Hamas attacca Israele: nuovo capitolo dell’occupazione israeliana.
L’attualità e l’urgenza di prendere parola.
Come noto, all’alba del 7 ottobre 2023 Hamas, gruppo miliziano islamista palestinese, ha sferrato un attacco armato contro Israele. Almeno 5mila razzi sono partiti dalla Striscia di Gaza, mentre decine di miliziani palestinesi sono penetrati nel territorio di Israele, utilizzando anche paracaduti e parapendii a motore.
Diversi razzi hanno superato il sistema di difesa Iron Dome, colpendo nel sud e nel centro di Israele, da Tel Aviv e Gerusalemme, si è combattuto in almeno una decina di città di confine.
Israele ha immediatamente dichiarato lo stato di guerra rispondendo con massicci attacchi aerei che da giorni martoriano la striscia di Gaza, preludio di un’annunciata operazione via terra che vedrà un dispiegamento senza precedenti di truppe; si parla di 300 mila riservisti richiamati.
L’operazione di Hamas, alla quale sembra sia stato dato sostegno anche da altre fazioni della resistenza palestinese, ha naturalmente scosso l’opinione pubblica mondiale. Nel solo primo giorno di assalto, sono state più di 1000 le vittime e oltre 100 i rapiti, con alcuni episodi di violenza sui civili israeliani che hanno portato ad una condanna unanime negli archi politici istituzionali internazionali.
In Italia, ancora una volta la stampa e il governo si sono esibiti in una nevrotica rincorsa a dichiarazioni sensazionaliste e belligeranti con scomuniche da guerra santa.
La solita ipocrisia di chi si commuove davanti ai giovani uccisi ad un festival in Israele ma non davanti alla segregazione e al lutto quotidiano delle oltre due milioni di persone che vivono nella striscia di gaza.
Analogamente a quanto abbiamo assistito circa l’invasione russa dell’Ucraina, è in atto una propaganda guerrafondaia volta a giustificare la stretta della cinghia o l’arrivo del peggio.
Perché purtroppo, almeno in Palestina, il peggio sembra essere in vista.
La Striscia di Gaza si trova senza elettricità, senza carburante con deficienze idriche ed alimentari, una prigione a cielo aperto alla quale sono stati bloccati tutti gli aiuti umanitari. Ci sono già oltre mille vittime e migliaia di feriti, le corrispondenze che arrivano da attivisti e abitanti della striscia sono disperate.
Mentre assistiamo ad una angosciante cronaca quotidiana, dobbiamo trovare la forza tornare in piazza. Dobbiamo pretendere una tregua immediata, premere affinché siano riattivati gli aiuti umanitari alla striscia, e continuare a rivendicare l’autodeterminazione e il diritto alla terra del popolo palestinese che da oltre settant’anni subisce un’occupazione militare coloniale.
Di seguito riportiamo alcuni appuntamenti raccolti dai Giovani Palestinesi d’Italia rispetto alle giornate di mobilitazione previste in Italia :
Il contesto.
Cerchiamo di fare un punto della situazione, per quanto complessa e delicata sia: partiamo da Hamas, gruppo politico paramilitare che controlla la striscia di Gaza.
Hamas è una fazione della resistenza palestinese dal carattere fortemente nazionalista e confessionale, viene considerata l’espressione dei Fratelli Musulmani nella Striscia. Il genere di Islam professato da Hamas è il cosiddetto Islam sociale, tanto che il radicamento di questo gruppo in Palestina inizialmente è avvenuto principalmente attraverso le fondazioni caritatevoli di supporto alla popolazione. Ciò va sottolineato perché la natura di questo Islam, sebbene con tratti conservatori e tutt’altro che laici, è ben diversa da quella di compagini fondamentaliste quali l’ISIS ed Al Qaeda. Senza dubbio negli ultimi anni sono emerse venature più scioviniste nelle tattiche messe in campo da Hamas che vanno considerate all’interno del quadro di un genocidio prolungato messo in atto da parte dello Stato Israeliano nei confronti della popolazione palestinese. Hamas è la nemesi dell’occupazione israeliana, prodotta dalla segregazione supportata e taciuta da tutto l’Occidente.
Più precisamente dagli Stati Uniti che, per contrastare l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp) e il Fronte Popolare di Liberazione della Palestina hanno ampiamente finanziato in una prima fase l’organizzazione legata ai Fratelli Musulmani. Una storia già vista? Non solo, gli stessi israeliani hanno favorito Hamas con l’idea di destabilizzare il quadro politico palestinese.
Dunque, gli avvenimenti di questi giorni non sono altro che i figli legittimi del colonialismo, delle manovre geopolitiche USA e dell’esasperazione di un popolo messo in ginocchio da un governo, quello di Israele, che ha perpetrato una politica terrorista e genocida.
E’ necessaria un’analisi più ampia della giustizia internazionale in cui Israele è stato inserito e riconoscere le innumerevoli violazioni fatte in tal senso dalla potenza occupante: per esempio insediamenti come quelli in Cisgiordania sono considerati illegittimi dal diritto internazionale esattamente come lo è il muro diventato famoso negli ultimi giorni per il suo abbattimento. Esso fa parte di una serie di barriere fisiche costruite da Israele a partire dal 2002. Consiste in un alternarsi di mura e reti elettrificate che proprio in questi giorni sono state abbattute dai bulldozer palestinesi.
Questa costruzione era stata già dai primi anni dichiarata illegittima dalla Corte Internazionale di Giustizia, che nel 2003 aveva intimato a Israele di smantellare quel che aveva già costruito e risarcire danni fisici e morali eventuali avvenuti a causa dei lavori. Israele non solo non ha fermato l’opera e l’ha giustificata in nome della lotta al terrorismo, in un momento in cui non vi erano motivi di pensare ad un eventuale attacco palestinese, ma ha continuato la sua espansione coloniale.
Il mancato rispetto degli accordi di Oslo, mai sanzionato o ricordato, e le continue operazioni militari su Gaza da “Piombo Fuso” a “Scudo e Freccia” hanno dato l’illusione ad Israele di aver fiaccato la resistenza palestinese. I governi israeliani hanno scommesso su una lenta e nascosta pulizia etnica con la residualità dell’ANP e su una normalizzazione dei rapporti con i paesi arabi. Hamas sembrava annichilita nella gestione della Striscia di Gaza e quasi sfidata nell’egemonia da altre fazioni islamiche più radicali. In realtà il movimento palestinese nelle sue diverse fazioni negli ultimi anni ha in parte superato le divisioni interne anche a fronte di una violenza dell’avversario sempre più pervasiva. L’occhio delle forze di sicurezza israeliane era puntato sulla Cisgiordania a fronte di una nuova ripresa del conflitto.
L’operazione messa in campo da Hamas ha voluto ricordare che il popolo palestinese ancora esiste e che i conti non sono chiusi evidenziando le debolezze di Israele e costringendo il mondo a puntare nuovamente lo sguardo su quei luoghi. Non c’è da stupirsi che i palestinesi sempre più segregati ed esasperati si rivolgano a coloro che possono dargli una speranza di rottura.
Ci troviamo di fronte ad un contesto complesso di cui i media annullano ogni complessità storica e politica.
Tutto questo non cancella le criticità che possono sollevarsi su Hamas ma non bisogna dimenticare di allargare il punto d’osservazione. I leader di Hamas hanno parlato di una risposta alle violenze contro i fedeli di Gerusalemme e i costanti attacchi dei coloni civili palestinesi. Sono infatti millecento i palestinesi che han perso la casa nell’area che secondo accordi di Oslo dovrebbe essere palestinese. A causa degli avamposti agricoli protetti da Israele che rubano la terra e scacciano la popolazione.
Questa situazione si somma al taglio dei fondi internazionali ai palestinesi con l’Onu che non avrà più la possibilità di venire incontro ai bisogni alimentari a Gaza. Nella striscia vi è una soglia di disoccupazione pari al 48% e una soglia di povertà intorno al 60%. Il 50% d’acqua non è potabile e spesso è senza elettricità per più di 12 ore al giorno. Anno dopo anno l’occupazione israeliana è divenuta sempre più mortale.
Israele è la versione più cinica ed estrema della segregazione sociale (e spesso etnica) organizzata dentro il sistema capitalista.
Non si può però comprendere quanto sta succedendo in Palestina senza prendere in considerazione il quadro internazionale e la moltiplicazione delle linee di tensione: il ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan è stata la prima tessera di un domino che a cascata sta riaprendo ferite più o meno antiche. Il monopolio della violenza da parte del gendarme globale e dei suoi alleati è oggi come non mai in discussione ed i popoli sottoposti al colonialismo vecchio e nuovo si rendono conto che si apre uno spazio di possibilità in questo contesto, con un costo a volte pesantissimo, ma comunque con più speranze rispetto a qualche decennio fa. Questa instabilità, che viene vista come fumo negli occhi da una parte considerevole delle elites occidentali, è la storia che si rimette in marcia, in maniera confusa, convulsa e contraddittoria. Se vogliamo che questa marcia non vada a finire nella direzione della barbarie dobbiamo uscire dalla nostra postura inerme e giudicante e scegliere di stare dalla parte del cambiamento possibile con la giusta attenzione critica, anche quando è complesso e contraddittorio, sondando il terreno perché la marcia della storia, che lo vogliamo o no, passerà anche di qua.
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