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Microfisica della repressione. Cronache ed analisi del controllo di un territorio.

 

Castelfranco Emilia è un paese di mezzo tra le province di Modena e Bologna e si caratterizza per una importante presenza di imprese legate al mondo dell’edilizia e chiaramente in odore di illegalità.

Questo però è un problema relativo, diremmo marginale, se consideriamo le priorità con la quale si manifesta l’impegno delle forze dell’ordine.

In fondo l’economia malavitosa moderna non è molto visibile e costituisce un elemento di stabilizzazione sociale e di comunanza di affari con la grande imprenditoria: non è “veramente” un problema.

Molto più interessante ed importante è sedare ogni forma di possibile contestazione politica.

Nella terra del PD il controllo sociale del territorio un tempo avveniva attraverso una attività militante attuata attraverso la rete capillare del partito (allora PCI) che riusciva ad avere una immagine quasi radiografica del tessuto sociale. La diffusione porta a porta dell’Unità, aveva anche questa funzione: questi la comprano, questi no, ecc. La conoscenza del territorio era tale che si era in grado di avere una previsione numerica pressoché aggiornata in tempo reale delle fluttuazioni elettorali di ogni singolo quartiere. Per avere una idea: la comparsa in un certo quartiere di un paio di voti missini in più, parliamo degli anni ’60 del secolo scorso, scatenava una ricerca tra i compagni; ad un certo punto si arrivava a ricostruire il fatto che si era insediata da poco una famiglia di parenti di quelli che davano i tre voti storici a quel partito di destra ed in questo modo si tirava il fiato rispetto a chissà quale proselitismo da parte dei fascisti.

La distruzione delle strutture capillari del partito, la trasformazione del tessuto cooperativo in pressoché libera imprenditoria, le fluttuazioni sociali dovute alla crescita di paesi e città di una provincia ricca, hanno reso le amministrazioni meno capaci di restare legate ai bisogni della popolazione: perché è evidente che un maggiore controllo, corrispondeva ad una prevenzione dei malumori sociali che si esprimeva attraverso la necessità di offrire risposte ai problemi fin dalle loro manifestazioni più elementari.

 

Quindi i servizi sociali e territoriali che funzionano non sono il portato di “geni dell’amministrazione”, ma il risultato di una lotta di classe che aveva lasciato una capacità di controllo dal basso della società che forniva in contemporanea gli strumenti per esercitare al meglio il controllo dall’alto.

Questa antica caratteristica della nostra città e della nostra provincia la si vede bene in questa fase di mezzo, in cui il dominio del partito non è più incontrastato, il partito stesso è diventato arena di controversie feroci, le amministrazioni dispongono di meno fondi ed il tessuto sociale è ricco di smagliature.

Lo abbiamo visto nel caso dell’azione e della presenza del collettivo Prendocasa che si presenta a Castelfranco all’inizio del mese di ottobre per via della lotta antisfratto. E’ una questione che vede questo collettivo presente in tutta la provincia, in sintonia con il mandato scaturito dall’assedio del 19 ottobre, per lottare anche al fine di ottenere il blocco degli sfratti sull’intero territorio nazionale.

Cerchiamo di capire come si caratterizza l’azione delle forze “dell’ordine costituito” e della politica locale di fronte a questo soggetto.

Partiamo da un primo elemento di analisi: questo collettivo suscita una attenzione piuttosto spiccata, specie nella frazione immigrata del paese. Questa parte della popolazione sta subendo un vero e proprio sfoltimento della presenza sul territorio, a causa dell’incedere delle azioni di sfratto che vedono intere famiglie depredate improvvisamente della possibilità di rimanere. Sono persone costrette alla fuga dalla miseria improvvisa che si è abbattuta su questa provincia, un tempo tra le più ricche di Italia, una fuga da fare insieme alle migliaia di giovani che stanno incamminandosi per le strade di Europa o verso altri continenti in cerca di fortuna.

 

Nessun paracadute sociale è previsto: il migliore aiuto che le assistenti sociali si permettono di offrire è per un biglietto di sola andata verso il paese di provenienza.

Allora il fatto che alla prima azione di resistenza ad uno sfratto siano quasi una ventina le persone che si presentano all’appello, genera un certo timor panico nelle gerarchie locali. Sono tutte brave persone quelle presenti, lavoratori, soggetti “integrati” anche dal punto di vista dei politici locali e delle forze della repressione, che chiamano alcuni di loro per nome e con rispetto.

E’ un bel problema.

Bisogna dire che una prima indicazione sul che fare viene dall’iniziativa di una delle ultime forze di polizia in ordine gerarchico di importanza: i vigili urbani.

Infatti durante il primo picchetto un vigile che è stato fotografato, si posiziona davanti ad ognuno dei picchettanti e ci fotografa tutti. Alla nostra opposizione dice: se fotografate voi, allora posso farlo anche io. Come se fossimo sullo stesso piano di eguaglianza, naturalmente.

I risultati non tardano ad arrivare: la schedatura arriva ben presto sul tavolo del maresciallo dei carabinieri che comincia ad attuare un piano di intimidazione, con molta educazione, ma sistematico. Gira nei bar del paese e chiede i documenti delle persone che non conosce, ma che erano presenti al picchetto. Aggiunge una frase sibillina: dice scuotendo la mano come un falcetto. Lo dice sorridendo, con un fare affabile.

Aveva fissato la seconda puntata dello sgombero a distanza di una settimana dalla prima: nessun documento da parte dell’ufficiale giudiziario, solo una promessa di fare sul serio. Parola di carabiniere.

Ma la settimana dopo l’effetto del lavoro di dissuasione non era stato ancora sufficiente: la metà delle persone della volta precedente erano ancora presenti e, pur girando attorno alla casa, le forze della repressione decidono di non agire. Del resto il termine tecnico non è stato ancora fissato ed il fine settimana successivo si terrà una manifestazione in paese.

In preparazione di quella probabilmente il PD(olizia), spalleggiato dai partiti razzisti di ogni ordine e grado, comincia a muovere le sue carte e, magari al tavolo sulla sicurezza che mette insieme Prefetto, forze repressive e sindaci, viene chiesto un dispiegamento di forze che abbia una valenza dissuasiva. E infatti ci saranno molti più poliziotti, carabinieri e vigili che non manifestanti e lo diciamo consapevoli che la manifestazione aveva comunque una consistenza dignitosa.

Però l’effetto deterrente aveva funzionato su diverse famiglie del piccolo paese che, pur pronte, non trovarono il coraggio di mettersi in piazza in massa, come avrebbero voluto.

I tavoli di confronto tra istituzioni, assemblea per la Casa di Castelfranco e Prendocasa saranno due: il primo serve al potere per intuire le intenzioni del collettivo, il secondo per respingerle.

Tuttavia la campagna per il blocco degli sfratti ottiene degli effetti.

Il giorno prima che i compagni si presentino dal Prefetto per sollecitare il blocco, i sindacati degli inquilini sono stati a discutere in prefettura degli stessi argomenti. Sembrano le mosche cocchiere del Prendocasa: ogni volta che il collettivo è stato presente su di un territorio a fianco di uomini e donne sfrattate, in particolare il Sunia è sempre stato coinvolto a tavoli di mediazione anche quando non conosceva neppure di faccia le persone che aveva la pretesa di rappresentare.

Nel frattempo l’amministrazione di Castelfranco si rende conto che ci sono altri casi in città che si stanno avvicinando al Prendocasa o che potrebbero farlo, ma soprattutto si rende conto che potrebbero rappresentare degli esempi di ingiustizia sociale talmente importanti da metterla in crisi. Iniziano quindi a dare risposte, senza fare rumore, almeno alle situazioni più drammatiche.

Sono i primi frutti della lotta.

E i frutti si vedono anche attorno alla situazione della famiglia del 5 dicembre: teniamo presente almeno una coincidenza: la prima proposta di una sistemazione per il componente malato della famiglia sfrattata, avviene il giorno dopo la distribuzione di un volantino del Prendocasa che convoca un presidio. E’ una proposta inaccettabile, ma almeno c’è.

Sarà causata dal volantinaggio? Non possiamo avere certezze, ma il fatto che non sia contraddittorio pensarlo, fa rientrare la cosa nell’ambito del possibile.

Le amministrazioni nel frattempo lavorano: al tavolo sulla sicurezza il Prefetto chiede conto di cosa possa succedere a Castelfranco il 5 dicembre. La pace sociale deve essere garantita: le elezioni per il rinnovo dei consigli comunali sono alle porte: non si deve fare brutta figura.

Il lavorio diretto ed indiretto rispetto al Prendocasa si intensifica nei giorni che precedono il 5 dicembre: eclatante il tentativo della questura che invita un rappresentante del collettivo per “discutere di una proposta di soluzione molto buona per la famiglia di Castelfranco”. Il collettivo rifiuta l’invito bonario, per la semplice questione che se la proposta è così buona non si capisce perché non la facciano alla famiglia, ma soprattutto perché non è il Prendocasa l’ente decisore dei destini di coloro che si rivolgono allo sportello. La decisione in merito alle proposte tra amministrazioni e famiglie è di pertinenza esclusiva delle famiglie stesse.

L’asse del lavoro si sposta sulla famiglia di Castelfranco. In un incontro estenuante di oltre 3 ore con il titolare dell’affitto ottengono solo una risposta:

Nel frattempo trapela anche la richiesta di separare i destini della coppia dalla presenza del Prendocasa: ma il protagonista della resistenza del 5 dicembre risponde che sarebbe in mezzo ad una strada se non avesse incontrato il collettivo.

Le posizioni restano inconciliabili.

 

Si arriva al 5 dicembre con il massimo della tensione emotiva da parte dell’inquilino, ma anche con la consapevolezza che il tessuto di solidarietà non ha retto all’urto repressivo e che il giorno successivo saranno pochi i solidali, anche perché si è capito che “vogliono picchiare” o sono disposti a farlo.

 

In effetti sono pochi, meno di dieci quella mattina, ma determinati e presenti fin dalle 6,00.

Dall’altra parte la scenografia è veramente raccapricciante: una camionetta della polizia, una di carabinieri, otto membri della digos, una decina di vigili urbani, diverse macchine di poliziotti, l’ufficiale giudiziario, diversi membri dello staff dei servizi sociali, oltre l’avvocata della proprietà che uscirà raggiante dall’esito della giornata. Rappresenta i ricchi che riescono a ristabilire le proporzioni: noi disponiamo di una forza che voi neppure sognate, questo si legge negli occhi dell’avvocata a fine mattinata. La convinzione del padrone di essere nel giusto.

I compagni si disponiamo a terra, seduti davanti alla soglia, braccia a catena.

Arrivano i pulmini di polizia e carabinieri: scendono bardati come in una guerra e, in cinque per manifestante, ci spostano in pochi minuti.

Qui un nuovo problema: il portone non si apre. Ma più di questo l’inquilino, terrorizzato, minaccia di buttarsi dalla finestra. E’ a cavallo del davanzale.

Ansima per via dell’emozione e parla alla folla attraverso un piccolo megafono: la sua paura diventa un’atmosfera che pervade la strada.

Chiamano i pompieri, ma quando gonfiano il pallone sotto la finestra, l’inquilino si sposta in un’altra e si sporge, si taglia e ad un certo punto getta in strada il megafonino che si era scaricato.

Tutto il paese è adunato per capire cosa succede: è a quel punto che il Prendocasa interviene spiegando che non è un’operazione contro la malavita, ma una cosa volta solo a mettere un inquilino in difficoltà in mezzo ad una strada.

Molti cittadini restano sbigottiti ed una signora impreca contro l’assenza delle istituzioni.

Allora arriviamo ad un nuovo salto di qualità: si barrica la strada principale e si blocca la circolazione nel centro storico. Ma non basta: il problema sono i passanti, troppo vicini al megafono di Prendocasa. Le transenne non sono messe solo sulla strada, ma anche sotto i portici e vigili urbani e poliziotti allontanano i curiosi:

 

la città è completamente militarizzata, sembra di essere sotto coprifuoco o in un paese della Val Susa sotto assedio poliziesco.

 

Una militarizzazione che con il suo costo avrebbe garantito protezione sociale per sei mesi ad almeno tre famiglie.

 

Eppure non tutti vanno via, anzi molti ritornano per ascoltare e capire.

Quando le minacce di buttarsi si fanno più pressanti, allora le camionette fingono di andare via, ma si riposizionano poco lontano: i Vigili del Fuoco, che lasciano confidenzialmente un messaggio di solidarietà, vengono fatti andare via.

La resistenza all’interno dell’appartamento e il continuo lavoro sotto casa del compagni e dei solidali ha fattosi che si arrivasse a un tentativo di mediazione con la proposta di non separare la famiglia e una sistemazione in un altro alloggio ( proposta che prima di questa giornata di lotta non era mai uscita). A questa proposta l’inquilino accetta, ma si scopre poi che la soluzione prospettata sarà una polpetta parzialmente avvelenata, una mezza verità.

L’uomo, dopo essere stato medicato al pronto soccorso, è stato accompagnato in un alloggio certamente dignitoso e nel quale la sua compagna può aiutarlo: solo che per stare assieme a lui deve pagare 30 euro a notte, cioè oltre 900,00 euro al mese. Naturalmente di questo non si era parlato.

E’ solo parte della normale ipocrisia istituzionale. Vuol dire: formalmente puoi stare con lui, ma visto che non hai soldi, non ci puoi stare. E’ sempre la solita umiliazione di classe: se hai i soldi puoi fare ciò che vuoi, non li hai non puoi nulla. Il messaggio mai cambia.

Ieri si è tentato di far capire che non è attraverso il suicidio che si possono risolvere le cose, non è accettando di essere colpevolizzati dalle istituzioni per il proprio stato di indigenza che ci si deve disperare, ma che solo dando un senso sociale alla propria protesta, solo inquadrandola in un contesto generale, si può uscire dall’isolamento ed iniziare a chiedere reddito e dignità per tutti.

Solo contestando il concetto di “mancanza di denaro” che ci mettono sotto il naso, perché il denaro per le classi subalterne non lo hanno più o non lo hanno mai, si può aprire un orizzonte di lotta all’interno del quale recuperare la propria dignità.

Silenzio e rassegnazione servono solo a consolidare il potere di coloro che cercano di gestire dall’alto le nostre vite.

 

A seguire il volantino di convocazione del presidio:

 

SE …

 

… le istituzioni che dichiarano di “doversi” far carico dei malati, smettono di farlo;

 

… dicono di voler difendere la famiglia, ma le coppie di fatto valgono solo se si è parlamentari;

 

… anche se sei italiana, la tua colpa è quella di voler bene a qualcuno che viene da un altro paese;

 

… anche se aiuti tu il malato, per affetto certamente, non ti è riconosciuto nulla dalla tua comunità;

 

… risiedi anagraficamente in una casa, ma tutti fanno finta che tu non ci sia, che non conti: forse che essere donna è ancora un elemento di discriminazione?

 

… come malato ti fanno offerte di aiuto solo dopo che escono i volantini di Prendocasa;

 

… ti chiedono di rispettare le regole, ma ai cavatori che devastano il territorio, non ripristinando i terreni come concordato, non si chiede mai nulla se non compaiono comitati di lotta;

 

… chiudono i presidi ospedalieri decentrati, perché se si vive in un paese piccolo si diventa malati di serie B, non si rende abbastanza nella logica dei grandi ospedali costruiti come enti commerciali;

 

… a Nonantola ci sono sedi di emergenza per gli sfrattati, ma gestite da enti di volontariato, mai dalle istituzioni;

 

… i soldi per Giovanni Gidari di Castelfranco Emilia si trovano facilmente, visto che è nello stesso partito di un vicepresidente regionale inquisito, come tutti i capigruppo dei partiti in regione, del resto;

 

… il lavoro degli immigrati con permesso di soggiorno a lunga scadenza rende all’Italia una ricchezza pari ad 1,5 miliardi annui (rapporto Unar);

 

… la divisione tra italiani e stranieri serve solo a dominare meglio le classi subalterne;

 

… i proprietari di case, quei pochi che sono lo stesso persone poco abbienti, non vengono aiutati dalle istituzioni;

 

… i ricchi palazzinari sono gli unici a poter godere dell’appoggio dei politici;

 

… i soldi per la ricostruzione delle zone terremotate o non ci sono o arrivano a singhiozzo;

 

… la politica ignora la volontà popolare, anche quando un referendum come quello sull’acqua ha manifestato una scelta tuttora disattesa dallo stato italiano;

 

… i soldi per la guerra, che siano per il Muos in Sicilia o per comprare gli aerei da guerra ci sono sempre, mentre per le esigenze popolari mai;

 

… i soldi per mandare militari in Piemonte ad occupare un pezzo di Italia per distruggere il trasporto locale con lo sperpero di denaro chiamato TAV, anche se ogni tratta gode di ingerenze mafiose, si trovano sempre;

 

… capiamo che I SOLDI CI SONO E NON VENGONO DESTINATI ALLE CLASSI SUBALTERNE, MA SOLO ALLE CLASSI CHE DOMINANO LA SOCIETA’

 

ALLORA

RESISTENZA E INSUBORDINAZIONE

il 5 mattina per dire ancora una volta: NO AGLI SFRATTI!

Per informazioni: 3317735757

 

Assemblea per il diritto alla casa di Castelfranco – Prendocasa Modena

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