Piazza Cavallotti, il PD non sa dove è Livorno
La tattica del PD in materia è quindi la solita, logora, di sempre. Far sfogare le persone in assemblee e capannelli, richiami retorici alla legalità per disciplinare le persone, mediare per qualche caso singolo e poi, dal giorno dopo, continuare come sempre.
Fino all’emergenza successiva. Con qualche significativa novità vista nella giornata di ieri. Quella di bombardare gli immigrati della retorica delle comunità religiose (non le loro, naturalmente). Nel pomeriggio di ieri infatti invece di parlare i neri hanno parlato le Acli, i cristiani evangelici, i buddisti (!) e qualche altra comunità che a Livorno conta pochissimo se non niente. Un immigrato ha fatto notare che non era presente l’Imam ma non ha capito, o ha fatto finta di non capire, che parlare con la seconda comunità religiosa a Livorno per il PD è qualcosa di più estraneo della comunicazione con un’astronave. Comunque è l’impostazione coloniale del PD che fa riflettere: si mettono gli immigrati sotto il tallone rule of the law (la legalità) a prescindere se questa abbia un senso, li si ripartisce in comunità etniche e religiose. Politicamente non si fa nulla ma ci si muove così: si agita lo spettro della forza della legge e la suggestione del dialogo tra etnie. Ma, retorica a parte, si tenta di mettere l’immigrato sotto un doppio controllo: di polizia e dei “capi” della comunità. Insomma, al netto della retorica, lasciar marcire un territorio però mettere sotto controllo le persone.
Questa è la strategia (se si può chiamare così) del PD. E quando accadono fatti che escono da questi schemi, buio assoluto. Piazza Cavallotti non è riducibile ad un problema di immigrazione. Ha mostrato un profondo disagio dei livornesi rispetto all’amministrazione, espresso nei confronti dei vigili, che è stato semplicemente rimosso. In fondo meglio concentrarsi sui neri e sulle riunioni per decidere dell’Ikea.
Tra tre anni ai livornesi qualcosa si racconterà. Anzi lo si fa già oggi. Ogni problema che emerge l’amministrazione risponde “non ci sono fondi per colpa dello stato”. Questo dovrebbe suggerire ad un amministratore che l’attività di fund raising diventa centrale per la vita di un territorio, specie il nostro con gravi ipoteche che pesano sul suo futuro. E invece, con due assessori che sono espressione del mondo bancario, altro che centralità della raccolta fondi: si tagliano pezzi vitali dello stato sociale livornese e si affida al Tirreno la propaganda che recita “E’ colpa di Roma”. Perchè il ramo finanziario del comune è impegnato in altre strategie: generare liquidità per favorire la rendita immobiliare e la vita di una zona grigia, fatta di pubblico e privato, che riproduce scatole cinesi di società di diversi settori come se fossero cavallette.
Bisogna aggiungere, per onestà intellettuale, che se il PD non vive veramente a Livorno non c’è nemmeno l’opposizione. Senza fare la lista degli assenti all’assemblea di ieri, che era del partito di governo su un tema caldissimo reso rovente dalla mattinata, il silenzio sulla stampa locale di certi partiti, la sicura assenza di iniziative in materia nei prossimi mesi (per non dire anni) ci rendono un’opposizione non certo resistenziale ma, nel migliore dei casi, esistenziale.
Fino alla prima emergenza grave dove, ne siamo certi, si tirerà fuori un qualche comunicato, un qualche discorso dove si auspicherà l’auspicabile e si chiederà che “i responsabili siano individuati e puniti”.
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