La giunta sardo-leghista nasconde i dati dei contagi negli ospedali dell’isola
Continua il ridicolo balletto di cifre che la regione sarda propone nelle conferenze stampa. Qualche giorno fa la regione Sardegna ha reso pubblici per la prima volta i dati aggregati sulla diffusione del covid-19 i dati del 13 aprile affermavano che: il luogo di maggiore esposizione al rischio è, paradossalmente, l’ospedale dove si è registrato il 69% dei 1.128 contagi (778 casi); nelle RSA, in cui sono comprese le case per anziani, si è ammalato il 15,7% dei positivi (177 persone); al di fuori delle strutture ospedaliere hanno contratto il Covid-19 il 7,8% degli infetti (88). Tuttavia a poche ore di distanza i dati sono cambiati, infatti il 14 aprile la regione affermava che i grafici pubblicati sul sito regionale non si riferiscono al numero totale di contagiati, bensì al numero di contagiati avvenuti dentro le strutture ospedaliere e le RSA.
La questione è assai fumosa. Cerchiamo di capire cos’è successo partiamo dai grafici della regione:
Il primo grafico è quello pubblicato dalla regione il 13 aprile mentre il secondo è estrapolato dal rapporto del 16 aprile. La differenza sta nel titolo: il primo si chiama ‘Distribuzione per luogo di esposizione’; mentre il secondo si chiama ‘Operatori sanitari: luogo di esposizione’. La situazione è talmente grottesca da sembrare la trama di un brutto spettacolo surrealista. Vogliamo comunque approfondire la questione perché è evidente che i conti non tornano e che non basta cambiare il titolo ad un grafico per dare un colpo di spugna ad un disastro sanitario.
Il primo grafico nel report diffuso dalla regione è corredato da un secondo che indica il numero delle operatrici e degli operatori sanitari infettati dal virus in relazione al numero totale di casi:
Il dato si riferisce al 13 aprile, quindi su 1.128 persone affetta da covid-19 il 24% sarebbe 271. Tuttavia il giorno successivo, il 14 aprile, la regione comunica che il numero assoluto dei malati tra il personale ospedaliero sarebbe 255, è evidente che qualcosa non torna. Inoltre bisognerebbe chiedersi come si fa a dire che un operatore sanitario non si è ammalato in corsia se si lavora sette giorni su sette negli ospedali?
Questo balletto di cifre non ci aiuta nemmeno a comprendere come stia proseguendo la già problematica questione dei contagi del personale nei presidi sanitari. Il 26 marzo scorso la regione dichiarava che i contagiati tra il personale ospedaliero erano oltre 200 il giorno dopo si correggeva dicendo che erano meno di 144, a poca distanza l’istituto superiore di sanità riportava la cifra di 216 malati. Oggi non sappiamo con certezza quanti siano perché se seguiamo i dati percentuali sono 271 al 13 aprile se seguiamo i numeri assoluti sono 255, al 14 aprile. Comunque qualunque cifra assumiamo come corretta sappiamo che il numero di contagi continua ad essere in forte crescita.
Ora la questione diventa estremamente ingarbugliata, la regione fornisce dati a dir poco discordanti tra loro e diversi da quelli dell’ISS: via conferenza stampa fornisce numeri assoluti e sul web pubblica grafici con numeri in percentuale. Trasforma i titoli dei grafici, periodicamente rimuove dati e aggiunge indicatori differenti. Un caos che complessivamente fornisce solo due ipotesi:
La prima, molto pericolosa, è che in regione non abbiano minimamente il controllo della situazione a stento capiscano quello che sta succedendo nei loro uffici e non abbiano la minima idea di cosa succeda nei presidi sanitari. Una situazione che ricorda il disastro compiuto dai generali Italiani sul fronte della prima guerra mondiale, narrato magistralmente dalla penna di Emilio Lussu in ‘Un anno sull’altipiano’.
La seconda, non meno grave, è che qualcuno dei loro collaboratori cerchi di spiegargli cosa sta accadendo, quindi il presidente Solinas e l’assessore Nieddu stiano cercando, a dir poco maldestramente, di nascondere le cifre di un disastro dentro le strutture mediche.
Ora si comprende meglio a cosa serva il bavaglio mediatico che è stato imposto al personale sanitario, il quale già un mese fa aveva denunciato le inadeguate condizioni nelle quali era costretto a operare. Infatti dalla fine del mese scorso la giunta si arrogata il diritto di essere l’unica fonte consultabile dagli organi di informazione. Come dire le uniche notizie che devono circolare sono quelle ufficiali, abbiamo visto con quali risultati. La regione attraverso una nota privata inviata per mail al personale sanitario minacciava ritorsioni e provvedimenti disciplinari nel caso filtrassero informazioni non autorizzate dall’ufficio stampa della regione. Tale limitazione era ed è tuttora valida anche per l’utilizzo di strumenti di comunicazione privati: quali social-network o chat.
Le poche informazioni che non sono mistificate dalla censura di regime, volontaria o involontaria che sia, è che le condizioni di lavoro continuano ad essere assolutamente inadeguate ecco ad esempio la denuncia ‘filtrata’ dall’Azienda Ospedaliera Universitaria di Monserrato (Cagliari):
“Il 24 marzo il dipartimento di Chirurgia aveva richiesto un urgente aggiornamento del protocollo utilizzato per i pazienti che accedono tramite il Pronto soccorso. Era stato infatti presentato un documento che, tra le altre cose, prevedeva la creazione di spazi adeguati, separati dal resto dell’ospedale, gestiti da operatori dotati di dispositivi di protezione individuale secondo procedure identiche a quelle adottate presso i centri Covid. Tutte le nostre richieste, compreso lo screening di tutto il personale sanitario, ad oggi, sono rimaste disattese. Il dipartimento di Chirurgia oggi sta pagando a caro prezzo questa linea di condotta. Un nostro caro collega, a causa della presenza dell’infezione virale all’interno dell’ospedale, ha sviluppato una polmonite da Covid-19 e si trova ora ricoverato. Molti altri operatori sanitari e pazienti sono stati infettati”. (Cagliari, 13 aprile 2020)
Questa è la cronaca dei fatti, per quanto sia difficile ricomporre il puzzle, infatti quello che davvero sta succedendo lo sapremo probabilmente tra diversi mesi. Quando la giunta non potrà più insabbiare i dati definitivi e zittire il personale sanitario, potremmo a quel punto finalmente ricostruire tutte le bugie che la giunta leghista ha raccontato al popolo sardo.
Come se non bastasse la giunta regionale prosegue con misure spot per distrarre l’attenzione dal vero problema, ad esempio ha chiuso le spiagge, come se si potesse recintare buona parte del perimetro dell’isola, e comunque prima chi ci poteva andare se il limite di spostamento era fissato a 200mt? Oppure ha consentito lo svolgimento dell’attività fisica all’aperto, era stato vietato dal 4 al 12 aprile a chi non avesse gravi patologie certificate. Tuttavia obbliga le sportive e gli sportivi ad indossare la mascherina e com’è noto tale pratica è ritenuta pericolosa dall’OMS e dall’Istituto Superiore di Sanità per via dell’impedimento che questa provoca alla corretta respirazione sotto sforzo.
Vari sindaci continuano a farfugliare di restrizioni e di untori, in testa il sindaco di Cagliari, che da istruzioni alle volanti della municipale di inseguire le persone che portano a spasso il cane per verificare a quale distanza siano dall’abitazione. In ultimo, allineandosi ai suoi colleghi leghisti il presidente della regione ha vietato la riapertura delle librerie e delle cartolibrerie. Soprassaliamo su qualsiasi commento ironico che verrebbe spontaneo in tale occasione; vogliamo invece dire che questo gesto sembrerebbe aver resuscitato il centrosinistra sardo, rimasto in religioso silenzio sino ad adesso. Attraverso alcuni giovani consiglieri regionali una sinistra sempre più caricaturale ha attaccato la giunta di Solinas per “la mancata riapertura della cultura”. Non ce ne vogliano i librai e i piccoli commercianti anche noi pensiamo sia assurdo lasciare aperti i grandi magazzini e chiuse le piccole attività, tuttavia non ci sembra questo il punto. Il centro sinistra sardo era in silenzio per un fatto di pudore, lo abbiamo già scritto. Guardando al di là della gestione criminale o incompetente, ma al limite del patologico, da parte di Solinas e della sua giunta occorre ricordare che: se in questi giorni negli ospedali mancavano i dispositivi per lavorare in sicurezza è soprattutto per la violenza dei tagli al bilancio della sanità regionale che nell’ultimo decennio è stato bipartisan e sbandierato come “politica di modernizzazione”.
L’inefficienza sanitaria in Sardegna è dovuta al sacrificio sull’altare della spending-review in nome del nuovo Dio ‘pareggio di bilancio’. La scorsa giunta dei ‘democratici’ guidata dall’economista Pigliaru ha puntato tutto sul “ridimensionamento” delle strutture sanitarie pubbliche nell’isola. Il definanziamento e la progressiva distruzione della sanità pubblica, non solo in Sardegna, non è figlia incompetenza tecnica quanto invece di scelte politiche deliberate. Si è puntato alla trasformazione della salute in merce e in profitto, seguendo i diktat dell’ideologia neoliberista. Così è successo che si dessero ricchi premi di produzione ai dirigenti che tagliavano la spesa per la formazione e per lo stock di dispositivi di protezione individuale. Forse è per questo che i consiglieri più anziani del centrosinistra sono ancora abbastanza saggi da rimanere in un composto silenzio.
Ci sarebbero tuttavia altre questioni che la gioventù dell’opposizione istituzionale potrebbe denunciare: come le paradossali esercitazioni militari in Sardegna in piena pandemia, smentite da un sito vicino all’aeronautica militare ma poi riconfermate come denunciato da A FORAS. Tuttavia sappiamo bene che la connivenza del centro sinistra sardo con il militarismo italiano sono un fatto di vecchia data. I giovani sinistri avrebbero potuto allora, almeno, denunciare la speculazione degli ospedali privati che si preparano a chiedere sino a 900€ a notte, alla regione per un posto letto. Invece nulla, sappiamo bene che l’opposizione del centrosinistra nell’isola è quella del mojito in mano leggendo un bel libro di Baricco, magari sfoggiando un tricolore e addobbando il balcone con un bel ‘andrà tutto bene’ appeso l’occasione.
Questa cronaca impietosa della situazione Sarda ci ricorda che non c’è una scorciatoia per uscire dal pantano della crisi. Occorre invece costruire un’opposizione sociale forte in grado di ribaltare le dinamiche di depredazione del capitalismo: sfruttamento delle persone e distruzione dei territori che da sempre sbandierato dai potenti come l’unica via possibile. Bisogna costruire una forza sociale che non si faccia incantare da facili scaricabarile e che inchiodi alle proprie responsabilità i colpevoli della gestione di questa crisi sanitaria, sociale ed economica. Occorre ripensare tutto, a partire dalla produzione, costruire autonomia nei territori significa soprattutto, oggi più di ieri, che non vogliamo più morire perché sappiamo produrre gallerie nelle montagne per treni, bombe e propulsori per missili da vendere ai sauditi ma riusciamo a produrre mascherine e respiratori. Costruire autonomia nei territori significa che non possono essere i tagli indiscriminati al bilancio che garantiscono ai dirigenti ricchi premi di produzione a scapito della sicurezza sul lavoro e della qualità delle cure.
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