New York: i lavoratori di Amazon strappano una vittoria storica
Riprendiamo rispettivamente da Il Pungolo Rosso e da Jacobin questi due interessanti articoli rispetto alla Vittoria storica del sindacato indipendente Amazon Labor Union al magazzino di Staten Island. Buona lettura!
Mentre nel mondo dorato delle stelle hollywoodiane Will Smith tirava un ceffone a Chris Rock, nel mondo reale di chi a stento vive del proprio lavoro il neonato sindacato indipendente Amazon Labor Union (ALU) dava una ben piu’ dolorosa sberla al colosso di Jeff Bezos, imponendo la propria combattiva presenza grazie ai voti favorevoli conquistati in un magazzino dello Staten Island, uno dei cinque distretti di New York. Riprendiamo da Labor Notes del 1° aprile l’eccitata cronaca di questa vittoria che i lavoratori e le lavoratrici coinvolte considerano storica. Storica perché, come e più di tutte le aziende di successo di ultima generazione, Amazon ha una spietata e sofisticata politica volta ad impedire ogni forma di organizzazione sindacale.
La notizia e’ davvero importante, ed ha infatti bucato lo schermo dei media ufficiali, perche’ è stata ottenuta contro il gigante delle multinazionali statunitensi. ALU e’ il frutto di un lavoro meticoloso e febbrile dal basso, che ha coinvolto giovani lavoratrici e lavoratori latinos, afroamericani e bianchi. E’ un’espressione schietta del proletariato del XXI secolo, cosi’ negli Stati Uniti, come anche, in misura minore, in Europa: un proletariato multirazziale e forte di una componente giovanile e femminile disposta alla lotta.
Per capire quanto si sta muovendo in termini di lotta nei gironi di Amazon bisogna guardare indietro alle mobilitazioni internazionali dello scorso autunno. Cio’ e’ politicamente opportuno perche’ sia la composizione dei settori di proletariato spremuti dal gigante della logistica, sia l’orizzonte globale dell’azione di Amazon chiamano prepotentemente in causa una prospettiva di lotta internazionalista. Non meno importante e’ la capacita’ di apertura dimostrata da ALU nei confronti di organizzazioni della sinistra radicale e delle associazioni di comunita’. L’attuale giro di vite repressivo contro il movimento di lotta della logistica guidato dal SI-Cobas in Italia conferma come sia cruciale rompere il muro del silenzio facendo uscire la lotta fuori dai luoghi di lavoro – quei grigi magazzini avvolti nella nebbia sporca della Val Padana.
E’ presto per dire se questo esempio di auto-attività proletaria sarà seguito da altri sfruttati in altri magazzini. Comunque vada è un altro segnale che l’altra America, la nostra America, l’America del proletariato, non dorme. L’avventurismo criminale con cui l’amministrazione Biden sta incentivando la guerra in Ucraina e in Europa ha anche questo retroterra costituito da un fronte interno inquieto, molto inquieto – come già ebbe modo di constatare l’amministrazione Trump con il movimento del Black Lives Matter.
Lo scoppio della guerra per l’Ucraina ci ha scaraventati in un nuovo secolo di ferro: di morte, cioe’, e di devastazione potenzialmente illimitata della ricchezza sociale frutto della fatica, del tempo, dell’immaginazione e dell’amore dell’umanita’ che lavora; questo senza parlare della catastrofe ecologica. E’ un abisso che si apre alimentando a sinistra disorientamento e sbandamenti. Si insegue ora la bandiera campista del kompagno Putin, ora quella atlantista di Biden e dei suoi malsicuri colleghi europei – vecchi lupi famelici mal travestiti da agnelli. Il problema e’ che ci si rivolge comunque verso “l’alto”, verso i nostri nemici di classe, mai ai “nostri” fratelli e sorelle. Manca cioe’ una prospettiva di classe internazionalista, l’unica possibile via d’uscita. Soprattutto, e’ vitale che tale prospettiva sia incarnata da un movimento reale. La nascita di ALU da’ un piccolo segnale in questa direzione.
Chi legge noterà quanto insostenibile è la pretesa capitalistica di aver cancellato per sempre l’enorme tradizione di lotta del proletariato internazionale, che riemergerà prepotentemente dal sottosuolo in cui è stata ricacciata, con la speciale irruenza dell’imprevisto e dell’”imprevedibile”. Come dice l’impunito Chris Smalls, ex-promessa dell’hip-hop, diventato d’improvviso avanguardia di una lotta di grande rilievo: “la vita è folle. E’ tutto quel che posso dire. Chi l’avrebbe immaginato?”. (red.)
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Sembra una roba magica, da film Disney. Ma ieri l’improbabile e’ diventato piu’ che probabile, quando il gruppo di lavoratori malconci che ha messo su l’Amazon Labor Union si e’ posizionato in testa nell’elezione sindacale tenutasi in un magazzino del distretto di Staten Island, a New York, ed e’ cosi’ giunto al traguardo di una vittoria storica dei lavoratori contro il colosso aziendale.
Prima della conta la maggior parte dei cronisti aveva escluso ogni possibilita’ di vittoria per questo sindacato indipendente, trattandolo alla stregua di una curiosita’ nel migliore dei casi. “Penso ci abbiano sottovalutato”, ha detto giovedi’ notte il tesoriere dell’ALU Madeline Wesley. “E penso smetteranno di farlo domani, quando risulteremo vincitori.”
Oggi l’ALU ha strappato una vittoria decisiva, vincendo con largo margine, e vedendo cosi’ premiato l’obiettivo di creare lil primo luogo di lavoro sindacalizzato nella vasta rete di centri Amazon di stoccaggio, distribuzione e smistamento che copre gli Stati Uniti. Tali strutture sono concentrate in aree metropolitane come New York, Chicago e Los Angeles, e cio’ apre la strada alla diffusione dell’organizzazione sindacale.
Il risultato delle votazioni nello Staten Island e’ di 2.654 voti a favore della formazione del sindacato e 2.131 voti contrari. 67 sono stati i voti contestati, 17 quelli annullati; i lavoratori con diritto di voto erano 8.325.
“Desideriamo ringraziare Jeff Bezos per essere andato nello spazio, perche’ mentre lui stava lassu’ noi ci stavamo organizzando in sindacato”. Cosi’ ha detto il presidente di ALU Chris Smalls dopo l’annuncio del risultato ufficiale delle votazioni.
In un altro magazzino del complesso di Staten Island, LDJ5, cominceranno a votare il 25 aprile per decidere se sindacalizzarsi.
LAVORARE CON CURA SUI LEADER
Brooklyn, giovedi’ notte: dopo lo spoglio delle schede delle prime 6 urne, su 10 urne in totale, i lavoratori erano in preda all’eccitazione, increduli; ballavano l’hip-hop e ridevano.
“Sembrava un colpo troppo grosso, con poche speranze di riuscita”, ha dichiarato il vice-presidente di ALU, Derrick Palmer, all’uscita dall’edificio di Bushwick, soppesando accuratamente le parole. “Ma siamo andati la’ fuori e ce l’abbiamo fatta – lavoratori, siamo riusciti a sindacalizzare la seconda piu’ grande azienda del paese per lavoratori impiegati.
Piu’ Palmer parlava di cosa hanno fatto esattamente per compiere questa straordinaria impresa, e piu’ chiaro e’ diventato che la magia e la fortuna non c’entrano nulla con la vittoria del sindacato; questa vittoria e’ il frutto di un lavoro duro e certosino di organizzazione da lavoratori a lavoratori.
Palmer lavora da tre anni come imballatore nel vasto complesso dei magazzini Amazon. Stima che su 100 persone afferenti al suo reparto, il 70 per cento abbia convintamente votato si’.
“In pratica ho fatto cambiare idea all’intero reparto”, dice Palmer. “Quel che faro’, mi dicevo, e’ individuare un gruppo di amici e andare dal capo-branco. Qualunque cosa dica il leader, il resto del gruppo lo seguira’.”
Un altro membro di ALU con incarichi organizzativi, Michael Aguilar, condivide quest’approccio. Ha per esempio spiegato che “Cassio [Mendoza] e’ quello che va a parlare con tutti i lavoratori latino-americani nell’edificio”.
“Sapevo che avremmo vinto grazie a Maddie [Wesley]”, aggiunge Aguilar. “E’ cosi’ empatica, è in grado di entrare in sintonia con molte persone nell’edificio. E’ stata una delle figure chiave”.
Il sindacato indipendente e’ stato supportato da volontari provenienti da diversi altri sindacati e da associazioni delle comunita’ locali, che hanno condotto una campagna telefonica di propaganda. Wesley inanellava voti di sostegno al sindacato facendo telefonate o con i banchetti all’esterno dell’edificio; e’ stato ad uno di questi banchetti che ha reclutato Aguilar perche’ si unisse allo sforzo organizzativo.
“Le nostre informazioni dicevano che eravamo supportati per il 65% circa; c’era ovviamente un margine d’errore, dal momento che che chi viene a parlare con te, verosimilmente è disposto a supportarti” – spiega Wesley.
La maggior parte dei lavoratori con cui ho parlato non usavano il gergo organizzativista, ma avevano senz’altro effettuato un’accurata mappatura del magazzino. “Sappiamo in che reparti e turni abbiamo il supporto piu’ forte, perche’ sono i reparti e i turni in cui ci sono i nostri organizzatori”, dice Wesley.
Il membro di ALU Justine Medina spiega che l’acume organizzativo e l’approccio dal basso del gruppo sono debitori verso il testo “Metodi organizzativi nell’industria dell’acciaio” del militante comunista William Z. Foster. Lei ed altri del comitato organizzativo lo hanno letto e discusso, condividendolo con i lavoratori perche’ lo leggessero (vedi appendice).
UN LAVORO DALL’INTERNO
Cio’ che ha dato credibilita’ alla spinta organizzativa e’ il fatto che sia venuta dai lavoratori. Quando Amazon cercava di dipingere il sindacato come una “terza parte” esterna, le argomentazioni dei suoi consulenti super-pagati cadevano nel vuoto perche’ i lavoratori sottoponevano le proprie domande ai colleghi di ALU.
Gli incontri nella sala del personale sono stati decisivi, spiega Palmer: “Nei miei giorni liberi ho fatto lavoro di organizzazione qualcosa come 10 ore al giorno, offrendo cibo, parlando con i lavoratori, informandoli.”
Smalls incoraggiava i colleghi a confrontarsi: “Vieni a parlare con me. Non è sufficiente non dare credito a quel che senti da Amazon o alle dicerie.”
Anche le azioni collettive si sono rivelate cruciali. “Abbiamo mostrato loro che non avevamo paura”, ha detto Smalls. “Manifestavamo di fronte all’edificio. Quel che mostravamo diceva piu’ di quanto non potessimo spiegare a parole.”
Nel marzo 2020 Smalls ha guidato uno sciopero per denunciare l’incapacita’ dimostrata dall’azienda nel proteggere i lavoratori dalla pandemia. In seguito a cio’ Amazon lo ha licenziato, a suo dire per aver violato i protocolli di sicurezza contro il Covid. La rivista Vice ha documentato come il consulente generale dell’agenda abbia insultato Smalls durante una riunione ai piani alti, dicendo che “non [era] sveglio o in grado di articolare un discorso”.
Simili osservazioni hanno solo accresciuto la popolarita’ del carismatico Smalls fino a farlo diventare il volto della spinta verso il sindacato. Interrogato sulle attenzioni ricevute dai media, lui addita la lotta collettiva e sottolinea come ALU operi in base a principi democratici: ogni decisione e’ oggetto di una votazione. “Sono soltanto il presidente ad interim”, dice. “Sono temporaneo. Questo non e’ il mio sindacato [il sindacato di mia proprietà]; e’ il sindacato dei lavoratori”.
MOLTI ALTRI MAGAZZINI
In piedi all’aperto sotto la pioggia leggera che cadeva giovedi’ notte, Smalls ha alzato la sua mano indicando l’appartamento a Brooklyn che e’ stato convertito nel quartier generale del sindacato: “Tutto cio’ che avevamo erano 20 membri del nucleo centrale [promotore], ed un comitato di lavoratori di piu’ di cento persone. All’inizio eravamo soltanto in quattro.”
Alla domanda se valuta la possibilita’ di affiliarsi con un altro sindacato, ha dichiarato: “Mi sono abituato a stare con la gente che e’ stata al mio fianco fin dal primo giorno. Vogliamo restare indipendenti, e’ meglio cosi’. E’ cosi’ che siamo arrivati a questo risultato.”
Ma, aggiunge, “qualunque cosa uno faccia contro Amazon, chiunque esso sia, merda, ha il mio appoggio! Ci sono un sacco di stabilimenti [di Amazon]. Scegline uno!”
Smalls ha paragonato la cultura di ALU con Money Heist, la serie spagnola di Netflix in cui una mente criminale conosciuta come “Il professore” raduna una banda di criminali per impossessarsi dello stato e rubare miliardi di euro dalla zecca di stato, la Royal Mint. “Chiamami Il professore”, scherza…
Da speranza dell’hip-hop, Smalls e’ diventato un leader sindacale. “La vita e’ folle”, dice. “E’ tutto quel che posso dire. Chi l’avrebbe immaginato?”
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Appendice
Come ci siamo riusciti
di Justine Medina
La mia analisi spicciola dei successi sinora conseguiti da ALU è piuttosto semplice. Abbiamo semplicemente fatto ciò che andava fatto: abbiamo dato vita a un movimento guidato dai lavoratori.
Abbiamo studiato la storia di come i primi sindacati di peso sono stati costituiti. Abbiamo imparato dagli Industrial Workers of the World [sindacato internazionale rivoluzionario fondato a Chicago nel 1905; N.d.T.], e ancora di più dalla costruzione del Congress of Industrial Organizations [nato come federazione di otto sindacati nel 1935 e celebre per l’impiego, al posto dei tradizionali picchetti, degli scioperi con occupazione; N.d.A.]. Abbiamo letto Organizing Methods in the Steel Industry di William Z. Foster (un testo da leggere, davvero).
Ma questa è la cosa fondamentale: ci deve essere un progetto effettivamente guidato da lavoratori – un gruppo guidato da neri e persone di colore, multirazziale, multi-nazionale, pluralista in termini di genere e di abilità di ciascuno. Ti devi avvalere di organizzatori interni ai ranghi del movimento che abbiano qualche esperienza, ma ci si deve assicurare che essi siano pronti a mettersi al lavoro in prima persona e a seguire la guida dei lavoratori che sono in fabbrica da più tempo. Coinvolgi i comunisti, alcuni socialisti e anarco-sindacalisti, crei una coalizione progressiva di ampio respiro. Coinvolgi compagni solidali di altri sindacati, per avere ulteriore supporto.
In verità, devi solo seguire le classiche regole del gioco. Non devi avere paura di combattere, di giocare sporco come farebbero (come faranno…) i padroni, di pareggiare e superare l’energia che loro stessi mettono in gioco. Non devi avere paura di fare agitazione e inimicarti i padroni, come un sindacato dovrebbe fare. Usa ogni strumento a tua disposizione; denuncia le politiche sleali in materia di lavoro ogniqualvolta se ne presenti l’occasione. Protesta e metti in atto azioni collettive. Continua a crescere.
È il lavoro duro, ogni giorno: lavoratori che parlano con altri lavoratori. Non solo giochi mediatici, ma solidarietà, analisi giornaliera, facendo gli aggiustamenti necessari. Questo è lavorare come un collettivo, imparare assieme e insegnarsi qualcosa l’un l’altro. È tornare in forma per il combattimento. È così che abbiamo vinto.
Ciò che sto descrivendo non è il frutto di un mio piano, ma quello degli sforzi dei lavoratori di Amazon che ne hanno avuto abbastanza delle angherie cui sono stati sottoposti. Sono stata fortunata a essere inclusa dal comitato organizzatore in questa lotta in veste di organizzatrice esterna, in forza della mia esperienza con la Young Communist League. Sono stata accolta a braccia aperte, e l’esperienza ha dato una completa svolta al mio percorso di vita, ma ho da sempre considerato il mio ruolo come quello di seguire i lavoratori che erano lì da prima di me.
Questo è stato davvero uno sforzo collettivo, guidato da alcuni meravigliosi lavoratori di Amazon spinti all’organizzazione dalla pandemia e della loro condizioni di vita; Chis Smalls e Derrick Palmer in particolare sono stati dei leader stupendi. Penso che questo sindacato mostri l’autentica possibilità di ciò che abbiamo davanti, un movimento dei lavoratori – se solo siamo in grado di ricordarci come lo si crea.
Justine Medina è membro del comitato organizzativo della ALU e una impacchettatrice presso il magazzino JFK8 di Amazon.
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Così abbiamo battuto Amazon
Angelica Maldonado Erica Blanc
I lavoratori e le lavoratrici di Amazon a Staten Island hanno ottenuto la più importante vittoria sindacale negli Stati Uniti dagli anni Trenta. Qui raccontano come hanno fatto
Dopo decenni di declino sindacale, i lavoratori di Amazon a Staten Island hanno ottenuto la più importante vittoria dagli anni Trenta negli Stati uniti. Affrontare e sconfiggere Amazon sembra la storia di David contro Golia, indipendentemente da chi ha guidato lo sforzo, ma è particolarmente sorprendente che la spinta alla sindacalizzazione di successo nel magazzino Jfk8 sia stata avviata dall’Amazon labour union (Alu), organizzazione di lavoratori e lavoratrici al debutto e indipendente.
Tra i leader di Alu ci sono ex dipendenti come Christian Smalls, che è stato licenziato dal magazzino Jfk8 nel 2020 dopo aver organizzato uno sciopero, oltre a un piccolo gruppo di operai e operaie che lavorano all’interno del magazzino. Mentre gran parte dell’attenzione dei media nazionali si è comprensibilmente concentrata su Smalls, la straordinaria storia di come i lavoratori e le lavoratrici all’interno dell’edificio abbiano prodotto questo incredibile sconvolgimento resta in gran parte da raccontare.
Poche persone sono in una posizione migliore per raccontare questa storia di Angelica Maldonado, la ventisettenne presidente del Comitato dei Lavoratori di Alu. Una dei leader chiave responsabili della storica vittoria di ieri, Maldonado lavora come imballatrice nel reparto outbound nel turno di notte al Jfk8. Dopo il voto, ci ha raccontato come ha compiuto un’impresa all’apparenza impossibile e quali lezioni possono trarre dai loro sforzi i lavoratori e e lavoratrici in tutto il paese.
Innanzitutto, come ti senti?
Quando ho scoperto che avevamo vinto, sono rimasta completamente senza parole: mi sembra letteralmente di stare ancora sognando. Anche in questo momento, parlandone, mi emoziona pensare a ciò che abbiamo realizzato.
Puoi parlare un po’ di come sei stata coinvolta in questa vicenda?
Ho iniziato a lavorare al Jfk8 nel 2018, ma è stato solo lo scorso ottobre che sono stata coinvolta nell’organizzazione. Un giorno uscendo dal lavoro – dopo il mio turno di dodici ore e trenta minuti – un sindacalista è venuto da me e mi ha fatto sapere cosa stava succedendo. A essere onesti, sono stata subito coinvolta. Non ho mai fatto parte di un sindacato prima, ma mia madre è membro di 1199Seiu [storico sindacato della sanità nato per battersi contro le discriminazioni, Ndt] da quando ho memoria. Dunque, quando ho sentito che in Amazon avremmo potuto avere un sindacato, ho capito sulla scorta della mia esperienza quanto ciò avrebbe avvantaggiato tutte le famiglie e tutte le persone che ci lavorano. Da quel momento in poi, praticamente, mi ci sono dedicata a tempo pieno.
Ci sono stati temi e ingiustizie particolari che ti hanno motivato a intervenire?
In cima alla mia lista c’è la sicurezza del posto di lavoro. Il tasso di turnover qui è molto alto: puoi essere licenziato per molteplici motivi. Chiunque può beneficiare di un aumento, ma che senso ha se non riesci a mantenere il lavoro? Quanto al futuro, abbiamo bisogno di assistenza sanitaria. Personalmente, pago 54 dollari a settimana dalla mia busta paga per l’assistenza sanitaria per me e mio figlio. Posso solo immaginare cosa pagano gli altri genitori single che hanno più figli di me, perché devi pagare per ogni persona a carico. Fino all’età di ventisei anni non dovevo pagare l’assistenza sanitaria perché mia madre è nel 1199. In futuro, mi piacerebbe vedere tutti quelli che si trovano a lavorare qui avere assistenza sanitaria gratuita.
Quali sono stati i principali elementi di divisione all’interno della forza lavoro?
Ci sono molti tipi di persone che lavorano in Jfk8; è davvero diverso a seconda dell’età, della razza e di dove vivono le persone: i lavoratori pendolano fin qui da ogni parte. Ma una delle divisioni principali è stata l’età. Tieni presente che l’età media di un attivista di Alu è di circa ventisei anni: molti lavoratori più anziani tendevano a essere più scettici nei confronti del sindacato.
La cultura in Amazon è molto intensa e intimidatoria, quindi quando diversi lavoratori più anziani hanno visto per la prima volta un gruppo di giovani che cercavano di organizzare qualcosa di così grande, per alcuni di loro è stato difficile capire che sapevamo davvero cosa volevamo e come arrivarci. Ecco perché abbiamo dovuto formare noi stessi – e poi i nostri colleghi – su come esattamente questo può essere fatto. Abbiamo spiegato cosa possiamo fare tutti insieme. E abbiamo superato il divario di età principalmente essendo riconoscibili e belli, onestamente, è così che abbiamo vinto queste elezioni. Chiedevo ai colleghi: «E se i tuoi nipoti dovessero lavorare qui? E se i tuoi figli dovessero farlo? Sì, puoi essere più grande di me, ma anche io sono una mamma e vogliamo le stesse cose, giusto?». Quando hanno scoperto che ero anche una mamma e che stavo sacrificando tutto il mio tempo libero per aiutare a costruire un sindacato, molti di loro hanno capito davvero quanto la situazione fosse grave.
Hanno pesato anche le differenze di razza e nazionalità?
Sì, quella era un’altra cosa: entrare in contatto con le diverse razze del Jfk8. Ad esempio, molti dei nostri colleghi sono africani. Durante la campagna mi è venuta un’idea, che ha finito per essere vincente: la mia vicina di casa, anche lei africana, si occupa di catering. Ho detto: «Abbiamo distribuito così tanto cibo, perché non diamo cibo che si pone come obiettivo la cultura dei lavoratori di Amazon?». Così un giorno le ho chiesto di prepararci del riso fritto africano, e questo ha attratto un intero gruppo di lavoratori africani verso di noi e ne abbiamo ricavato un paio di nuovi sindacalisti. Direi che anche avere sindacalisti della stessa razza è stato decisivo. Sono ispanica, per metà ispanica, anche io, ma non parlo spagnolo, quindi è stato più facile per uno dei nostri che parla spagnolo parlare con quei lavoratori ispanici. Abbiamo consentito a chiunque volesse organizzarsi di farlo. E questo ha funzionato davvero a nostro vantaggio, perché i membri del comitato Alu che abbiamo in questo momento sono un gruppo eterogeneo. Siamo un piccolo gruppo rispetto alla quantità di persone che abbiamo sul posto di lavoro, ma siamo diversificati.
Come avete affrontato le intimidazioni della direzione?
Amazon instilla davvero paura nei lavoratori. Non solo c’erano manifesti anti-sindacali ovunque; Amazon ha assunto un sacco di sindacalisti che giravano costantemente per l’edificio parlando con i lavoratori. Era intimidatorio. I sindacalisti sostanzialmente hanno mentito e detto ai nostri colleghi che eravamo una terza parte. Ma in realtà eravamo lavoratori e lavoratrici proprio come loro. Non siamo venuti da qualche altra parte per organizzare Jfk8; lavoriamo lì: siamo un sindacato guidato dai lavoratori.
Molto di quello che abbiamo fatto era un rischio, ma sapevamo che alla fine avrebbe dato i suoi frutti. Abbiamo fatto cose come partecipare a riunioni in cui il pubblico era preda della campagna contro i sindacati anche quando non eravamo invitati. Abbiamo parlato a nome di tutti e abbiamo raccontato i fatti. Abbiamo fatto sapere a tutti che stavano dicendo bugie. Naturalmente, ci è stato detto di andarcene perché non eravamo stati invitati: quello che fanno è portare i dipendenti fuori dalle loro postazioni per partecipare a queste riunioni. Ma quella volta siamo entrati tutti in gruppo e abbiamo chiesto di parlare. Il direttore generale ci ha detto che se non ce ne fossimo andati, avremmo avuto un richiamo, saremmo stati considerati «insubordinati». Ma abbiamo mantenuto la nostra posizione, siamo rimasti e abbiamo detto la verità ai nostri colleghi e colleghe. Dovevamo rischiare. Al momento eravamo tutti un po’ timorosi, ma dovevamo correre questo rischio, perché i nostri colleghi dovevano vedere che si poteva resistere. Anche se alla fine siamo stati allontanati, azioni del genere hanno mostrato loro che ci sono determinati diritti e determinate leggi che ci proteggono e che non bisogna avere paura di Amazon.
Puoi dirci di più sui passaggi concreti che hai intrapreso per convincere i tuoi colleghi?
Eravamo tanti nel team organizzativo, quindi tutto ciò che veniva portato al tavolo era importante. Da parte mia, ho cercato di stare nel capannone il più a lungo possibile, il maggior numero di giorni possibile. Anche nei miei giorni liberi, passando meno tempo con mio figlio, ci sono voluti molta dedizione, molti sacrifici, molti rischi. Non potevo parlare del sindacato durante l’orario di lavoro, ma potevo farlo durante le pause pranzo e quelle di quindici minuti. E anche se non avevo tempo di parlare con i colleghi e le colleghe durante il mio turno, mi assicuravo sempre di avere i loro numeri e parlare con loro nei miei giorni liberi. Chiedevo loro di dire del sindacato ai parenti che lavorano lì e di dirlo anche ai loro amici. Dicevo a tutti: «Se hai domande, puoi chiamarmi in qualsiasi momento e se qualcun altro ha domande, passa il mio numero». E se non conoscevo la risposta a una domanda specifica, davo loro il numero del presidente dell’Alu [Chris Smalls] in modo che potessero parlare direttamente con lui.
Come ti sei assicurata di parlare con il maggior numero possibile di lavoratori e lavoratrici e come hai misurato il sostegno per vedere se avevi la maggioranza?
Personalmente, ho un’ottima memoria, quindi il mio obiettivo era che se non avessi mai visto una faccia prima, sarei sempre andata da quella persona e avrei avuto una conversazione. Era importante avere un gruppo ristretto di organizzatori e tenersi in contatto con tutti i lavoratori favorevoli al sindacato. Ma un altro dei nostri obiettivi chiave è sempre stato quello di parlare ogni giorno con persone nuove. E dopo aver parlato con loro, gli chiedevamo di unirsi alla chat di Telegram, di darci il loro numero, di venire a una riunione o di partecipare a un sondaggio. Questo era l’obiettivo: parlare con nuove persone ogni giorno, metterle in contatto.
Come si svolgevano queste conversazioni?
Chiedevo cose come «Hai mai sentito parlare dell’Alu?». E poi, se avevano bisogno di risposte o informazioni, facevo del mio meglio per rispondere e gli facevo sapere: «Siamo un sindacato gestito dai lavoratori e dalle lavoratrici. Se in qualsiasi momento vuoi diventarne parte, puoi farlo». Alcuni accettavano, altri no. Ma alla fine, l’obiettivo immediato era più semplice, come portarli nella grande chat di Telegram con tutti i sostenitori del sindacato o indossare una maglietta Alu. Cose del genere hanno mostrato che c’erano molte altre persone che volevano avere un sindacato.
Abbiamo usato una chat di Telegram per fornire aggiornamenti o per far sapere alla gente se era successo qualcosa nel magazzino o in un altro turno. Il turno di giorno e il turno di notte a volte sembrano due mondi diversi, quindi è stato utile avere un modo per comunicare con tutti. Ma a essere onesti, la chat non era una grande preoccupazione per noi; la cosa principale erano le interazioni faccia a faccia. Penso sia questo che ha fatto crescere il sindacato. Queste discussioni faccia e faccia sono state importanti perché Amazon ha detto a molte persone che eravamo una terza parte rispetto a lavoratori e azienda. All’inizio i lavoratori venivano da noi e dicevano: «Come fate a trovarvi qui dentro? Voi nemmeno lavorate qui». Allora mostravamo loro il nostro cartellino e dicevamo: «Lavoriamo qui, chiunque sia nel sindacato in questo momento lavora qui». A quel punto si incuriosivano. Alla fine delle nostre conversazioni, spesso si sentivano ingannati da Amazon perché si rendevano conto che gli avevano mentito.
Siamo entrati in relazione in questo modo. Ho fatto sapere alla gente che ero una mamma single, che lavoro a turni di dodici ore e trenta minuti e che stavo sul posto di lavoro anche nel mio giorno libero, capisci? Essere anche vulnerabili, spiegare cosa stavo sacrificando, cosa stavamo tutti sacrificando, essendo lì per assicurarci che tutti nell’edificio potessero avere condizioni di lavoro migliori.
A due settimane di distanza dalle elezioni, grazie a quelle conversazioni ero molto fiduciosa che avremmo vinto. Mi basavo sulle persone con cui stavo parlando, sul crescente supporto che stavo vedendo, e sul fatto che gli altri organizzatori parlavano con la loro gente che a sua volta parlava con altra gente, così come la mia gente parlava con la gente. Tutti parlavano con tutti.
Oltre alle conversazioni, hai fatto altre cose per aiutare i tuoi colleghi a non sentirsi soli e come hai monitorato il livello di supporto?
Verso la fine dello scorso anno, l’Alu ha iniziato a distribuire magliette sindacali. Quindi, quando alcune persone hanno iniziato a indossare le magliette al lavoro, molte altre persone hanno iniziato a vedere quanta adesione ci fosse. Dopodiché, abbiamo dovuto procurarci sempre più magliette per tutti. E mentre le elezioni si avvicinavano, abbiamo potenziato il nostro gioco: l’ultima cosa che abbiamo fatto in campagna elettorale è stata quella di procurarci dei cordini porta badge, circa tre o quattromila. Ne abbiamo distribuiti molti durante i cambi di turno, così le persone potevano vedere quanto supporto c’era.
Per tutto quel tempo, abbiamo ricevuto i numeri di telefono dei nostri colleghi e li abbiamo compilati tutti in un grande elenco in modo da poter avere un’idea di come stavamo andando dal punto di vista del supporto e in modo da poterli seguire sulle normali banche dati che tenevamo fuori dall’ufficio sindacale a Manhattan. E come organizzatori, eravamo coordinati; ad esempio, abbiamo fissato gli orari per chi di noi sarebbe stato nel magazzino o controllando la chat in momenti diversi.
E quando dico dedizione, intendo dedizione: quelli di noi nel comitato, eravamo nell’edificio sette giorni su sette, ventiquattro ore al giorno. Anche nei nostri giorni liberi eravamo nell’edificio, dopo che prendevo mio figlio a scuola ed era il mio giorno libero, mi dirigevo verso il magazzino.
Poiché non potevamo parlare del sindacato durante l’orario di lavoro, il tavolo nella sala relax era particolarmente importante. Ho costruito relazioni con colleghi che non avrei mai conosciuto se non ci fosse stato. Quando erano in pausa pranzo, o in una pausa veloce per uno spuntino, parlavo con loro finché avevano tempo. E una volta che hanno incontrato uno di noi, ci hanno conosciuti tutti, perché, come organizzatori, cercavamo sempre di costruire relazioni con tutti. Questo è ciò che intendiamo sul presentarsi bene.
E la direzione non ha provato a cacciarti?
No, perché eravamo protetti dalla legge. Conoscevamo i nostri diritti ed eravamo in contatto con un buon avvocato del lavoro. Quelli di noi che lavoravano lì potevano lavorare al sindacato. Eravamo protetti legalmente se non lo facevamo durante l’orario di lavoro.
A volte hanno cercato di resistere un po’. Ad esempio, una volta hanno provato a farci togliere il tavolo nella sala pausa, dicendo che violava le regole sul Covid. Ma proprio il giorno prima avevano allestito il loro tavolo nella sala relax, quindi non glielo abbiamo consentito. Onestamente, però, non hanno fatto nulla di eccessivo perché a quel punto si erano resi conto che sapevamo molto sulle leggi che ci proteggevano.
Prima di diventare una sindacalista con Alu, non avevo alcuna esperienza sindacale o organizzativa, quindi quando sono stata coinvolta mi sono seduta e ho ascoltato molto quelle e quelli che lo facevano da più tempo di me. E ho tenuto a mente queste informazioni, perché sapevo che sarebbero state vitali per i lavoratori e le lavoratrici che avevano domande da farmi. Cosi, quando c’è stata quella riunione pubblica alla quale abbiamo partecipato, ho chiesto consiglio perché non sapevo cosa fare, non conoscevo i miei diritti. In quel momento ho chiamato il presidente del sindacato, che mi ha detto che, in base a una certo codice della legge, siamo protetti. E poi, quando uno dei miei colleghi ha detto: «Ho sentito che siete stati tutti cacciati da una riunione. Verrai licenziata?». Ho detto loro di no, che non saremmo stati licenziati, perché eravamo tutelati dalla legge.
Congratulazioni ancora per la straordinaria vittoria: potresti chiudere con qualche considerazione finale?
Anche se sono nuova nel sindacato, il mio obiettivo è stato quello di organizzare Jfk8 e il magazzino di Staten Island. Vedo ogni giorno cosa passiamo tutti lavorando in Amazon. È estenuante e veniamo trattati come robot. Ho amici con cui sono andata a scuola che lavorano qui, e anche molte delle loro famiglie, e sono fondamentalmente come la mia famiglia. Solo se lavori all’interno di questo edificio puoi sapere com’è lavorare in Amazon.
E ora ho visto anche cosa hanno passato tutti gli organizzatori con cui ho lavorato. Ne abbiamo affrontate tante per contribuire a realizzare un cambiamento. Per noi attivisti e attiviste significa mancanza di sonno, mancanza di tempo a casa. E lo abbiamo fatto, oltre a lavorare tutto il tempo anche per Amazon. Quindi il fatto che abbiamo vinto oggi sembra irreale, mi sento come se fossi in un sogno. Sono così orgogliosa e grata per ogni lavoratore e lavoratrice che ha votato sì e ogni attivista che si è impegnato. Poter celebrare la nostra vittoria oggi, è bellissimo. Abbiamo fatto la storia, giusto?
*Angelica Maldonado è la presidente del Comitato dei lavoratori del sindacato di Amazon. Eric Blanc è l’autore di Red State Revolt: The Teachers’ Strike Wave and Working-Class Politics. Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione.
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