
Dopo il Burkina Faso il Togo: assedio al regime di Lomé
Nella giornata di ieri, dopo aver deviato dal percorso previsto della manifestazione della “CAP2015” per dirigersi verso il parlamento, i manifestanti hanno affrontato a colpi di pietre i lacrimogeni della polizia, prima di essere temporaneamente dispersi. Anche in questo contesto il casus belli è dato dal tentativo di Gnassingbé di presentarsi per un nuovo mandato, il prossimo anno, dopo che suo padre aveva eliminato nel 2002 ogni limite alla possibilità di ricandidarsi.
Intanto in Burkina Faso continua la fase di transizione. Dopo le proteste contro il breve interregno di Isaac Zida, ex-numero due della guardia presidenziale, la piazza ha ottenuto un secondo, parziale successo: l’impedimento dell’avvicendamento di una giunta militare alla guida del paese. Sotto le pressioni in tal senso di attori internazionali come l’Unione Africana, Zida è divenuto primo ministro di un esecutivo a termine guidato dal vecchio diplomatico Kafando, per portare il paese a nuove elezioni entro un anno: in questo termine ed oltre, resta la sfida per i movimenti del Balai Citoyen, artefici della resa di Compaoré, di continuare la rivoluzione sankarista laddove si era interrotta. Lo stesso governo di transizione, alla ricerca di legittimazione, ha peraltro disposto la riesumazione dei resti del comandante rivoluzionario burkinabé da una fossa comune.
Un quadro, quello dell’Africa Occidentale, in cui lo tsunami di capitali in fuga dai depressi mercati occidentali e dagli smottamenti dei BRICS, l’incrementale diffusione di vecchi e nuovi mezzi di comunicazione (dalle radio rurali burkinabé alla nuova dorsale internet che circumnaviga il continente), le tensioni provocate dai conflitti post-2011 e dagli interventi occidentali e l’esposizione mediatica delle rivolte globali stanno minando il dominio degli “uomini forti” di turno. Aumentando i focolai d’instabilità, ma anche gli spazi di possibilità per nuove opzioni rivoluzionarie, ancora tutte da inventare ed inchiestare.
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