InfoAut
Immagine di copertina per il post

Zohran alza la temperatura

Una sorpresa dagli Stati Uniti governati da Trump: la vittoria di Zohran Mamdani alle primarie democratiche per la carica di sindaco di New York, che ha da subito scatenato il delirio islamofobo della destra e l’allarme nell’establishment democratico.

Andrew Ross spiega le ragioni dell’inaspettata affermazione di Mamdani, approfondendo la composizione della coalizione che lo ha sostenuto e il significato politico della sua vittoria nell’epoca del fascismo trumpiano e delle violenze dell’ICE.

di Andrew Ross, da Machina

***

Nel periodo precedente alla vittoria sconvolgente di Zohran Mamdani alle primarie democratiche per la carica di sindaco di New York, si poteva scommettere su due strategie che le forze dell’establishment avrebbero potuto adottare per annientarlo: accusarlo di essere socialista o attaccarlo per aver detto la verità sulla Palestina. Non c’è stata partita. Le insinuazioni razziste sulle sue simpatie per la Palestina sono iniziate presto e si sono intensificate man mano che i sondaggi registravano la sua ascesa. In seguito alla crescita del sostegno a Mamdani, i vertici democratici e i miliardari che finanziavano il suo rivale fortemente compromesso, Andrew Cuomo, hanno cominciato a lanciare l’allarme: un musulmano antisionista poteva prevalere nella città più grande e importante d’America. Come da copione, hanno giocato la carta dell’antisemitismo. Durante i dibattiti pre-elettorali, si poteva facilmente avere l’impressione che Cuomo e alcuni altri candidati si stessero candidando a sindaco di Israele, e non di New York. Mamdani ha mantenuto la posizione e, così facendo, ha ottenuto più del 20% del voto ebraico della città, demolendo la mia impressione iniziale che fosse troppo onesto per fare politica, figuriamoci per condurre una campagna vincente.

Dopo la sua vittoria, l’allarme si è trasformato in delirio islamofobo da parte della destra. Si sono levati appelli affinché gli ebrei «evacuassero» New York, mentre tra i democratici legati agli interessi delle corporation è scoppiata una frenetica corsa per trovare un rimedio nelle elezioni di novembre. La mattina dopo le primarie, una fuga di notizie al Financial Times riferiva che i magnati di Wall Street si erano riuniti per cercare un’alternativa efficace. Cuomo, pur umiliato, ha deciso comunque di candidarsi come indipendente con lo slogan «Fight and Deliver» (qualunque cosa esso significhi). Eric Adams, l’attuale sindaco, ha annunciato la sua candidatura con un partito inesistente chiamato EndAntiSemitism, evitando le primarie democratiche. Ma potrebbe essere troppo screditato a causa della sua corruzione e della gratitudine verso Donald Trump, che lo ha salvato dalle accuse penali. Bill Ackman, il magnate degli hedge fund che si vanta di aver fatto dimettere diversi rettori delle università della Ivy League, ha lanciato pubblicamente un appello per un candidato centrista filo-israeliano affidabile (un «supereroe nazionale») che si faccia avanti: «Se qualcuno è pronto ad alzare la mano», ha dichiarato, «io mi occuperò della raccolta fondi».

La diffamazione di Mamdani ha raggiunto il culmine nei giorni successivi alle primarie, riecheggiando perfino al Congresso, in modo simile alla feroce campagna contro Jeremy Corbyn e i suoi sostenitori nel Partito Laburista, accusati di antisemitismo. Il peggio deve ancora arrivare, ora che gli istinti animali dei media mainstream si sono risvegliati di fronte alla prospettiva di una caccia mediatica feroce. Il fatto che le calunnie sulla sua solidarietà con la Palestina non abbiano attecchito — e anzi, in certi ambienti, abbiano persino aumentato l’affluenza — rappresenta un affronto aperto alla convinzione normativa secondo cui l’AIPAC (il braccio lobbistico di un governo straniero) può bloccare la carriera elettorale di qualsiasi funzionario americano. Cuomo, per inciso, ha scelto di far parte del team legale di Netanyahu, promettendo di difenderlo dalle accuse della corte più alta del mondo. Mamdani, al contrario, ha dichiarato che farebbe arrestare il primo ministro israeliano se mettesse piede a New York, in ottemperanza alla sentenza della Corte penale internazionale secondo cui Netanyahu ha commesso crimini contro l’umanità. L’indignazione per queste rotture flagranti con lo status quo filo-israeliano americano è destinata a crescere e a trasformarsi in forme ancora più inquietanti.

Ma la rabbia, per quanto prevedibile, non ha soffocato la gioia per la vittoria di Mamdani, né può cancellare le lezioni emerse dalla sua campagna, che ha suscitato entusiasmo in un ampio spettro dell’elettorato. A livello locale, la sua campagna ha generato una nuova coalizione di frazioni di classe diverse, blocchi etnici e comunità religiose. Il sostegno a Cuomo proveniva dai ricchi, dai fautori del «law and order», da elettori neri moderati e da sostenitori acriticamente sionisti. Quella coalizione, protetta con cura dai custodi del partito, è stata per un quarto di secolo la via più battuta per conquistare il municipio. Mamdani ha dimostrato che esiste un altro percorso, e che un messaggio progressista forte, incentrato sulla giustizia economica, può essere un veicolo più rapido e popolare per arrivare al potere. Il suo richiamo a chi vive contando a fine mese ciò che gli rimane dalla busta paga, in una città dove l’affitto medio mensile sfiora i 5.000 dollari, era palpabile. In particolare i giovani — notoriamente difficili da portare alle urne — si sono mobilitati in massa. Hanno ereditato un sano scetticismo su come viene condotta la politica elettorale in una democrazia borghese revanscista. Qualunque sarà il destino di Zohran — e la sua vita sarà certamente in pericolo nei mesi e negli anni a venire — la sua vittoria ha rappresentato una boccata d’aria per chi, già in giovane età, aveva perso la speranza di vedere trionfare la giustizia attraverso i canali della democrazia rappresentativa. Ancora più importante: la campagna ha trasformato decine di migliaia di loro in organizzatori di base, determinati a uscire ogni settimana per bussare alle porte e fare telefonate per Zohran.

L’altro grande vincitore della scorsa settimana sono stati i Democratici Socialisti d’America (DSA), la cui crescita costante nell’ultimo decennio si è basata sulla capacità di eleggere progressisti di sinistra a livello locale, statale e nazionale. Una generazione di giovani attivisti, ispirati dalla campagna presidenziale di Bernie Sanders del 2016, è entrata nei ranghi dell’organizzazione per sostenere chiunque non avesse paura di rivendicare l’etichetta di socialista. Mamdani, membro di lunga data, è il loro candidato più «organico» finora, ma ora molti altri si preparano a lanciare le proprie campagne contro la classe dirigente geriatrica dei democratici delle corporation. Questo impegno incessante nella politica elettorale ha distinto i militanti della DSA dalle fazioni più autonome, rimaste fedeli all’etica dell’auto-organizzazione e dell’orizzontalità ereditata da Occupy. La frizione tra queste due tendenze finora è stata a bassa intensità, ma tutt’altro che trascurabile.

Per quanto riguarda le proposte politiche, va detto che le posizioni di Mamdani non sono propriamente «socialiste», almeno nel senso europeo del termine. Piuttosto «socialdemocratiche», direbbero in molti. Esiste però una tradizione della politica municipale americana — da Milwaukee a Burlington (quando Sanders era sindaco), fino alla New York degli anni ’30 sotto LaGuardia — spesso definita «socialismo delle fogne». I suoi tratti distintivi sono investimenti forti nelle infrastrutture e nei servizi pubblici, edilizia popolare, assistenza all’infanzia, istruzione, e un aumento delle imposte alle imprese. L’unico elemento di proprietà pubblica nella piattaforma di Mamdani è il progetto di lanciare una rete di supermercati municipali. Eppure, questo è bastato per spingere un altro miliardario degli hedge fund ad annunciare su X: «È ufficialmente una rovente estate comunista».

Per altri, il fatto che Mamdani sia musulmano e socialista è meno scandaloso rispetto alla sua condizione di migrante: è nato in Uganda, e rappresenta una città in cui il 37% degli abitanti è nato all’estero. Il deputato repubblicano del Tennessee Andy Ogles ha suggerito che dovrebbe essere espulso e privato della cittadinanza americana. Una proposta rozza e vendicativa, ma non del tutto improbabile nel clima attuale, in cui la deportazione di chi ha un background migratorio gode ancora di ampio consenso e la corte suprema del paese è disposta a sostenere la crociata nativista dei MAGA. Gli agenti dell’ICE devono rispettare le quote di arresti (circa 3.000 al giorno) e non sono certo selettivi su chi catturare.

Il luogo più vicino dove posso vedere questi sgherri in azione è l’edificio di Federal Plaza, a Lower Manhattan, a pochi isolati da casa mia. Da una settimana faccio volontariato lì, nei tribunali per l’immigrazione. Chiunque si presenti per un’udienza a Federal Plaza rischia di essere sequestrato da agenti mascherati che stazionano nei corridoi fuori dall’aula. Il giudice impiega cinque o dieci minuti per emettere una sentenza che, per molti richiedenti asilo, equivale a una condanna a morte. Anche quando viene fissata una nuova udienza, lasciando libere le persone in questione di andare, nessuno può davvero impedire all’ICE di detenerli. Come volontari, il nostro compito è accompagnare fisicamente i «bersagli» dell’ICE dall’aula agli ascensori dell’edificio, per rendere più difficile il loro arresto. La presenza e il comportamento di questi agenti non in divisa, col volto coperto, che si rifiutano di identificarsi come funzionari dello Stato, è terrificante. È uno scenario che ha il sapore del fascismo.

E questo scenario ha toccato da vicino lo stesso Mamdani, da quando il suo alleato politico Brad Lander, revisore dei conti della città, è stato arrestato due settimane fa mentre accompagnava una persona, continuando poi a presentarsi a Federal Plaza. Se Mamdani, con Lander e altri progressisti al seguito, riuscirà a superare il traguardo di novembre, si preannuncia uno scontro diretto tra la bellezza policroma di New York (la «città di migranti» per eccellenza) e il fanatismo nazionalista bianco dei fedeli MAGA.

Che lo spettacolo abbia inizio!

***

Andrew Ross è attivista e professore alla New York University. È autore o curatore di più di venticinque libri, l’ultimo dei quali è Abolition Labor: The Fight to End Prison Slavery.

Ti è piaciuto questo articolo? Infoaut è un network indipendente che si basa sul lavoro volontario e militante di molte persone. Puoi darci una mano diffondendo i nostri articoli, approfondimenti e reportage ad un pubblico il più vasto possibile e supportarci iscrivendoti al nostro canale telegram, o seguendo le nostre pagine social di facebook, instagram e youtube.

pubblicato il in Conflitti Globalidi redazioneTag correlati:

diritto alla casanew yorkpalestinastati unititrumpZohran Mamdani

Articoli correlati

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Diretta | Blocchiamo tutto – Sciopero generale contro il genocidio del popolo palestinese

Previste oltre 50 piazze in tutta Italia. Aggiornamenti in diretta sulla mobilitazione.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Il Piemonte sa da che parte stare. In 30mila a fianco del popolo palestinese

Ieri 30.000 persone hanno invaso le strade di Torino arrivando da ogni angolo della Regione: Verbania, Forno Canavese, Val Susa, Pinerolo, Ivrea, Cuneo, Orbassano, Alessandria, Biella, Collegno, Novara, Mondovì, Vercelli, Asti, solo per citare alcuni dei territori presenti.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Sciopero generale: contro la logistica di guerra lunedì 22 settembre blocco del porto di Venezia

Mediterranean Shipping Company S.A., meglio nota con la sigla MSC, oggi è la prima compagnia di gestione di linee cargo a livello mondiale. 

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Dieci giorni di fuoco. Una cronaca della rivolta in Nepal

In Nepal, gli ultimi dieci giorni hanno scompaginato lo scenario politico. A quasi vent’anni dalla rivoluzione che aveva deposto la monarchia, il sistema politico nepalese consolidato è entrato in una forte crisi di legittimità.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Francia: blocchi contro l’industria delle armi e il genocidio a Gaza

Il 18 settembre non è stato solo un giorno di sciopero, è stato anche l’occasione per bloccare le aziende che producono armi e che sono complici del genocidio a Gaza.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Francia 18 settembre sciopero generale oltre un milione di manifestanti

Lo sciopero generale in Francia del 18 settembre è stato un chiaro avvertimento molto chiaro a Macron.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Ravenna: bloccato al porto un carico di esplosivi diretto a Israele

Ieri giovedì 18 settembre un carico di due container carico di esplosivi e diretto ad Haifa in Israele è stato bloccato al porto di Ravenna.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Piemonte: verso il 20 e il 22 settembre: giornate di mobilitazione contro il genocidio in Palestina

Continuano le mobilitazioni di piazza in tutta Italia a sostegno della Palestina, si intensificano con l’attuale escalation degli attacchi a Gaza City, e in coordinamento con la Global Sumud Flotilla.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Invasione via terra a Gaza City: aggiornamenti e collegamento da Deir Al Balah

Nella notte tra lunedì 15 e martedì 16 l’esercito israeliano, sulla scorta di massicci bombardamenti, ha fatto irruzione con centinaia di carri armati sul territorio di Gaza City.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

American Primeval

Dell’omicidio di Charlie Kirk e del suo presunto esecutore Tyler Robinson si sta parlando ampiamente.

Immagine di copertina per il post
Culture

Respirando Gaza

Respiro i miei pensieri, non sono io, è un verso di Blessing Calciati, l’ho letto ieri sera ed è perciò che stanotte mi sono svegliato respirando male.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Nella logica distorta di Israele, veganismo e genocidio vanno di pari passo

Un elemento meno noto della campagna di disinformazione israeliana è il suo status autoproclamato di nazione leader in materia di diritti degli animali

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Il Movimento No Tav era, è e sarà sempre al fianco della resistenza palestinese: sosteniamo la Global Sumud Flotilla!

Se Israele deciderà di fermare con la forza la Global Sumud Flottilla, impedendo ancora una volta l’arrivo di aiuti umanitari e provando a spegnere un atto di resistenza collettiva, noi non resteremo a guardare.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Global Sumud Flotilla: le barche italiane lasciano la costa siciliana alla volta di Gaza, “Buon vento”

Sono salpate, alla volta di Gaza, le imbarcazioni italiane della Global Sumud Flotilla dal porto siciliano di Augusta.

Immagine di copertina per il post
Formazione

Assemblea geografa per la Palestina: quanto successo in parallelo al Congresso Geografico Italiano 2025 di Torino

Dal 3 al 5 settembre 2025, presso il Campus Einaudi e il Castello del Valentino di Torino, si è svolto il 34° Congresso Geografico Italiano. 

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

L’assemblea nazionale “Stop al genocidio. Fermiamo il sionismo con la resistenza” si terrà al cinema Aquila

Alcuni giorni fa il sindaco Gualtieri aveva vietato l’utilizzo di una sala del cinema Aquila di Roma per l’assemblea nazionale convocata dalle organizzazioni palestinesi in Italia. Ora il passo indietro. LA LOTTA PAGA – L’ASSEMBLEA SI TERRÀ AL CINEMA AQUILA IL 14 SETTEMBRE ALLE ORE 10.00 Dopo la conferenza stampa di lunedì 8 settembre davanti […]