenze di zona”. Anche in questo caso nei giorni precedenti abbiamo avuto alcuni rimandi e sollecitazioni da persone che abbiamo conosciuto e incrociato ad esempio nella lotta contro gli sfratti. Figli di operai, ex operai a loro volta, oggi precari o disoccupati, oppure piccoli artigiani, muratori, che stritolati chiudono l’attività, si arrangiano con lavori saltuari e dequalificati e capita che finiscono sotto la mannaia di uno sfratto. Attraversati e in qualche modo accomunati anche ai più giovani da un certo immaginario da curva, si tratta di un proletariato metropolitano il cui baricentro di vita è concentrato nei quartieri, e di lì hanno animato i blocchi per poi confluire verso il centro. Chi li rappresenta? Qui si registra probabilmente una forte disaffezione al voto, e la rabbia verso le istituzioni sembra essere più generalizzata rivolgendosi anche ad esempio verso le forze dell’ordine. Tra i commercianti e gli ambulanti si odiano esplicitamente le istituzioni della casta e del fisco ma non ad esempio i reparti impiegati nella gestione dell’ordine pubblico protagonisti del siparietto del casco, per la maggioranza dentro questo nuovo proletariato sembra essere un po’ più chiara la distinzione tra la piazza e la polizia.

La componente giovanile è infine stata quella sicuramente più interessante. I cortei spontanei sono partiti da molte scuole nei quartieri e il percorso ci è capitato di vederlo definito tramite smart phone più che tramite un’organizzazione capillare. Alcuni di questi cortei che ci è capitato di vedere sembravano rispecchiare abbastanza fedelmente la composizione degli istituti superiori anche rispetto alla presenza di studenti figli di immigrati in Italia. C’è stata la presenza di una componente di destra organizzata? In città esiste, poco più di due settimane fa un loro corteo ha raccolto un po’ meno di 200 studenti e non è un mistero, ma ci è sembrato prevalente uno spontaneismo fatto di cortei spezzettati in piccoli gruppi, mossi da sentimenti probabilmente disparati, ma appunto in un movimento veloce e a tratti selvaggio, che per questa componente pone immediatamente la questione del protagonismo. Quello che si cerca nel riprendersi disordinatamente le strade fuori da scuole con aule cadenti devastate da anni di riforme e tagli all’istruzione.

Questo è in sintesi quello che abbiamo visto fin qui. Aggiungiamo per dovere di cronaca il triste siparietto di mercoledì pomeriggio di uno dei presunti leader nazionali, che aveva convocato un comizio in piazza Vittorio. Di fronte a una piazza pressochè deserta ha dovuto rincorrere la gente e che non aveva abbandonato piazza Castello e il palazzo della Regione, quello forse più odiato oggi grazie allo scandalo di rimborsopoli. Davanti a quel palazzo il suo intervento è riuscito a rompere la freddezza giusto quando ha rilanciato un appuntamento comune a Roma in una data da definire a breve.

In questi giorni abbiamo girato, discusso parecchio e letto diversi contributi da vicino e da lontano. Ci ha sorpreso come attraverso i social network si sia sviluppato una sorta di dibattito parallelo, lontano da quello che stavamo vedendo e discutendo tra di noi e con compagni di altre realtà. Più di uno ci ha sollecitato on line a fare qualche cosa in contrapposizione, mentre alcuni mercatari di zona chiedevano in strada ragguagli tecnici a qualche compagno su come organizzare un blocco stradale.

Si è molto parlato dei tricolori e dell’inno di Mameli cantato a squarciagola. È bene provare anche a dire qualche cosa in merito. Dentro le piazze di questi giorni esisteva certo una forte tendenza nazionalista. L’elemento identitario ha trovato anche abbozzi di contenuti in qualche modo politici contro l’Europa e la politica monetaria comune. Dentro un orizzonte elettoralista forse queste rappresentano tematiche che potrebbero essere oggetto di un possibile recupero della novella Forza Italia d’opposizione. Potrebbero essere un terreno fertile per la destra estrema, ma anche in questo caso ci sono elementi fortemente contraddittori: i cori “Italia, Italia” erano intonati da autoctoni e non, e la bandiera sembrava più l’unico appiglio per mostrare un’esperienza comunitaria collettiva. L’inno un feticcio, volentieri sostituito nei momenti di maggiore partecipazione da cori da stadio. Ci inquieta il tricolore e ci da l’orticaria ma stigmatizzarlo necessariamente come fascista non significa correre il rischio della profezia che si auto-avvera? Porsi il problema di verificare e immediatamente provare a contrastare laddove si manifesti un tentativo di egemonia della destra neo-fascista è un terreno sul quale è inevitabile misurarsi.

Dentro quelle piazze ci siamo interrogati anche della rappresentanza/rappresentabilità di quanti si sono mobilitati. Pare un po’ che una parte del popolo delle partite IVA, tanto spesso genericamente narrato con tratti da sogno, si sia materializzato evocando in molti i peggiori incubi. Chi è oggi, nell’asfittico quadro istituzionale, in grado di intercettarne alcune istanze? Come abbiamo già detto alcuni settori della destra (Forza Italia o i neo-fascisti di Forza Nuova e Casa Pound) vorrebbero provarci, Il M5S di recente ha sicuramente intercettato il sentimento anti-casta, ma magari si è trattato solo di un’infatuazione passeggera. Ovviamente la “sinistra” di Fassino e della giunta è nemica, quella delle primarie l’ennesimo circo, e quanti da quelle parti hanno per l’ennesima volta balbettato dichiarazioni di ripristino della legalità, hanno semplicemente optato per un tentativo di rimozione di un protesta sociale, chiedendone la fine e invocando il ritorno alla pacificazione da larghe intese.

Gli interrogativi aperti sono molti, e questo contributo non può e non vuole essere un’analisi definitiva. Ci pare ovvio che dentro la crisi, in assenza di protagonismo di un movimento dei lavoratori largamente declinato incapace di scrollarsi e sedato dai sindacati confederali, le piazze possano registrare, come è stato in questi giorni, il protagonismo di altri soggetti.

Per quanto ci riguarda pensiamo che le lotte per la casa, le lotte nei quartieri contro i progetti speculativi, la questione delle tasse e dei pagamenti legata però ai tagli dei servizi e allo spreco di denaro pubblico dentro una città sempre più privatizzata, siano oggi più che mai quello su cui continuare a misurarsi con concretezza e provando anche ad agire pratiche seppure parziali di riconoscimento su obiettivi e contenuti chiari . È una delle possibilità. Leggere ciò che avviene deterministicamente e farsi pervadere da un senso di inadeguatezza è un’altra possibilità. Probabilmente è, alla fine, una semplice questione di scelta.

P.S. Una piccola provocazione a margine. Alcune brutte facce si muovevano in giro e rispetto alle intimidazioni ai commercianti abbiamo ricevuto alcune segnalazioni che sarà bene approfondire. Ma in generale, nel regno dei se -che dice qualcuno è un po’ il regno dei cojoni-… se si aprisse la prospettiva di uno sciopero veramente di massa, i crumiri non li faremmo entrare al lavoro e il commercio lo vorremmo vedere bloccato in solidarietà, o no?

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