Per i padroni la guerra è sempre un buon affare
E’ il caso della Libia. Agli occhi di molti le bombe italiane e le basi fornite nell’operazione del 2011 avevano il fine di contribuire a liberare il Paese dalla “dittatura del rais Gheddafi”, un uomo ricevuto pochi mesi prima con tutti gli onori dal governo italiano e che possedeva quote importanti del capitale Fiat. Tuttavia, la realtà parla un diverso linguaggio che diventa ancora più chiaro proprio in questi giorni, con la scoperta che ditte Modenesi sono infilate nel calderone della ricostruzione della Libia.
D’altra parte, motivazioni analoghe sono alla base dei venti di guerra che soffiano in Mali, dove ancora una volta l’Italia entra in guerra “donando” gentilmente il proprio territorio per operazioni militati e coloniali (vedi editoriale infoaut http://www.infoaut.org/index.php/blog/editoriali/item/6641-infami-di-guerra ).
La partita della ricostruzione della Libia è un’operazione che ha un valore pari a 37 milioni di euro, che prevede figure manageriali e direzione tecnica di alto livello di provenienza italiana, laddove le maestranze saranno reperite in loco. Infatti, gli accordi contrattuali includono l’organizzazione di un Master in Ingegneria marittima presso la facoltà di ingegneria dell’Università di Modena, che avrà l’obiettivo di formare gli ingegneri libici impegnati nel cantiere.
E’ evidente che la nostra Università, grazie alla stretta collaborazione con l’Accademia Militare, sia sempre più coinvolta in questioni miitari legate all’esercito e in meccanismi neo-coloniali, gestendo in questo caso il lavoro di formazione tecnologica in territorio Libico. Ciò va ad affiancarsi al ruolo che l’istituzione modenese svolge nello studio e nel perfezionamento di tecnologie militari, anche all’interno della collaborazione italiana con l’esercito israeliano.
Ultima nota: ancora una volta è l’economia del mattone locale ad avere un ruolo primario nella vicenda. Infatti, si scopre che tra le ditte interessate a questi accordi è presente anche chi non si fa scrupolo di distruggere il nostro territorio, scavando e creando poli industriali di lavorazione della ghiaia e speculando con la complicità della politica locale sull’uso del territorio per fare soldi. Da anni queste logiche vengono contrastate con abnegazione e mille difficoltà dai comitati No Cave, che lottano per la salvaguardia del proprio territorio e della salute di chi lo abita.
Ebbene, utilizzando la crisi che loro stessi hanno creato drogando il sistema edilizio, ora entrano anche essi nel grande affare dell’“esportazione di democrazia”, rafforzando la loro posizione di potere e, con buona probabilità, ritornando alla carica con il piano estrattivo nella nostra provincia (e non solo), questa volta con la scusa di recuperare materiale per le cosiddette ricostruzioni post-belliche. Ora ci sono ulteriori elementi per comprendere meglio le ragioni dell’incredibile sovradimensionamento delle cave nella provincia di Modena.
Infoaut Modena
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