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Ilan Pappe: Le formazioni socio-politiche dietro il governo neo-sionista di Israele

Due mesi dopo l’elezione del nuovo governo di Israele, il quadro offuscato sta diventando più chiaro, e sembra che si possano offrire alcuni spunti più informati circa la sua composizione, personalità, e le possibili politiche future e reazioni ad esse.

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Di Ilan Pappe – 6 gennaio 2023

Immagine di copertina: Una riunione di gabinetto del nuovo governo israeliano. (Foto: pagina TW del primo ministro israeliano)

Due mesi dopo l’elezione del nuovo governo di Israele, il quadro offuscato sta diventando più chiaro, e sembra che si possano offrire alcuni spunti più informati circa la sua composizione, personalità, e le possibili politiche future e reazioni ad esse.

Non sarebbe esagerato definire Benjamin Netanyahu come il membro meno estremista di questo governo, che illustra le personalità e le politiche di tutti gli altri.

Ci sono tre grandi gruppi nel governo, e non mi riferisco qui a vari partiti politici, ma piuttosto a formazioni socio-politiche.

Sionizzazione degli ebrei ultraortodossi

Nel primo gruppo ci sono gli ebrei ultraortodossi, sia gli ebrei ortodossi europei che quelli arabi. Ciò che li caratterizza è il processo di sionizzazione che hanno subito dal 1948.

Da un ruolo marginale in politica, solo per il bene delle loro comunità, appartengono ora ai capitani di questo nuovo Stato. Dall’essere moderati e aderenti ai sacri precetti ebraici che non consentono la sovranità ebraica in Terra Santa, ora emulano la destra laica israeliana: sostenendo la colonizzazione in Cisgiordania, l’assedio della Striscia di Gaza, l’uso del linguaggio razzista nei confronti dei palestinesi dove stanno sostenendo politiche dure e aggressive e, allo stesso tempo, cercando di impadronirsi dello spazio pubblico e giudaizzarlo, secondo la loro versione rigorosa dell’ebraismo.

L’unica eccezione è Neturei Karata, fedele al loro antisionismo di lunga data e solidale con i palestinesi.

Ebrei religiosi nazionali

Nel secondo gruppo ci sono gli ebrei religiosi nazionali, che vivono per lo più in colonie, su terra palestinese espropriata in Cisgiordania, e che hanno recentemente creato “centri di formazione” di coloni nel mezzo di città miste arabo-ebraiche in Israele.

Sostengono sia le politiche criminali dell’esercito israeliano che le azioni dei coloni che molestano i palestinesi, sradicando i loro frutteti, sparando contro di loro e contestando il loro stile di vita.

Il loro scopo è quello di dare sia all’esercito che a questi coloni una più ampia libertà nell’opprimere la Cisgiordania occupata, con la speranza di spingere più palestinesi ad andarsene. Questo gruppo è anche la spina dorsale del comando dei servizi segreti israeliani e domina i quadri degli alti ufficiali dell’esercito.

I due gruppi fin qui citati condividono il desiderio di imporre un Apartheid più oppressivo all’interno di Israele contro i cittadini arabi israeliani e, allo stesso tempo, iniziano una crociata contro la comunità LGBT chiedendo una più rigorosa emarginazione delle donne nello spazio pubblico.

Condividono anche una visione messianica e credono di essere ora in grado di attuarla. Al centro di questa visione c’è la giudaizzazione dei luoghi sacri che ora sono “ancora” islamici o cristiani. Il sito più ambito è Haram al-Sharif.

Il primo atto è stata la provocatoria visita del Ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben Gvir all’Haram. Il passo successivo avverrà durante la Pasqua ebraica, con un tentativo di invadere completamente l’Haram con preghiere e ministri ebrei. Azioni simili saranno intraprese a Nablus, Hebron e Betlemme. Fino a che punto si spingeranno è difficile da prevedere.

Emarginazione degli ebrei laici del Likud

Il secondo gruppo ha rappresentanti anche nel maggior partito di governo, il Likud. Ma la maggior parte dei membri del Likud fa parte di un terzo gruppo socio-politico: gli ebrei laici che aderiscono anche loro alle pratiche ebraiche tradizionali.

Cercano di distinguersi affermando che il liberalismo economico e politico è ancora un pilastro importante nella piattaforma politica del Likud. Netanyahu era uno di loro, ma ora sembra abbandonarli quando si tratta di spartirsi il bottino, vale a dire emarginarli nel governo. Ha bisogno degli altri più che del suo stesso partito, per evitare il processo e restare al potere.

Il progetto sionista

I membri di spicco di tutti questi gruppi sono arrivati ​​con iniziative legislative e politiche preconfezionate: tutte, senza alcuna eccezione, hanno lo scopo di consentire a un governo di estrema destra di fare a meno di ciò che resta della farsa chiamata democrazia israeliana.

La prima iniziativa è già iniziata, sterilizzando il sistema giudiziario in modo tale che non sia in grado, se mai lo volesse, di difendere i diritti delle minoranze in generale o quello dei palestinesi più specificamente.

In verità, tutti i precedenti governi israeliani sono stati insiti di questo totale disprezzo per i diritti civili e umani dei palestinesi. Questa è solo una fase per renderla più costituzionale, più convenzionale e più palese, senza alcun tentativo di nascondere l’obiettivo che c’è dietro: acquisire quanta più Palestina storica possibile con il minor numero possibile di palestinesi.

Tuttavia, se questo si materializzerà in futuro, porterà Israele più a fondo nel suo destino neo-sionista; vale a dire, il vero compimento e la maturazione del progetto sionista: uno spietato progetto colonialista, costruito su Apartheid, pulizia etnica, occupazione, colonizzazione e politiche genocide.

Un progetto finora sfuggito ad ogni rimprovero significativo da parte dell’Occidente e tollerato dal resto del mondo, anche se censurato e respinto da molti nella società civile globale. Finora, è solo grazie alla resistenza e alla resilienza palestinese che non è riuscito a trionfare.

La fine del “Grande Israele”

Questa nuova realtà porta in primo piano una serie di domande, che ci si deve porre, anche se al momento non si può rispondere.

I governi arabo e musulmano, che solo di recente hanno aderito alla legittimazione di questa farsa, si renderanno conto che non è troppo tardi per cambiare rotta?

Riusciranno i nuovi governi di sinistra, come quello eletto in Brasile, ad aprire la strada a un cambio di atteggiamento dall’alto che rispecchi democraticamente quello che si chiede dal basso?

E le comunità ebraiche saranno abbastanza scioccate da svegliarsi dal sogno del “Grande Israele” e realizzare il pericolo dell’attuale Israele, non solo per i palestinesi ma anche per gli ebrei e l’ebraismo?

Sono domande a cui non è facile rispondere. Ciò che possiamo invocare è, ancora una volta, un appello all’unità palestinese in modo da intensificare la lotta contro questo governo e l’ideologia che rappresenta. Tale unità diventerebbe una bussola per un potente fronte globale che è già lì, grazie al movimento BDS, ed è disposto a continuare la sua opera di solidarietà e rafforzarlo ulteriormente e in modo più ampio: coinvolgere i governi, così come le società, e riportare la Palestina al centro dell’attenzione globale.

Le tre componenti del nuovo governo israeliano non sempre hanno convissuto facilmente; quindi c’è anche la possibilità di un collasso politico anticipato poiché tutto sommato stiamo parlando di un gruppo di politici incompetenti quando si tratta di gestire un’economia così intricata come quella israeliana. Probabilmente, non saranno in grado di arrestare l’elevata inflazione, l’aumento dei prezzi e della disoccupazione.

Tuttavia, se questo dovesse accadere, non esiste un quarto gruppo socio-politico alternativo che possa guidare Israele. Quindi, un nuovo governo sarebbe formato da un’altra combinazione delle stesse forze, con le stesse intenzioni e politiche.

Dovremmo considerare questa come una sfida strutturale, non una tantum, e prepararci a una lunga lotta, basata su una solidarietà internazionale ancora più forte e su una più stretta unità palestinese.

Questo governo canaglia, e ciò che rappresenta, non ci sarà per sempre; dovremmo fare tutto il possibile per abbreviare l’attesa per la sua sostituzione con un’alternativa molto migliore non solo per i palestinesi ma anche per gli ebrei e tutti gli altri che risiedono nella Palestina storica.

Ilan Pappé è professore all’Università di Exeter. In precedenza è stato docente di scienze politiche presso l’Università di Haifa. È autore di The Ethnic Cleansing of Palestine, The Modern Middle East (La Pulizia Etnica della Palestina, il Medio Oriente Moderno); A History of Modern Palestine: One Land, Two Peoples (Una Storia Della Palestina Moderna: Una Terra, Due Popoli) e Ten Myths about Israel (Dieci Miti su Israele). Pappé è descritto come uno dei “Nuovi storici” israeliani che, dal rilascio dei pertinenti documenti del governo britannico e israeliano all’inizio degli anni ’80, hanno riscritto la storia della creazione di Israele nel 1948.

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org

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