
Colombia: storia del conflitto e analisi dell’accordo Governo-Farc
L’articolo si occupa dell’accordo siglato lo scorso 23 giugno tra governo colombiano e Farc, dalla genesi del conflitto ai possibili sviluppi frutto dell’accordo. Nei prossimi giorni correderemo questa analisi con una intervista audio.
23 GIUGNO 2016. UN GIORNO STORICO
Il 23 giugno i guerriglieri delle Farc Ep e il governo colombiano, dopo quattro anni di negoziati, da L’Avana hanno dichiarato il cessate il fuoco bilaterale e senza termine, presentando una road map che prevede la consegna delle armi, la concentrazione transitoria dei fronti rivoluzionari in 23 zone rurali del paese e otto accampamenti, l’attuazione di un referendum popolare che legittimi gli accordi, la cui campagna elettorale durerà tre mesi, e una lista di garanzie che tutelino la partecipazione politica, la difesa degli attivisti per i diritti umani e la lotta al paramilitarismo. Le Nazioni Unite avranno 45 giorni di tempo per dispiegare sul territorio 300 funzionari civili e militari, disarmati, che dovranno mantenersi a un chilometro di distanza dalle aree di ubicazione delle Farc per verificare che vengano rispettati gli accordi; fuori da queste aree sarà presente l’esercito nazionale. La sottoscrizione ufficiale degli accordi di pace avverrà quando le Nazioni Unite si saranno stabilite sul terreno: a partire da quel momento, la guerriglia marxista leninista avrà 90 giorni di tempo per abbandonare il 30% delle armi e 150 per consegnarne la totalità; in 180 giorni dalla firma, si prevede la fine delle Farc come gruppo militare rivoluzionario.
Il 23 giugno è una data storica, senza alcun dubbio: nessuna delle nove precedenti negoziazioni era arrivata a tanto ma, se la guerra è in parte finita, ciò non coincide con la soluzione del conflitto. La pace deve essere costruita, sicuramente alcune delle premesse sono state poste, ma il percorso è lungo. Per la sua attuazione è fondamentale comprendere il presente e conoscere, per lo meno a grandi linee, la storia contemporanea colombiana.
L’ORIGINE DELLA VIOLENZA E LA NASCITA DELLE FARC
Non si può analizzare la guerra civile colombiana senza risalire alle sue origini e cause: l’assassinio di Jorge Eliecer Gaitán e la fortissima concentrazione della proprietà terriera. Gaitán studiò scienze politiche e giurisprudenza all’Università Nazionale di Bogotá, si laureò con una tesi sul socialismo e ottenne il dottorato a Roma, dove arrivò nel 1926; quando tornò in Colombia fu eletto deputato e lavorò come professore universitario. Dal suo rientro in patria, si scagliò contro il monopolio della terra ottenendo l’appoggio delle classi subalterne; nel 1933 fondò il movimento rivoluzionario de la Unión Nacional Izquierdista, in seguito aderì al partito Liberale, in opposizione al partito Conservatore, e nel 1936 fu eletto sindaco di Bogotà. Nel 1940 fu ministro dell’istruzione e iniziò una grande campagna di alfabetizzazione in tutto il paese, le cui dimensioni sono quattro volte l’Italia. Nel 1945 la sua candidatura alla presidenza fu osteggiata dallo stesso partito liberale, che preferì candidare il moderato Gabriel Turbay, favorendo il candidato conservatore Mariano Ospina Pérez: il turbayismo rappresentò gli interessi della oligarchia commerciale e del vecchio liberalismo, in continuità con i progetti delle presidenze anteriori; quelle di Eduardo Santos, trisavolo dell’ex ministro della difesa di Uribe e attuale presidente della repubblica, Juan Manuel Santos, e di Enrique Olaya
La Violenza in Colombia, nonostante fosse presente da prima, esplose potentemente il 9 aprile del 1948, con il denominato Bogotazo. Jorge Eliecer Gaitán, eletto l’anno precedente a capo del partito liberale, fu assassinato durante un comizio elettorale da Juan Roa Sierra, in seguito crocifisso all’esterno del palazzo presidenziale dalla folla inferocita, che scatenò una rivolta. Fu allora, a partire dalle tre pallottole che colpirono alle spalle Gaitán, che ebbero inizio i dieci anni della Violencia. Dal 1948 i membri del partito liberale, conservatore e comunista organizzarono gruppi di autodifesa e unità guerrigliere, composte per lo più da contadini: tra il 1948 e il 1958, circa 300.000 persone furono assassinate e due milioni, il 20% della popolazione, furono vittime di migrazione forzata.
Nel 1958, i due partiti egemonici, il Liberale ed il Conservatore, firmarono un patto e si unirono nel Frente Nacional, dando vita a un governo di unità nazionale. Più di 10.000 miliziani liberali furono amnistiati e consegnarono le armi, ma la violenza continuò incessante: i gruppi di autodifesa contadina, iscritti al partito comunista, ripiegarono e si organizzarono in quattro zone: due nella cordigliera andina centrale, a Marquetalia, nella regione del Tolima, e a Riochiquito, in quella del Cauca; le altre nella cordigliera orientale, a El Pato e al Guayabero. Cessarono le azioni militari ma non consegnarono le armi.
Nel 1962 fu eletto alla presidenza il conservatore Guillermo León Valencia, rappresentante del Frente Nacional, che precedentemente fu ambasciatore a Madrid, dove era solito accompagnare il dittatore Francisco Franco durante le battute di caccia al cervo al Palacio Real del Pardo. Valencia accusò l’autodifesa contadina di stare organizzando delle intollerabili ‘repubblichette indipendenti’ e decise di sferrare l’offensiva. Il 18 maggio del 1964 iniziò l’operazione Sovranidad: 2400 soldati dell’esercito attaccarono Marquetalia ma i 48 guerriglieri contadini presenti, capitanati da Pedro Antonio Marin Marin, alias Manuel Marulanda Vélez o ‘Tirofijo’, e da Luis Alberto Morantes, alias Jacobo Arenas, riuscirono a fuggire dall’accerchiamento e si ritirarono a Riochiquito, nella regione del Cauca. Qui, a luglio, organizzarono la loro prima conferenza e costituirono il Blocco Sud.
Il 5 maggio del 1966, per la prima volta, si sentì parlare delle Forze Armate Rivoluzionarie Colombiane (FARC), che sostituirono la sigla del Blocco e annunciarono il loro programma agrario. Quest’ultimo puntava a cambiare strutturalmente la politica di distribuzione della terra, confiscando i latifondi e le terre occupate dalle compagnie straniere, per consegnarle ai contadini, favorendo così uno sviluppo della produzione agricola e industriale dal basso. Il programma prevedeva inoltre di cancellare i debiti contratti dai contadini con usurai e istituzioni ufficiali bancarie, costituendo in alternativa un ampio sistema di microcredito con facilitazioni dei pagamenti. Erano inoltre previste l’offerta di servizi sufficienti per rispondere ai bisogni di salute pubblica, un programma di educazione contadina e di eradicazione completa dell’analfabetismo, un sistema di borse di studio per i figli dei contadini, un vasto piano abitativo, la costruzione di vie di comunicazione dai centri rurali di produzione ai centri di consumo e il consolidamento della protezione delle comunità indigene.
PROBLEMI IRRISOLTI
Con le dichiarazioni del 23 giugno e con la firma degli accordi, che dovrebbe seguire entro 45 giorni, hanno fine 52 anni di guerra tra le Farc e lo Stato ma non il conflitto per la terra: i problemi strutturali, che hanno causato la violenza 68 anni fa, sono più attuali che mai. Secondo il settimanale Semana (2012), l’indice rurale di Gini, che calcola la concentrazione della terra e la diseguaglianza tenendo conto di due variabili assolute, lo zero (perfetta distribuzione ed uguaglianza) e l’uno (assolute concentrazione e diseguaglianza), è dello 0,88, uno dei maggiori al mondo: Il 13% della popolazione è proprietaria del 77% della terra e il 30% di quest’ultima è proprietà del 3,6%. La maggiore concentrazione di terra si registra nelle zone dove pascolano grandi mandrie di bovini e nelle aree di estrazione mineraria: 6,6 milioni di ettari (il 15% della superficie agricola del paese) sono stati espropriati durante gli ultimi vent’anni, principalmente dai gruppi paramilitari ma anche dalle guerriglie, alla piccola proprietà contadina; 5,8 milioni di ettari sono stati consegnati allo sfruttamento minerario multinazionale e il 2,5% della terra produttiva è occupata da piantagioni di palma africana e da canna da zucchero, destinate alla produzione di ‘biocombustibili’. Dei 34 milioni di ettari consegnati a partire dal 1991, anno della nuova Costituzione, alle comunità indigene e afro discendenti, appena tre milioni sono adatti all’agricoltura. Il 68% delle proprietà terriere registrate al Catasto è classificato come piccola proprietà e rappresenta appena il 3,6% della superficie agricola totale. L’indice di Gini, applicato alla distribuzione di ricchezza, è dello 0,522: quest’ultimo dato, come riporta la Banca Mondiale (2016), significa che il 10% della popolazione, la più ricca, guadagna quattro volte di più che la popolazione più povera, o meglio impoverita.
In Colombia, i problemi strutturali attuali non sono differenti rispetto a quelli che hanno generato lo scoppio della violenza e della guerra, nel 1948 e nel 1964: oltre alla questione della terra, alcuni diritti fondamentali, come la salute e l’istruzione, continuano a non essere garantiti. Una grande parte della popolazione non ha la possibilità di accedere all’assistenza sanitaria e non termina la scuola dell’obbligo, stabilita ai quindici anni: la percentuale di analfabetismo è quasi del 7% e il 60% della popolazione rurale non ha accesso all’acqua potabile.
FESTA COLOMBIANA, MA FUTURO INCERTO
Il 23 giugno è un giorno di festa. Forse non lo è tanto per coloro che vivono nelle grandi città del paese, lontani dai campi teatro di massacri, bombardamenti e combattimenti, però lo è senza dubbio per le vittime civili, per coloro che fino a ieri hanno dovuto vivere tra l’incudine delle Farc ed il martello dello Stato, per quelli che sono dovuti scappare dalle loro case (sette milioni di persone), popolando i quartieri- ghetto periferici delle grandi città.
Tra il 1958 ed il 2012, secondo il Centro di Memoria Storica del governo, il conflitto armato ha causato la morte di circa 220.000 persone, l’81% delle quali civili. Più di 25.000 persone sono scomparse e duemila sono state vittime di violenza sessuale; 10.000 persone sono morte o rimaste invalide per le mine anti uomo. Gli accordi raggiunti sono una boccata d’ossigeno per il popolo colombiano, ma non rappresentano la soluzione definitiva né alla guerra né al conflitto.
Negli anni ‘60, in
Quello che vi proponiamo è un articolo che ci è giunto in redazione e realizzato da Giorgio Sabaudo, antropologo che vive e lavora in Colombia (in particolare sul tema dello sfruttamento minerario e le Resistenze delle popolazioni indigene alla devastazione del territorio) e Felipe Chica, giornalista indipendente e documentarista colombiano .
L’articolo si occupa dell’accordo siglato lo scorso 23 giugno tra governo colombiano e Farc, dalla genesi del conflitto ai possibili sviluppi frutto dell’accordo. Nei prossimi giorni correderemo questa analisi con una intervista audio.
23 GIUGNO 2016. UN GIORNO STORICO
Il 23 giugno i guerriglieri delle Farc Ep e il governo colombiano, dopo quattro anni di negoziati, da L’Avana hanno dichiarato il cessate il fuoco bilaterale e senza termine, presentando una road map che prevede la consegna delle armi, la concentrazione transitoria dei fronti rivoluzionari in 23 zone rurali del paese e otto accampamenti, l’attuazione di un referendum popolare che legittimi gli accordi, la cui campagna elettorale durerà tre mesi, e una lista di garanzie che tutelino la partecipazione politica, la difesa degli attivisti per i diritti umani e la lotta al paramilitarismo. Le Nazioni Unite avranno 45 giorni di tempo per dispiegare sul territorio 300 funzionari civili e militari, disarmati, che dovranno mantenersi a un chilometro di distanza dalle aree di ubicazione delle Farc per verificare che vengano rispettati gli accordi; fuori da queste aree sarà presente l’esercito nazionale. La sottoscrizione ufficiale degli accordi di pace avverrà quando le Nazioni Unite si saranno stabilite sul terreno: a partire da quel momento, la guerriglia marxista leninista avrà 90 giorni di tempo per abbandonare il 30% delle armi e 150 per consegnarne la totalità; in 180 giorni dalla firma, si prevede la fine delle Farc come gruppo militare rivoluzionario.
Il 23 giugno è una data storica, senza alcun dubbio: nessuna delle nove precedenti negoziazioni era arrivata a tanto ma, se la guerra è in parte finita, ciò non coincide con la soluzione del conflitto. La pace deve essere costruita, sicuramente alcune delle premesse sono state poste, ma il percorso è lungo. Per la sua attuazione è fondamentale comprendere il presente e conoscere, per lo meno a grandi linee, la storia contemporanea colombiana.
L’ORIGINE DELLA VIOLENZA E LA NASCITA DELLE FARC
Non si può analizzare la guerra civile colombiana senza risalire alle sue origini e cause: l’assassinio di Jorge Eliecer Gaitán e la fortissima concentrazione della proprietà terriera. Gaitán studiò scienze politiche e giurisprudenza all’Università Nazionale di Bogotá, si laureò con una tesi sul socialismo e ottenne il dottorato a Roma, dove arrivò nel 1926; quando tornò in Colombia fu eletto deputato e lavorò come professore universitario. Dal suo rientro in patria, si scagliò contro il monopolio della terra ottenendo l’appoggio delle classi subalterne; nel 1933 fondò il movimento rivoluzionario de la Unión Nacional Izquierdista, in seguito aderì al partito Liberale, in opposizione al partito Conservatore, e nel 1936 fu eletto sindaco di Bogotà. Nel 1940 fu ministro dell’istruzione e iniziò una grande campagna di alfabetizzazione in tutto il paese, le cui dimensioni sono quattro volte l’Italia. Nel 1945 la sua candidatura alla presidenza fu osteggiata dallo stesso partito liberale, che preferì candidare il moderato Gabriel Turbay, favorendo il candidato conservatore Mariano Ospina Pérez: il turbayismo rappresentò gli interessi della oligarchia commerciale e del vecchio liberalismo, in continuità con i progetti delle presidenze anteriori; quelle di Eduardo Santos, trisavolo dell’ex ministro della difesa di Uribe e attuale presidente della repubblica, Juan Manuel Santos, e di Enrique Olaya
La Violenza in Colombia, nonostante fosse presente da prima, esplose potentemente il 9 aprile del 1948, con il denominato Bogotazo. Jorge Eliecer Gaitán, eletto l’anno precedente a capo del partito liberale, fu assassinato durante un comizio elettorale da Juan Roa Sierra, in seguito crocifisso all’esterno del palazzo presidenziale dalla folla inferocita, che scatenò una rivolta. Fu allora, a partire dalle tre pallottole che colpirono alle spalle Gaitán, che ebbero inizio i dieci anni della Violencia. Dal 1948 i membri del partito liberale, conservatore e comunista organizzarono gruppi di autodifesa e unità guerrigliere, composte per lo più da contadini: tra il 1948 e il 1958, circa 300.000 persone furono assassinate e due milioni, il 20% della popolazione, furono vittime di migrazione forzata.
Nel 1958, i due partiti egemonici, il Liberale ed il Conservatore, firmarono un patto e si unirono nel Frente Nacional, dando vita a un governo di unità nazionale. Più di 10.000 miliziani liberali furono amnistiati e consegnarono le armi, ma la violenza continuò incessante: i gruppi di autodifesa contadina, iscritti al partito comunista, ripiegarono e si organizzarono in quattro zone: due nella cordigliera andina centrale, a Marquetalia, nella regione del Tolima, e a Riochiquito, in quella del Cauca; le altre nella cordigliera orientale, a El Pato e al Guayabero. Cessarono le azioni militari ma non consegnarono le armi.
Nel 1962 fu eletto alla presidenza il conservatore Guillermo León Valencia, rappresentante del Frente Nacional, che precedentemente fu ambasciatore a Madrid, dove era solito accompagnare il dittatore Francisco Franco durante le battute di caccia al cervo al Palacio Real del Pardo. Valencia accusò l’autodifesa contadina di stare organizzando delle intollerabili ‘repubblichette indipendenti’ e decise di sferrare l’offensiva. Il 18 maggio del 1964 iniziò l’operazione Sovranidad: 2400 soldati dell’esercito attaccarono Marquetalia ma i 48 guerriglieri contadini presenti, capitanati da Pedro Antonio Marin Marin, alias Manuel Marulanda Vélez o ‘Tirofijo’, e da Luis Alberto Morantes, alias Jacobo Arenas, riuscirono a fuggire dall’accerchiamento e si ritirarono a Riochiquito, nella regione del Cauca. Qui, a luglio, organizzarono la loro prima conferenza e costituirono il Blocco Sud.
Il 5 maggio del 1966, per la prima volta, si sentì parlare delle Forze Armate Rivoluzionarie Colombiane (FARC), che sostituirono la sigla del Blocco e annunciarono il loro programma agrario. Quest’ultimo puntava a cambiare strutturalmente la politica di distribuzione della terra, confiscando i latifondi e le terre occupate dalle compagnie straniere, per consegnarle ai contadini, favorendo così uno sviluppo della produzione agricola e industriale dal basso. Il programma prevedeva inoltre di cancellare i debiti contratti dai contadini con usurai e istituzioni ufficiali bancarie, costituendo in alternativa un ampio sistema di microcredito con facilitazioni dei pagamenti. Erano inoltre previste l’offerta di servizi sufficienti per rispondere ai bisogni di salute pubblica, un programma di educazione contadina e di eradicazione completa dell’analfabetismo, un sistema di borse di studio per i figli dei contadini, un vasto piano abitativo, la costruzione di vie di comunicazione dai centri rurali di produzione ai centri di consumo e il consolidamento della protezione delle comunità indigene.
PROBLEMI IRRISOLTI
Con le dichiarazioni del 23 giugno e con la firma degli accordi, che dovrebbe seguire entro 45 giorni, hanno fine 52 anni di guerra tra le Farc e lo Stato ma non il conflitto per la terra: i problemi strutturali, che hanno causato la violenza 68 anni fa, sono più attuali che mai. Secondo il settimanale Semana (2012), l’indice rurale di Gini, che calcola la concentrazione della terra e la diseguaglianza tenendo conto di due variabili assolute, lo zero (perfetta distribuzione ed uguaglianza) e l’uno (assolute concentrazione e diseguaglianza), è dello 0,88, uno dei maggiori al mondo: Il 13% della popolazione è proprietaria del 77% della terra e il 30% di quest’ultima è proprietà del 3,6%. La maggiore concentrazione di terra si registra nelle zone dove pascolano grandi mandrie di bovini e nelle aree di estrazione mineraria: 6,6 milioni di ettari (il 15% della superficie agricola del paese) sono stati espropriati durante gli ultimi vent’anni, principalmente dai gruppi paramilitari ma anche dalle guerriglie, alla piccola proprietà contadina; 5,8 milioni di ettari sono stati consegnati allo sfruttamento minerario multinazionale e il 2,5% della terra produttiva è occupata da piantagioni di palma africana e da canna da zucchero, destinate alla produzione di ‘biocombustibili’. Dei 34 milioni di ettari consegnati a partire dal 1991, anno della nuova Costituzione, alle comunità indigene e afro discendenti, appena tre milioni sono adatti all’agricoltura. Il 68% delle proprietà terriere registrate al Catasto è classificato come piccola proprietà e rappresenta appena il 3,6% della superficie agricola totale. L’indice di Gini, applicato alla distribuzione di ricchezza, è dello 0,522: quest’ultimo dato, come riporta la Banca Mondiale (2016), significa che il 10% della popolazione, la più ricca, guadagna quattro volte di più che la popolazione più povera, o meglio impoverita.
In Colombia, i problemi strutturali attuali non sono differenti rispetto a quelli che hanno generato lo scoppio della violenza e della guerra, nel 1948 e nel 1964: oltre alla questione della terra, alcuni diritti fondamentali, come la salute e l’istruzione, continuano a non essere garantiti. Una grande parte della popolazione non ha la possibilità di accedere all’assistenza sanitaria e non termina la scuola dell’obbligo, stabilita ai quindici anni: la percentuale di analfabetismo è quasi del 7% e il 60% della popolazione rurale non ha accesso all’acqua potabile.
FESTA COLOMBIANA, MA FUTURO INCERTO
Il 23 giugno è un giorno di festa. Forse non lo è tanto per coloro che vivono nelle grandi città del paese, lontani dai campi teatro di massacri, bombardamenti e combattimenti, però lo è senza dubbio per le vittime civili, per coloro che fino a ieri hanno dovuto vivere tra l’incudine delle Farc ed il martello dello Stato, per quelli che sono dovuti scappare dalle loro case (sette milioni di persone), popolando i quartieri- ghetto periferici delle grandi città.
Tra il 1958 ed il 2012, secondo il Centro di Memoria Storica del governo, il conflitto armato ha causato la morte di circa 220.000 persone, l’81% delle quali civili. Più di 25.000 persone sono scomparse e duemila sono state vittime di violenza sessuale; 10.000 persone sono morte o rimaste invalide per le mine anti uomo. Gli accordi raggiunti sono una boccata d’ossigeno per il popolo colombiano, ma non rappresentano la soluzione definitiva né alla guerra né al conflitto.
Negli anni ‘60, infatti, oltre alle Farc, si conformarono l’Esercito di Liberazione Nazionale (ELN), d’ispirazione cubano guevarista, e l’Esercito Popolare di Liberazione (EPL), maoista, che tuttora sono attivi e controllano alcune aree del paese. Con il disarmo delle Farc, termina solo una parte della guerra. L’ELN ed il governo, il 30 marzo, hanno annunciato l’inizio dei dialoghi di pace, ma finora le prospettive non sono particolarmente rosee. Negli anni ‘90, finanziati e protetti dall’oligarchia latifondista, ebbero origine i gruppi paramilitari di estrema destra, smobilizzatisi dal 2003 ma tuttora attivi in differenti gruppi con nomi nuovi (Aguilas Negras, Rastrojos, Gaitanistas, Urabeños, Oficina de Envigado e altri). Il rischio è che anche questi gruppi neo paramilitari, oltre all’ELN, prendano il controllo delle aree che presto non saranno più sotto il controllo delle Farc; la paura è che si possa replicare quanto accaduto ai militanti dell’Unión Patriotica (UP), partito politico nato nel 1985 come parte di una proposta politica legale di vari gruppi guerriglieri, durante gli accordi di pace tra il governo di Belisario Betancourt e le Farc. Della UP furono eletti 16 sindaci, 256 consiglieri comunali e 16 rappresentanti al Congresso; in vent’anni cinquemila militanti furono assassinati da sicari e paramilitari, tra loro due candidati presidenziali e 13 parlamentari.
La richiesta popolare di giustizia sociale e le politiche economiche neoliberali pianificate da Juan Manuel Santos rappresentano due visioni del futuro inconciliabili: il governo sta consegnando il paese all’economia estrattiva, portata avanti da un pugno di multinazionali canadesi, nordamericane, cinesi ed europee; l’oro risulta essere la nuova cocaina, rende dieci volte tanto e per questo costituisce la nuova fonte di introito dei gruppi illegali e paramilitari organizzati, sovente collusi a livelli istituzionali. Come dichiarato da Juan Carlos Echeverry, presidente della società pubblica Ecopetrol, la smobilitazione delle Farc permetterà l’estrazione petrolifera e mineraria in zone recondite del paese, off limits fino ad oggi per la guerra. Questi fattori sociali ed economici rischiano di creare un contorno socio ambientale estremamente critico, non esente da duri conflitti con le comunità rurali, contadine, indigene o afro discendenti. Per questo, il 23 giugno è stato un giorno di forti emozioni, spesso contrastanti: di felicità e commozione nel vedere una speranza per le prossime generazioni; di paura e scetticismo per le profonde contraddizioni del presente e per gli esempi del recente passato,
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