Sorvegliare e punire: vite sotto processo
Ieri mattina si è concluso il processo per la manifestazione del 9 gennaio 2010, quando a Roma centinaia di persone scesero in piazza in solidarietà con la rivolta dei migranti di Rosarno dopo l’ennesima, violenta aggressione razzista.
I giudici della quinta sezione penale hanno assolto “per non aver commesso il fatto” dieci persone dall’accusa di resistenza a pubblico ufficiale, mentre hanno condannato a dieci mesi Paolo Di Vetta, per lesioni a pubblico ufficiale.
Dieci mesi con pena sospesa, a fronte di una richiesta di due anni e sei mesi avanzata dal pm sulla base di una ricostruzione dei fatti di piazza da parte dei funzionari di pubblica sicurezza che gli stessi video depositati a loro sostegno smentiscono, dimostrando tra l’altro come la carica da parte degli agenti sul corteo fosse partita senza nessun innesco da parte dei manifestanti.
Tutti assolti quindi, di fronte alla palese inconsistenza delle accuse, eccetto Paolo, nei cui confronti evidentemente si sta mettendo in atto una vera e propria persecuzione volta a giudicare la sua persona e le sue idee, più che i fatti che gli si contestano.
Una sentenza, da questo punto di vista, in linea con quella del luglio scorso sui fatti del Cipe, quando anche lì di fronte all’inequivocabile evidenza dei fatti il giudice di turno decideva di infliggergli una pena di un anno e sei mesi. Un giudice, lo ricordiamo bene, che chiuso per ore in camera di consiglio riceveva continue “visite” da parte di soggetti evidentemente estranei a quell’aula.
Potremmo continuare ovviamente con il racconto dalle aule di tribunale, ma quello che ci interessa è aprire una riflessione sul pericoloso allineamento tra magistratura, procura e questura che al tempo dei Renzi e degli Alfano hanno palesemente assunto una funzione tutta politica, che punta a essere preventiva e punitiva verso alcuni, e nel contempo dissuasiva e fortemente intimidatoria nei confronti dei tanti e di un intero movimento.
D’altra parte lo stesso Paolo, insieme a Luca, è ancora sottoposto all’obbligo di firma per le lotte contro la precarietà e le riforme del governo Renzi degli ultimi due anni, le richieste di revoca vengono respinte sulla base di sempre nuove informative di polizia – sganciate dai reati per i quali è stata imposta la misura – che danno conto di una presenza attiva di entrambi all’interno dei movimenti sociali di questa città.
Sono decine i compagni e gli attivisti dei movimenti in tutta Italia sottoposti a misure cautelari restrittive della libertà personale agite come condanna anticipata, con le indagini preliminari ancora aperte.
Un paradigma della legalità declinato sugli interessi di un sistema che si deve autotutelare, come dimostrano, paradossalmente, anche le sentenze sui fatti della Diaz e Di Bolzaneto (sono diverse centinaia gli appartenenti alle forze dell’ordine che sono riusciti ad evitare i processi: dalla manovalanza ai vertici delle catene di comando) e di contro le pesantissime condanne per momenti di piazza come Genova e il 15 ottobre, sulla base di reati che risalgono al codice Rocco.
Da parte nostra non possiamo che sostenere con forza Paolo e tutt@ quell@ che insieme a noi si battono con la schiena dritta e a testa alta contro chi si scaglia con violenza sulla nostra libertà e le nostre vite, continuando a lottare quotidianamente in direzione ostinata e contraria, con caparbietà e dignità!
Non un passo indietro!
Blocchi Precari Metropolitani
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