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Ferguson, svelate le convergenze tra razzismo, polizia e istituzioni

La seconda indagine – in evidente contraddizione con quanto espresso nella prima – ha evidenziato come le autorità locali abbiano sistematicamente violato i diritti dei cittadini neri, mentre dalle carte emerge come moltissimi agenti di polizia “ritengano alcuni residenti, soprattutto quelli che vivono nei quartieri afro-americani di Ferguson, non come cittadini da difendere ma piuttosto come potenziali delinquenti e fonti di reddito”.

Il Dipartimento di Giustizia ha infatti reso pubbliche diverse e-mail inviate da funzionari di Ferguson negli ultimi anni che rivelano pregiudizi razziali non troppo velati; in una di queste il presidente Barack Obama viene descritto come uno scimpanzé, un’altra descrive gli afroamericani come “disoccupati, pigri, incapaci di parlare inglese”, un’altra ancora contiene barzellette contro i musulmani.

La Divisione dei Diritti Civili ha inoltre rilevato che nel sobborgo di Ferguson la combinazione tra i pregiudizi razziali degli agenti e l’attenzione maniacale dell’amministrazione nel voler generare entrate sulla sicurezza pubblica ha provocato effetti profondi sulla polizia e persino sui tribunali: sembra infatti che funzionari della città, forze dell’ordine e Corte “abbiano lavorato in concerto per massimizzare i ricavi in ogni fase del processo di arresto e detenzione” per diversi anni.

Le statistiche sulla criminalità compilate in città negli ultimi due anni sembravano suggerire come solo gli afroamericani siano capaci infrangere la legge: rappresentano infatti l’85% delle persone fermate alla guida, il 90% delle multe somministrate e  il 93% degli arresti compiuti. In casi di reati minori – come l’attraversamento col rosso, che spesso si basa sulla discrezione degli agenti – i neri hanno rappresentato il 95% degli arresti complessivi.  Tutto questo nonostante la cittadina di Ferguson sia composta per oltre un terzo da bianchi (i quali, statisticamente, anche qualora venissero incriminati, hanno il 68% di probabilità in più di vedere i loro casi respinti dalla Corte).

Insomma, in poche parole, si può dire che l’amministrazione locale incentivasse l’arresto e la discriminazione dei cittadini di colore in modo da far fruttare economicamente eventuali entrate provenienti dalla necessità di rafforzare gli apparati di pubblica sicurezza. “Tutto riguarda la Corte…la priorità della Corte sono soldi”, come ha riferito un agente di Ferguson agli investigatori federali. Il rapporto descrive infatti diverse istanze di dipendenti che hanno abusato dei loro poteri, ma rivela anche che diversi altri comuni hanno adottato la medesima prassi razzista e segregazionista utilizzata a Ferguson.

Questo ennesimo episodio – che tanto scandalo sta destando negli USA, dove l’accento viene ovviamente posto non tanto sul razzismo strutturale che impregna qualunque luogo dell’amministrazione pubblica, quanto sulle pratiche illecite che avrebbero “violato Costituzione e leggi federali” – chiude il cerchio attorno all’omicidio di Mike Brown, laddove in tanti avevano tentato di raccontare l’ennesima storia di “mele marce” invece di sottolineare un episodio che ha rappresentato la goccia in grado di fare traboccare un vaso in cui erano rinchiusi anni di tensioni represse e ingiustizia sociale.

Non a caso, i fatti di Ferguson sono tenuti sotto strettissima osservazione dal  Procuratore generale Eric Holder e dal dipartimento di giustizia, tanto da far parlare il New York Times di un’attenzione nelle indagini che non si verificava dal 1994, dopo che il pestaggio di Rodney King da parte della polizia di Los Angeles aveva scatenato settimane di tumulti e sommosse. Proprio Holder, su pressione della Casa Bianca, sta rilasciando dichiarazioni in cui promette un “cambiamento radicale” nel dipartimento di polizia di Ferguson, anche a fronte degli oltre 20 avvisi di garanzia inviati ad altrettanti “tutori dell’ordine” nella cittadina del Missouri.

Le stanche (e gravemente tardive) ramanzine di Obama, però, dovranno fare i conti con un ambiente non facile da convincere, soprattutto agli albori di una nuova campagna elettorale. Se infatti l’amministrazione democratica ha buon viso nel proporre una riforma federale che porti nuovo equilibrio nelle forze di polizia, dovrà fare i conti in primo luogo con quell’ampio segmento di opinione pubblica (in prevalenza bianco, ma non per forza conservatore) che vede nel “cedimento” del Governo di fronte alle proteste degli ultimi mesi un grave precedente che altro non può che condurre all’ingovernabilità e al caos (in questo senso rimane esemplificativo lo “sciopero bianco” della polizia di New York iniziato lo scorso dicembre).

Dall’altro lato, invece, questo episodio non fa che confermare quanto sostenuto dalle migliaia di persone scese in strada in tutto il paese sotto lo slogan “Black Lives Matter”, ossia che quello relativo alla gestione razzista e discriminatoria degli arresti da parte della polizia è più di un problema, molto più di una sfortunata serie di eventi: rappresenta invece una ritualità – marcia, corrotta e stantia – da debellare al più presto con ogni mezzo e azione necessaria. Ancora una volta, vale la pena ripeterlo, non è una mela marcia a costituire l’eccezione, né il cesto ad essere guasto, bensì l’albero intero che è completamente andato a male. E’ arrivato il momento di tagliarlo.

Leggi il rapporto completo sulla polizia di Ferguson:

   DOJ: Ferguson Police report

 

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