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Israele spara sulle truppe Unifil: il cortocircuito colonialista

Dopo un anno di guerra genocida a Gaza i politici italiani hanno iniziato a pronunciare le parole “crimine di guerra”. Naturalmente non ci si riferisce alla strage di palestinesi che lo stato israeliano ha perpetuato sistematicamente, ma ai ripetuti attacchi di questi giorni che l’IDF ha effettuato contro le basi UNIFIL nel sud del Libano.

Intendiamoci, questi attacchi sono l’ennesima prova che Israele è disposta a superare ogni linea rossa pur di portare avanti il piano di ridisegnare il Medio Oriente a suo piacimento, di dare sfogo alle componenti più suprematiste e retrograde della società israeliana. Inoltre calpestare in questi termini quelle blande norme che la comunità internazionale si è data per perpetuare lo status quo è un oggettivo passo ulteriore verso la guerra mondiale. Quando uno stato etnonazionalista come Israele si può permettere questo genere di libertà è evidente che solletica gli appetiti di molti altri stati ed entità che nutrono le stesse aspirazioni.

Ciò che è indigeribile è che chi fino a poco tempo fa minimizzava la portata dei crimini israeliani, nonostante le evidenze, in nome del suo “diritto a difendersi”, ieri si è svegliato di soprassalto da un sonno durato un anno. Ecco il famoso doppio standard che si manifesta in tutta la sua ipocrisia. Lo stesso governo che poco meno di una settimana fa aveva dato l’assedio alle piazze che protestavano contro il genocidio a Gaza oggi si scopre indignato.

Non bisogna dimenticare che oltre ad essere il principale promotore della missione UNIFIL 2 nel 2006, il nostro paese ha significativi interessi economici in Libano: l’Italia da tempo è tra i primi due posti della classifica dei principali fornitori di Beirut. Le nostre esportazioni nei confronti del Libano producono un volume di affari nell’ordine di svariati miliardi di euro. Ma non si tratta solo di questo: il Libano è un paese chiave dell’area dal punto di vista strategico ed economico. Il paese è una piattaforma di lancio verso l’area mediorientale: le società libanesi sono ben radicate nei Paesi del Golfo e nel Kurdistan irakeno, lavorando soprattutto nei settori delle costruzioni e di ingegneria, oltre che nei servizi. Inoltre il Libano è diventato uno degli approdi delle rotte migratorie in seguito alla guerra civile siriana e più in generale dell’instabilità regionale, diventando a sua volta un polo di migrazione significativo in seguito alla crisi del 2019. Situazione che si sta inasprendo con lo sfollamento di migliaia di rifugiati dal sud del paese a causa dei bombardamenti israeliani.

Dunque l’escalation militare in Libano interviene direttamente sugli interessi economici, politici e strategici del governo italiano. La contraddizione che si apre è evidente: gli stessi che hanno minimizzato, coperto ed implicitamente sostenuto i crimini di guerra israeliani oggi si accorgono che lo stato d’Israele è disposto a tutto pur di perseguire la sua agenda di distruzione. Netanyahu ha rappresentato per lungo tempo un faro delle destre italiane e globali, ma quanto sta succedendo evidenzia per l’ennesima volta nel giro di un secolo e mezzo che l’itinerario di queste forze conduce inevitabilmente alla guerra.

Su questa contraddizione bisogna agire, ampliandola, imponendo il rifiuto della guerra e del colonialismo. Bisogna insistere affinché l’Italia e ciò che resta della comunità internazionale siano conseguenti con quanto dichiarano a parole cessando di sostenere economicamente, militarmente Israele e coprire politicamente i suoi crimini di guerra.

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