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Relazione della delegazione a İmralı del febbraio 2021

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Introduzione

In occasione del 22° anniversario del rapimento di Abdullah Öcalan, leader del Movimento curdo per la libertà, una delegazione internazionale per la pace ha organizzato una missione d’inchiesta virtuale per verificare la situazione dei diritti umani in Turchia. La delegazione era composta da dieci persone, tra cui politici di spicco, sindacalisti, accademici, avvocati e attivisti dei movimenti sociali provenienti da diversi paesi tra cui Islanda, India, Italia, Stati Uniti e Regno Unito. Insieme, abbiamo voluto continuare la tradizione degli anni passati, quando le delegazioni potevano recarsi in Turchia per sostenere la riapertura del processo di pace tra le autorità turche e la leadership curda, bruscamente interrotto nel 2015.

Siamo convinti che, come Nelson Mandela in Sudafrica, la figura di Abdullah Öcalan sia cruciale per la costruzione di una soluzione pacifica e democratica del conflitto in corso tra lo stato turco e il Movimento curdo per la libertà. Crediamo quindi che non solo sia giunto il momento di porre fine all’isolamento di Abdullah Öcalan, ma di liberarlo, poiché, come disse Mandela, “solo gli uomini liberi possono negoziare”.

Prima di iniziare i nostri incontri abbiamo inviato una richiesta al Ministro della Giustizia turco, Abdulhamit Gül, per chiedere che fosse consentito ai partecipanti alla nostra delegazione di incontrare virtualmente Abdullah Öcalan. Abbiamo anche richiesto un incontro online con il ministro, senza ricevere alcuna risposta.

Durante la nostra missione abbiamo incontrato politici curdi, rappresentanti del movimento delle donne, leader sindacali, attivisti per i diritti umani, associazioni di avvocati e membri del team legale di Abdullah Öcalan, che ci hanno informati riguardo alla pesantissima situazione dei diritti umani in Turchia, ponendo particolare attenzione all’oppressione del popolo curdo e delle donne.

Tutti i nostri interlocutori e interlocutrici ci hanno segnalato un marcato deterioramento dei diritti umani in Turchia in tutti i campi che abbiamo indagato: situazione nelle prigioni, diritti delle donne, diritti sindacali, diritti politici. Come ha sottolineato un portavoce dell’Associazione per i diritti umani: “In Turchia vige un regime autoritario che si sta mostrando in tutta la sua ferocia“.

Pesanti violazioni dei diritti umani

Lo stato turco continua le sue spietate politiche di guerra senza quartiere nei confronti del popolo curdo, dentro e fuori i suoi confini. L’occupazione illegale di parti del nord-est della Siria, controllato dai curdi, continua senza sosta, con la pulizia etnica di Afrin sempre più consolidata. Mentre nella regione del Kurdistan iracheno, le operazioni transfrontaliere e gli attacchi aerei contro obiettivi del PKK hanno portato all’uccisione e al ferimento di civili, come denunciato da Human Rights Watch (https://www.hrw.org/world-report/2021/country-chapters/turkey). Nel frattempo, in Turchia, persiste con la sua brutale ondata di repressione del popolo curdo iniziata nel 2015, dopo la rottura del processo di pace.

Abbiamo appreso come le organizzazioni femminili siano state chiuse e i diritti sociali delle donne limitati. Ci sono state raccontate storie raccapriccianti di singole donne abusate e molestate, spesso da autorità in uniforme. Ci sono state date prove dell’aumento della brutalità nelle prigioni, di come gli avvocati e i sindacalisti sono stati perseguitati e i diritti politici erosi; di come i rapimenti e le sparizioni per mano della polizia siano all’ordine del giorno: “Non vogliamo più che ci vengano consegnati cadaveri sulla porta di casa”, ci è stato detto.

La lunga lista e i dettagli riguardo alle violazioni dei diritti umani che i nostri interlocutori e interlocutrici hanno riferito sono strazianti. Regna un regime di impunità, in cui lo stupro, il rapimento e la tortura delle donne curde da parte delle forze di sicurezza turche è dilagante. I prigionieri politici sono abitualmente torturati e viene loro negato l’accesso all’assistenza sanitaria e persino a presidi di igiene personale. Con il pretesto della pandemia, le manifestazioni sono vietate. I cimiteri vengono saccheggiati in tutta la regione curda, le tombe vengono profanate e le ossa dei militanti del PKK finiscono nelle strade di Istanbul. Due persone sono state gettate da un elicottero della polizia a Van, e chi ha denunciato il fatto è stato arrestato e processato.

La libertà di stampa è praticamente inesistente. “Puoi aspettarti che qualcuno bussi alla tua porta il giorno dopo aver criticato il governo“, ci hanno riferito. I giornali che criticano il governo vengono chiusi, e i membri dei consigli di amministrazione sono accusati di appartenere a un’organizzazione terroristica. Nonostante il fatto che la stragrande maggioranza della stampa sia ormai nelle mani di aziende vicine al governo, o comunque eviti di fare commenti critici, secondo Human Rights Watch, alla fine del 2020 “si stima che 87 giornalisti e lavoratori dei media fossero in detenzione preventiva o stessero scontando condanne per reati di terrorismo a causa del loro lavoro giornalistico” (https://www.hrw.org/world-report/2021/country-chapters/turkey).

L’indipendenza della magistratura è stata del tutto minata. Gli avvocati vengono accusati per aver difeso i loro clienti. La persecuzione giudiziaria di tutti gli oppositori del governo Erdoğan è sistematica, e la repressione politica contro l’opposizione filo-curda è particolarmente feroce. Il secondo giorno della nostra visita, sono state arrestate 718 persone, quasi tutti iscritti al Partito Democratico dei Popoli (HDP). Negli ultimi anni sono stati arrestati migliaia di iscritti dell’HDP. Molti hanno ricevuto minacce da parte delle forze di sicurezza, che hanno chiesto loro di diventare confidenti e, quando è stato opposto un rifiuto a tali richieste, sono stati rapiti e torturati. Ci sono state anche sparizioni forzate.

Inoltre, gli ex co-presidenti dell’HDP Selahattin Demirtas e Figen Yüksekdağ dal novembre 2016 rimangono in prigione con l’accusa di terrorismo. Una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del dicembre 2020 con cui si chiede la liberazione di Demirtas è stata respinta dal ministro dell’interno del governo che l’ha definita “senza senso” in quanto, a suo dire, “Demirtas è un terrorista” (https://www.aa.com.tr/en/turkey/echr-ruling-on-terrorist-hdp-leader-is-meaningless/2087175). Mentre, secondo Amnesty International, “32 sindaci democraticamente eletti con l’HDP sono stati sostituiti da commissari statali: alla fine del 2020 18 di loro sono ancora in detenzione preventiva” (https://www.amnesty.org/en/countries/europe-and-central-asia/turkey/report-turkey/).

In relazione al sistema giudiziario, un rappresentante dell’Associazione degli Avvocati Liberi (ÖHD) osserva che: “La magistratura qui non è mai stata indipendente; ma negli ultimi tempi, dopo le epurazioni seguite al tentato golpe del 2016, i giudici sostanzialmente prendono ordini. I procuratori e i giudici decidono pensando a ciò che farebbe Erdoğan al loro posto. Le loro decisioni non sono basate sulla legge“. Human Rights Watch è d’accordo. Secondo il suo rapporto del 2021 riferito a ciò che accade in Turchia: “Le interferenze dell’esecutivo nel sistema giudiziario e nelle decisioni dei pubblici ministeri sono problemi radicati, che si riflettono nella pratica sistematica delle autorità di arrestare, perseguire e condannare con accuse fasulle ed esagerate di terrorismo o di altro tipo individui che il governo Erdoğan considera come critici o oppositori politici. Tra le persone prese di mira ci sono giornalisti, politici dell’opposizione e attivisti, in particolare membri del Partito Democratico dei Popoli (HDP), filo-curdo” (https://www.hrw.org/world-report/2021/country-chapters/turkey).

La situazione è davvero terribile.

Il sistema di isolamento İmralı

Tutti i nostri interlocutori e interlocutrici hanno ribadito più e più volte che il deterioramento dei diritti umani in tutto il paese va collegato all’intensificazione del regime di isolamento di Öcalan. “Il sistema İmralı“, sostengono, “non solo viene applicato in altre prigioni, ma si è diffuso a tutta la società“. Questa diffusione del sistema di isolamento di İmralı significa l’istituzionalizzazione di una dittatura. La Costituzione e le leggi turche non vengono applicate, il diritto internazionale non viene applicato, le decisioni dei tribunali internazionali sono disattese.

Invece, sono all’ordine del giorno l’impunità e la tirannia. Nelle parole del portavoce del Congresso Democratico del Popolo (HDK): “La Turchia in questo momento è in vicolo cieco, è in crisi, è nel caos. Ma in realtà questa situazione è strettamente connessa all’isolamento di İmralı… È molto chiaro che la questione curda in Turchia è parte del problema della democrazia. In realtà, con l’isolamento di İmralı si reprimono tutte le istanze di democrazia nel paese…“. Un portavoce del Partito Democratico dei Popoli (HDP) aggiunge: “Quando il regime di isolamento si fa più duro ci sono più morti e l’intensità della guerra aumenta. Al contrario, quando l’isolamento si attenua, la violenza diminuisce“.

Molto simili le dichiarazioni di un portavoce del Partito delle Regioni Democratiche (DBP): “Lo stato turco è ben consapevole dell’impatto del pensiero di Öcalan sul popolo curdo e per questo vogliono isolare le sue idee. Oggi il regime di Erdoğan in Turchia usa l’isolamento sistematicamente“. Un portavoce del Congresso della Società Democratica (DTK) ha insistito: “Oggi l’isolamento va oltre Öcalan. La repubblica turca, isolando Öcalan, vuole impedire una soluzione democratica. In passato, quando Öcalan ha avuto la possibilità di esprimersi, si sono aperte delle opportunità. Öcalan non è una persona qualunque. Il popolo curdo non potrà essere libero se Öcalan non sarà libero. Stanno cercando di metterlo a tacere. L’isolamento è un metodo. Va detto che in situazioni come questa il popolo curdo non rimane mai calmo“.

Silenzio e complicità della comunità internazionale

Nel frattempo, la comunità internazionale sta a guardare, per lo più in silenzio. E silenzio significa complicità. Il Comitato per la prevenzione della tortura (CPT) ha visitato l’isola di İmralı nel maggio 2019, e pubblicato un rapporto nell’agosto 2020 in cui chiedeva molto chiaramente alle autorità turche “senza altri indugi” di “effettuare una revisione completa del regime di detenzione applicato ai prigionieri condannati all’ergastolo aggravato nelle prigioni turche…”. Le autorità turche non solo hanno ignorato queste richieste, ma di fatto hanno intensificato e aggravato l’isolamento applicato a İmralı. Dal 27 aprile 2020 non c’è stato alcun contatto con Abdullah Öcalan. Eppure, inspiegabilmente, il CPT, nella sua ultima visita in Turchia del gennaio 2021, non ha fatto richiesta di visitare l’isola di İmralı né ha espresso il suo sconcerto per il fatto che le sue raccomandazioni siano state ignorate con tanto disprezzo.

Il silenzio e la complicità delle istituzioni europee con il regime di Erdoğan sono stati ulteriormente messi in luce dalla recente visita in Turchia del presidente della Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo che, nel settembre del 2020, ha ricevuto un’onorificenza presso l’università di Istanbul, proprio quella in cui le epurazioni degli accademici sono state più massicce. Ha poi visitato Mardin per incontrare i “commissari” insediati dal governo che aveva licenziato i co-sindaci democraticamente eletti della città.

Il capo della Corte dei diritti dell’uomo visita il paese e si comporta come se tutto fosse normale. Il rapporto del CPT rimane inascoltato. Il CPT torna nel paese, ma non si preoccupa di dare un seguito alle sue richieste. Chiediamo la fine di questo silenzio, di questa complicità e di questa vigliaccheria oltre a una revisione delle relazioni economiche, commerciali, militari e diplomatiche con la Turchia.

“Ciò che è necessario”, ci ha detto un rappresentante del Congresso della Società Democratica (DTK), “è che la resistenza del popolo curdo abbia il sostegno della comunità internazionale, che dovrebbe prendere posizione chiaramente – ed è ciò che il mondo ha visto a Kobane, quando le forze guidate dai curdi hanno respinto il brutale attacco dell’ISIS, fascisti di cui lo stato turco era complice”. Ma in Turchia, lamenta una portavoce del Movimento delle donne libere (TJA), i curdi “sono stati completamente abbandonati dalla comunità internazionale“.

Un rappresentante della Confederazione dei sindacati dei dipendenti pubblici (KESK) ha denunciato: “Purtroppo dobbiamo dire che le organizzazioni internazionali come il CPT non hanno fatto abbastanza contro le violazioni dei diritti umani in Turchia, non hanno preso una posizione chiara. Nell’Unione Europea, la Germania in particolar modo si è sempre schierata con Erdoğan e la Turchia, anche nel Consiglio d’Europa, e questo impedisce di prendere decisioni. Questo va detto chiaramente. La questione curda ha dimensione internazionale e non la si vuole risolvere in modo democratico; gli Stati Uniti, il Regno Unito e la Germania, i paesi capitalisti sviluppati, prendono sempre posizione a favore della Turchia. Questo ci dice che per loro, più che i diritti umani, prevalgono gli interessi economici.”

Allo stesso modo, come ha chiesto fermamente un portavoce del Partito delle Regioni Democratiche: “Abbiamo bisogno di una resistenza sistematica. La diplomazia tra gli stati può giocare un ruolo. Ma non possono semplicemente mostrarsi preoccupati, devono fare altri passi. Devono sostenere l’opposizione. Per esempio, dovrebbero fare pressione sulle autorità turche affinché implementino la risoluzione della CEDU per il rilascio di Demirtas. Dovrebbero fare pressione sulla Turchia perché fermi i suoi attacchi militari nei confronti delle organizzazioni curde nel paese e fuori del paese“.

La volontà dei curdi di resistere

La resistenza del popolo curdo, la sua resilienza di fronte a queste terribili violazioni dei diritti, la sua determinazione, la sua volontà di lottare, rimangono intatte. Due anni fa è partita dalle prigioni un’ondata di scioperi della fame, con la richiesta specifica di porre fine all’isolamento di Öcalan. In quell’ondata di scioperi della fame nove persone hanno perso la vita, ma con quella lotta è stato ottenuto un parziale allentamento del regime di isolamento totale, anche se per un tempo molto limitato, e quella lotta è servita anche a fare pressione sul CPT, che ha visitato Öcalan a İmralı nel maggio del 2019. Ora, circa 80 giorni fa, è partita un’altra ondata di scioperi della fame; anche in questo caso la richiesta è quella di porre fine all’isolamento di Öcalan, anche se per il momento rimane uno sciopero a rotazione e non a tempo illimitato. Tuttavia, potrebbe trasformarsi in uno sciopero a tempo illimitato, e questo metterebbe a rischio la vita di molti detenuti. La loro convinzione che Öcalan dovrebbe poter incontrare i suoi avvocati e la sua famiglia è fermissima; dopo tutto, è ciò che gli spetterebbe di diritto.

Va detto che la tattica dello sciopero della fame non vede il favore di tutti coloro con cui abbiamo parlato. Tutt’altro. Un rappresentante del Partito Democratico dei Popoli (HDP), per esempio, ha detto: “noi non siamo molto favorevoli a questo metodo“, anche se ha subito aggiunto: “ma se le condizioni restano queste allora lo rispetteremo, e cercheremo di far sì che le richieste di chi sciopera vengano ascoltate“.

I prigionieri non sono gli unici a mostrare la loro volontà di resistere. Coloro con cui abbiamo parlato, da rappresentanti del movimento delle donne ai sindacati, dalle organizzazioni per i diritti umani fino ai partiti politici, hanno dimostrato un coraggio straordinario e ammirevole, anche di fronte all’immensa brutalità, all’autoritarismo delinquenziale, al fascismo sempre più consolidato dello stato turco. Nelle parole di una rappresentante del Movimento delle donne libere (TJA): “Tutti coloro che dicono ‘Io sono vivo, io sono qui’, vengono arrestati, e con questo sistema Erdoğan spera di logorarci tutti; ma noi siamo stati arrestati molte, molte volte e abbiamo subito ogni tipo di violenza. Anche in queste condizioni non abbiamo mai abbandonato la lotta, siamo ripartiti dal punto in cui trovavamo. Da trent’anni a questa parte ci aggrappiamo sempre di più alla lotta“.

Anche un portavoce del Congresso della Società Democratica (DTK) ci ha detto: “I curdi sono un popolo in lotta, la cui lingua è stata proibita, le cui organizzazioni sono state criminalizzate; ogni dichiarazione che ciascuno di noi fa viene punita con decenni di prigione. Ora stiamo parlando con voi. Siamo persone che in Turchia portano avanti un percorso politico democratico. Ma ognuno di noi è stato in prigione o ha ricevuto pene detentive per dieci, quindici anni solo per le nostre dichiarazioni, idee e pensieri“. A questo ha aggiunto un appello affinché la nostra delegazione facesse pervenire al mondo esterno le condizioni in cui sono costretti ad andare avanti. E ha aggiunto, con eloquenza: “Tutte le cose che stiamo dicendo qui, vorremmo che arrivassero a un pubblico internazionale, attraverso le vostre voci. Quindi, ognuno di noi ha una responsabilità. Gli sforzi che farete con noi, o con altre istituzioni democratiche come noi, sono molto, molto significativi e importanti. Ci alzano il morale e aumentano la nostra forza per continuare a lottare“.

La lotta delle donne

La lotta del movimento delle donne merita un’attenzione particolare. Come denuncia il Movimento delle donne libere (TJA) nel suo recente rapporto del 2020 sulla violenza maschile di stato contro le donne in Kurdistan: “Stiamo ora attraversando un periodo in cui ci troviamo in un circolo vizioso e subiamo violenza a tutti i livelli, come donne che conducono sia una lotta di genere sia una lotta per la nostra identità come curde… Dopo il 2015, con il consolidamento del fascismo, tutti i diritti e le conquiste in materia di cambiamento e trasformazione sociale ottenuti grazie alla lotta delle donne sono stati presi di mira dallo stato” (pp.3-4).

Sembra che il governo Erdoğan intenda ritirare la sua firma dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, la Convenzione di Istanbul (https://www.reuters.com/article/us-turkey-women-idUSKCN2511QX). Questo avviene nel momento in cui, come documenta il rapporto del TJA, “con le sue politiche, l’attuale governo turco ha causato un aumento dei casi di violenza maschile nei confronti delle donne. La chiusura di istituzioni e organizzazioni femminili, l’arresto e la detenzione di attiviste che lottano per la libertà delle donne, l’attuazione di politiche di guerra speciali mirano a eliminare gli strumenti e le persone che servono a eliminare la violenza.” Il rapporto del TJA richiama l’attenzione in particolar modo al fatto che “l’eliminazione delle organizzazioni femminili ha avuto un profondo impatto sulla lotta delle donne”. Il rapporto sottolinea inoltre che: “La chiusura, la messa al bando, il rendere illegali le realtà a cui le donne potevano rivolgersi in caso di violenza e grazie alle quali avrebbero acquisito più forza, ha lasciato le donne vulnerabili a vari tipi di violenza, soprattutto quella domestica. In questo modo le donne sono state private di quegli strumenti che dal punto di vista sociale, culturale ed economico avrebbero potuto rendere visibile l’identità femminile e favorito il suo riconoscimento come entità dotata di una forza di volontà propria. Queste politiche continuano in Kurdistan nel quadro delle detenzioni e degli arresti, della nomina di commissari governativi nelle municipalità e delle politiche di guerra speciale” (p.10). Tra queste spicca l’uso dello stupro come strumento di combattimento, così come molti altri casi di violenza da parte di forze in uniforme. Mentre per quanto riguarda le detenzioni e gli arresti, nel 2020, “almeno 244 attiviste del TJA sono state condannate e 81 di loro sono in custodia cautelare, in attesa di giudizio” (p.10-11).

L’ondata di reazione, la spietata repressione delle donne, è arrivata all’indomani della fine del processo di pace, nel quale il movimento delle donne ha avuto un ruolo molto significativo, e durante il quale il movimento aveva fatto notevoli progressi verso la realizzazione del suo modello “democratico confederale”. Come ha spiegato una portavoce del TJA: “Durante il processo di pace, il movimento delle donne ha portato avanti un lavoro fondamentale. Abbiamo sempre difeso la pace, mentre in tempo di guerra si manifesta la mentalità maschile. Durante il processo di pace sono stati creati consigli di pace e consigli delle donne. Anche il sistema dei copresidenti è stato un risultato significativo. Questo era qualcosa che il movimento curdo ha teorizzato per lungo tempo. È stato Öcalan a farlo. Il movimento curdo, il movimento delle donne, è stato in grado di sviluppare questa idea, è stato fatto un passo concreto“.

Il sistema dei copresidenti garantiva un’equa partecipazione delle donne nei posti chiave; invece, con la rimozione dei sindaci democraticamente eletti in tutta la regione curda e la loro sostituzione con commissari nominati dal governo, si sono volute colpire soprattutto le donne. “Tutto ciò che è stato fatto di positivo per le donne è stato trasformato in qualcosa di negativo“, ci ha detto la portavoce del TJA. “Le istituzioni femminili sono state prese di mira. Gli accademici per la pace sono stati presi di mira. Il sistema di isolamento iniziato a İmralı è arrivato a inghiottire l’intero paese“.

Come altri con cui abbiamo parlato, anche il movimento delle donne mette in connessione l’isolamento di Öcalan con la repressione che subisce. Come sostiene il TJA nel suo rapporto: “L’imposizione di condizioni di isolamento totale a un’intera società, in primo luogo nel sistema carcerario dell’isola di Imralı, e l’aggravamento quotidiano del sistema di isolamento è chiaramente un mezzo per legittimare la violenza, l’illegalità e ogni sorta di sporca politica di stato. La proiezione sulla società del sistema applicato sull’isola di İmralı mira a raggiungere l’obiettivo di minare tutti i diritti e i valori sociali. L’isolamento del leader del popolo curdo Abdullah Öcalan blocca intenzionalmente qualsiasi soluzione alla questione curda e prolunga ulteriormente la guerra” (p. 4).

La ricaduta del sistema di isolamento di İmralı

Sulla scia del fallito colpo di stato del 2016 il regime di isolamento si è diffuso da İmralı per arrivare a colpire con particolare intensità il crescente numero di prigionieri politici in tutto il paese. “Le prigioni sono piene di persone che vogliono la democrazia“, ci ha detto un rappresentante del Partito Democratico dei Popoli (HDP). Dall’inizio della pandemia, l’isolamento dei prigionieri politici si è aggravato ulteriormente. Molti dei prigionieri “regolari” hanno avuto le loro sentenze ritardate o commutate a causa della pandemia, compresi persino i capi mafia, ma per le decine di migliaia di prigionieri politici non è stato applicato lo stesso metodo. I prigionieri malati sono stati privati di qualsiasi assistenza sanitaria e persino di presidi per l’igiene personale. Nel frattempo, le prigioni sono luoghi ad alto rischio di contagio. In una prigione, per esempio, tutti i prigionieri di due reparti sono risultati positivi al coronavirus. Mentre la tendenza è quella di tenere in prigione il più a lungo possibile soprattutto i prigionieri curdi, emettendo anche azioni disciplinari arbitrarie e negando la libertà vigilata a coloro che si rifiutano di pentirsi. Anche ai prigionieri politici gravemente malati viene più frequentemente negata la clemenza. “Se riesci a muovere la testa, dicono, puoi rimanere in prigione“, ci ha riferito un portavoce dell’Associazione degli avvocati liberi (ÖHD).

I diritti dei prigionieri sono abitualmente violati: vengono sottoposti a sorveglianza invasiva e a perquisizioni corporali, sono dispersi in tutto il paese, lontani dalle loro famiglie, e vengono torturati e ulteriormente puniti ogni volta che mettono in atto qualunque forma di resistenza. Il governo fa sfoggio del suo potere nelle prigioni, e gli abusi sono sempre più gravi. Come riassume l’Associazione avvocati liberi nel suo rapporto del 2020: “Il sistema fa sì che le condizioni del prigioniero peggiorino sempre più e che il problema principale divenga quello di sopravvivere in prigione” (p.1).

Questa terribile situazione ha scatenato, alla fine di novembre 2020, l’inizio di una seconda ondata di scioperi della fame, simile a quella che si è diffusa nel paese due anni fa. I prigionieri chiedono la fine delle violazioni dei diritti umani nelle prigioni turche e il miglioramento delle condizioni di “esecuzione aggravata” nella prigione di İmralı, oltre alla possibilità di ricevere visite dei familiari e avere accesso agli incontri con gli avvocati. Hanno scritto alle organizzazioni internazionali, per denunciare la loro situazione e rendere note le loro richieste, ma le guardie carcerarie hanno fatto in modo che il loro messaggio non raggiungesse il mondo esterno. “Speriamo che il vostro rapporto possa mettere in luce questa situazione“, ha implorato durante il nostro incontro un portavoce della Federazione delle associazioni in solidarietà con le famiglie dei prigionieri (TUHAD).

Inoltre, e ancora più inquietante, è il fatto che, come ha sottolineato la portavoce del movimento delle donne, il regime di isolamento abbia oltrepassato i confini delle prigioni per colpire l’intera società. Nelle parole di un rappresentante del Partito delle Regioni Democratiche (DBP): “La politica di isolamento è diventata un pilastro del nuovo sistema in Turchia“. O, come si è espresso un portavoce della Società Democratica del Popolo (HDK): “L’isolamento aggravato di Öcalan si è riversato ad altre prigioni, e da lì al resto della società. Le norme giuridiche turche e il diritto internazionale non sono rispettati. Eliminare questo isolamento aggravato sarebbe utile alla causa della pace“. Ancora più acuto è stato il commento di un altro rappresentante del DBP: “Ci troviamo nella situazione in cui il fascismo sta cercando di istituzionalizzarsi. Questo processo è iniziato con l’isolamento e il processo di İmralı, un processo che non rispetta la costituzione turca, un processo al di fuori della legge. Oggi c’è un isolamento aggravato nei confronti della società curda in generale, e la repressione è all’ordine del giorno in tutta la Turchia… La Costituzione non viene applicata. Le decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo non sono applicate. C’è stata una risoluzione del 2014 sulla necessità di un nuovo processo per Öcalan, ma non è messa in pratica. Né viene applicata la risoluzione a favore di Demirtas. Nel frattempo, il sistema di tortura iniziato a İmralı si è diffuso come un cancro a tutta la società“.

Gli eccessi della guerra contro il “terrorismo”

La definizione di terrorismo inclusa nella legislazione è particolarmente vaga, e viene applicata piuttosto indiscriminatamente nei confronti di chiunque si opponga al governo di Erdoğan. Nel 2006, un relatore speciale delle Nazioni Unite aveva criticato la definizione di terrorismo come prescritto dall’articolo 1 del codice antiterrorismo, poiché questa non si basava su azioni criminali specifiche, ma sull’intento o sull’obiettivo dell’indagato. Secondo il relatore, questa definizione era ampia e vaga. In questi casi, persone e organizzazioni potevano essere criminalizzate come terroristi anche se non avevano commesso alcun atto violento (“Valutazione e raccomandazioni di IHD sugli emendamenti alla legge sull’esecuzione delle pene”, p.3). Inoltre, come ha insistito l’Associazione per i Diritti Umani (IHD), una definizione così vaga di terrorismo inserita nel codice antiterrorismo è incostituzionale e “contraria alle convenzioni internazionali”, e “viola l’essenza dei diritti e delle libertà fondamentali dei cittadini” (p.4). Infatti, hanno sostenuto, “leggendo i rapporti delle organizzazioni di giornalisti e per la difesa dei diritti umani, le violazioni causate da una definizione di terrorismo così vaga sono molto evidenti” (p.3).

In tal senso, Human Rights Watch ha osservato che “il governo di Erdoğan si rifiuta di distinguere tra il PKK e il Partito Democratico dei Popoli (HDP), democraticamente eletto, che ha ottenuto l’11,7% dei voti nelle elezioni parlamentari del 2018 e vinto in 65 comuni nelle elezioni locali del 2019” (https://www.hrw.org/world-report/2021/country-chapters/turkey). Human Rights Watch trascura però di aggiungere che, quando si tratta dello stesso PKK, la Corte di Cassazione belga ha sancito, nel marzo del 2019, che la forza paramilitare curda non deve essere classificata come organizzazione terroristica, ma piuttosto come l’attore di un conflitto armato (https://www.kurdistan24.net/en/story/19081-Belgian-court:-PKK-not-a-terrorist-organization). Certamente il silenzio da parte di Human Rights Watch su questo punto cruciale non sorprende, perché il PKK resta comunque classificato come organizzazione terroristica non solo dalla Turchia ma anche dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti.

In ogni caso, il codice antiterrorismo è spesso applicato senza distinzione agli attivisti di tutte le organizzazioni collegate al movimento per la libertà curdo. E inoltre, come ha sottolineato un rappresentante del Partito delle Regioni Democratiche (DBP): “Hanno etichettato come terroristi non solo i curdi ma anche l’opposizione turca“.

Si aggiunge la questione della tortura sistematica. Nel suo rapporto del 2020 sulla “Difesa dei diritti umani durante la pandemia e lo stato di emergenza”, l’Associazione per i diritti umani ha dichiarato: “In Turchia nel 2020 la tortura è rimasta il problema più serio relativo ai diritti umani“. Secondo il rapporto, “i casi di tortura nei centri di detenzione ufficiali e nei luoghi extragiudiziali, nelle strade, nelle prigioni e quasi ovunque, insieme all’‘ingerenza estrema e sproporzionata’ delle forze dell’ordine, che arriva ad applicare forme di tortura nelle assemblee e nelle manifestazioni, hanno raggiunto una nuova dimensione e intensità”. Il rapporto conclude, senza mezzi termini, che “oggi praticamente si può affermare che tutto il paese è diventato un luogo di tortura a causa del sistema di governo del potere politico, basato sulla repressione e sul controllo” (p.2).

Anche l’Associazione degli avvocati liberi riferisce nel suo rapporto 2020: “Irrompere nella casa di qualcuno al mattino presto, quando la dichiarazione di una persona può essere estorta più facilmente, maltrattare e sottomettere non solo la persona che si vuole colpire ma anche tutti i membri della sua famiglia e i suoi parenti, essere sottoposti all’uso della forza e della violenza durante la custodia, soffrire condizioni inumane quando ci si trova in custodia (come mancanza d’aria, cibo e acqua insufficienti ecc.) sono i casi di tortura più comuni” (p.1).

Human Rights Watch aggiunge che “[i pubblici ministeri] non conducono indagini significative sulle accuse [di tortura] e c’è una cultura pervasiva di impunità per i membri delle forze di sicurezza e i funzionari pubblici coinvolti” (https://www.hrw.org/world-report/2021/country-chapters/turkey). Mentre, secondo Amnesty International, nel maggio del 2020, a Urfa, uomini e donne che erano stati arrestati “dopo uno scontro armato tra le forze di sicurezza e il PKK hanno riferito … [di essere stati] torturati anche con scariche elettriche ai genitali” (https://www.amnesty.org/en/countries/europe-and-central-asia/turkey/report-turkey/).

Il rapporto 2020 dell’Associazione per i Diritti Umani richiama anche l’attenzione sull’agghiacciante aumento di sparizioni forzate e rapimenti, aggiungendo che questa situazione ha persino indotto il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa “a tenere la Turchia sotto una maggiore sorveglianza sui casi di sparizione forzata” (p.2). Human Rights Watch ha osservato che “non ci sono state indagini efficaci sulle circa due dozzine di casi di sparizione forzata riportati negli ultimi quattro anni” (https://www.hrw.org/world-report/2021/country-chapters/turkey).

Inoltre, la libertà di espressione è stata completamente soppressa. Naturalmente la questione curda è il più sensibile degli argomenti, e le critiche alle politiche governative di guerra a tutto tondo contro il popolo curdo vengono sempre sanzionate attraverso l’uso del codice antiterrorismo. Ma l’intolleranza del governo verso le critiche si estende oltre la questione curda. L’anno scorso sono state avviate indagini e azioni legali nei confronti di coloro che hanno criticato le politiche del governo per fronteggiare la pandemia. Allo stesso modo, i post sui social media sono spesso perseguiti. Inoltre, più recentemente, il governo ha cercato di reprimere l’ondata di proteste scoppiate nel gennaio del 2021 presso la prestigiosa Università Boğaziçi, in reazione alla nomina da parte dello stato di un nuovo rettore pro-AKP; proteste che la polizia antisommossa ha violentemente represso con centinaia di persone arrestate e con il presidente che ha accusato i manifestanti di essere “terroristi” e “giovani LGBT” che cercano di minare “i valori nazionali e spirituali” (https://www.theguardian.com/world/2021/feb/04/turkey-student-protests-grow-young-people-vent-frustrations-with-Erdoğan).

In relazione a questo, come denunciato dall’Associazione per i diritti umani, “le restrizioni e le violazioni della libertà di riunione sono state la regola, mentre la possibilità di godere delle libertà è stata l’eccezione” (p.3). In questo senso, come ha riferito Human Rights Watch, i governatori provinciali hanno usato la pandemia come pretesto per “vietare proteste pacifiche di attivisti e attiviste per i diritti delle donne, operatori e operatrici sanitari, avvocati e avvocate e partiti politici di opposizione” (https://www.hrw.org/world-report/2021/country-chapters/turkey). Mentre, secondo Amnesty International, i curdi sono stati i principali bersagli di tali divieti. Divieti generalizzati sono stati imposti anche contro “coloro che protestavano contro la rimozione dalla carica dei sindaci eletti”, nonché contro la cosiddetta “Operazione Primavera di pace”, l’offensiva illegale che lo stato turco sta portando avanti nel nord-est della Siria, controllato dai curdi (https://www.amnesty.org/en/countries/europe-and-central-asia/turkey/report-turkey/).

A peggiorare ulteriormente le cose, come ha segnalato la Confederazione dei sindacati dei dipendenti pubblici (KESK), in un recente rapporto sui “diritti sindacali e la situazione della libertà in Turchia”: “I membri dei sindacati e i difensori dei diritti umani hanno seri problemi in Turchia. Sono problemi che includono molestie giudiziarie come nel caso dell’arresto e della detenzione, così come nei processi in tribunale. Inoltre, le indagini amministrative e i trasferimenti vengono utilizzati per fare pressione sui membri del sindacato. Le autorità pubbliche non esitano a criminalizzare e diffamare gli attivisti e i leader sindacali, anche se questi diritti dovrebbero essere tutelati dalle leggi nazionali e internazionali” (p.5).

Abdullah Öcalan e le prospettive di una pace democratica

Tuttavia, le idee, le manifestazioni, le organizzazioni represse con più crudeltà, sono quelle associate alla figura di Abdullah Öcalan. Ma che cosa rende Öcalan un problema così grande per le autorità turche? Per prima cosa, è visto da milioni di persone come l’incarnazione della nazione curda e della volontà dei curdi di esistere; la sua persecuzione è emblematica della condizione dei curdi. Come dice uno dei membri dello studio legale Asrin, il suo team legale: “L’esistenza di Öcalan e quella del popolo curdo vanno di pari passo”.

Ma non solo. Dall’isola di İmralı Öcalan ha costantemente chiesto che si lavorasse per trovare una soluzione pacifica e democratica alla questione curda. La sua è chiaramente una voce per la pace e la democrazia, ma per una democrazia diversa, di tipo radicale e partecipativo. Infatti, nei cinque volumi del Manifesto per una civiltà democratica, scritti come parte della sua difesa, Öcalan ha elaborato un impressionante ribaltamento dell’idea di democrazia, basato dell’autodeterminazione, e ha delineato un programma e un modello di “confederalismo democratico”, che è stato d’ispirazione per i suoi seguaci, e che ha trasformato i contorni e il contenuto della lotta del popolo curdo. La lotta non è più inquadrata nei termini classici della liberazione nazionale ma come una lotta per costruire un’alternativa alla dialettica negativa della tirannia e del caos in cui il paese, la regione, il mondo sono sempre più sommersi.

Öcalan propone un’alternativa radicale di democrazia diretta, che mette al centro della lotta la liberazione delle donne, che ritiene necessario che le diverse etnie e religioni imparino a convivere e che sottolinea l’urgenza della sostenibilità ambientale. Questi sono ideali nobili, e non sono solo ideali ma la visione che sta dietro agli sviluppi concreti e rivoluzionari avvenuti nella regione, nel nord-est della Siria, per essere precisi in Rojava. Le sue sono parole che muovono le masse. E questo aiuta a capire per quale motivo le autorità turche sono così impegnate a isolarlo, a metterlo a tacere; lo considerano seriamente il nemico pubblico numero uno.

Come ha sottolineato un portavoce dell’ufficio legale di Asrin: “İmralı è diventato un laboratorio per la democrazia. La proposta di cambio di paradigma proposto da Öcalan per una nazione democratica sarebbe la soluzione per il Medio Oriente e non solo per i curdi, ma per la coesistenza fra tutti i popoli. Ecco perché l’isolamento è così feroce“.

In sostanza, le autorità turche non vogliono la pace e la democrazia. Al contrario, come sostiene un rappresentante della Confederazione dei sindacati dei dipendenti pubblici (KESK), prosperano con “il populismo di destra e il fascismo che sono sempre più diffusi e rivendicati. In Turchia e fuori dai suoi confini, i popoli vengono messi gli uni contro gli altri con le politiche securitarie, di guerra e con le ambizioni neo-ottomane“. Quando gli è stato chiesto un chiarimento, ha spiegato ulteriormente: “C’è una crisi economica da lungo tempo, che con la pandemia si è aggravata. C’è molta povertà, molta disoccupazione che, naturalmente, il governo copre con la violenza, con il nazionalismo, con le politiche securitarie, con la guerra“.

La visione di Öcalan contraddice, minaccia di annullare la politica del dividi e impera, ed è quindi, comprensibilmente, percepita come una minaccia per le autorità turche. E non solo per loro. Come ci ha ricordato un membro del team legale di Öcalan: “Questo non è un problema solo dello stato turco. La responsabilità è anche del Consiglio d’Europa, complice di questa situazione, perché o fanno finta di nulla o lasciano fare“.

Lasciar fare cosa, esattamente? Innanzitutto, l’anomalia giuridica rappresentata da İmralı, una prigione costruita per un solo uomo. Infatti, come ha ulteriormente argomentato il portavoce dello studio legale Asrin: “Con İmralı, la Turchia ha creato una prigione al di fuori del diritto internazionale“. Ha continuato a fare un paragone piuttosto provocatorio, insistendo: “İmralı è un proto-Guantánamo“, per poi concludere: “İmralı è un buco nero nel diritto internazionale. È illegale. La Turchia lì fa quello che vuole. Non c’è un’altra prigione come quella nei paesi del Consiglio d’Europa… Non c’è un’altra prigione dove passano 8 anni senza che un avvocato possa entrare“.

L’isolamento su İmralı è più estremo e intenso che mai. Nel suo rapporto del 2020, il team legale di Öcalan parla della situazione di İmralı come di “un isolamento assoluto che costituisce una forma di tortura sistematica” (p.1). Anche il CPT è stato chiaro sul fatto che le condizioni sono inaccettabili. Nel 2019, uno sciopero della fame in cui hanno perso la vita nove persone, insieme alle pressioni sociali, avevano contribuito a “una limitata sospensione dell’isolamento a İmralı”, e come risultato, a Öcalan sono state permessi 5 incontri con i suoi avvocati e 3 visite con i familiari, prima che l’isolamento totale venisse ripristinato nell’agosto dello stesso anno. L’anno scorso l’isolamento è stato quasi totale, con due eccezioni, una visita della famiglia, in marzo, dopo il clamore pubblico in relazione alle voci che c’era stato un incendio, e una telefonata di venti minuti con suoi avvocati in aprile, la prima chiamata consentita nei suoi 21 anni sull’isola, concessa in relazione alla pandemia. Eppure, dalla fine di aprile, ogni contatto con il mondo esterno è stato proibito.

Lo scorso agosto, il CPT ha pubblicato un rapporto della sua visita del maggio 2019, in cui chiedeva “una revisione completa del regime di detenzione”. La autorità turche hanno risposto con nuovi divieti sul diritto alla comunicazione telefonica, sulle consultazioni con gli avvocati e sulle visite con i familiari. Come riporta lo studio legale Asrin, “nel 2020 nessuna delle 96 richieste di incontro con i legali del signor Öcalan presentate è stata accolta”, mentre è stata accolta solo una delle cinquanta richieste di visite familiari” (pp.5-6).

Lo studio legale Asrin conclude il suo rapporto 2020 sottolineando che “il sistema di isolamento e tortura di İmralı è stato architettato non solo dal sistema giuridico turco ma anche dalle pratiche illegali del sistema giuridico internazionale. Il fatto che la Turchia ignori le decisioni e i rapporti della CEDU e del CPT come i meccanismi legali del Consiglio d’Europa di cui la Turchia è parte in base a diversi trattati, è una questione di responsabilità anche del Consiglio d’Europa. Mettere in piedi e sviluppare un sistema di isolamento e tortura di questo tipo è possibile solo con l’approvazione o la connivenza delle istituzioni internazionali” (p.8).

Sempre nelle sue conclusioni, il team legale di Öcalan sostiene che “il sistema İmralı riflette chiaramente la scelta di portare avanti o meno politiche che giungano a una soluzione della questione curda. Perché, essendo la questione curda uno dei problemi più scottanti del Medio Oriente, una soluzione democratica disturba tutte le potenze che attualmente beneficiano di politiche basate sulla guerra” (pp.8-9).

Inoltre, insistono, “con il sistema di isolamento e tortura di İmralı si vuole isolare la possibilità di una soluzione democratica incarnata nella persona di Öcalan. Perché non si può negare che, nonostante le condizioni di assoluto isolamento, in ogni occasione Öcalan cerca con insistenza di trovare una soluzione. Ogni contatto con lui lo ha ripetutamente confermato” (p.9).

Queste conclusioni sono, in effetti, abbastanza convincenti. Öcalan è indiscutibilmente un attore chiave per la costruzione di una soluzione pacifica e democratica alla questione curda. Può essere una minaccia per le autorità guerrafondaie, ma certamente non è una minaccia per il popolo turco. Infatti, come dice un altro membro del team legale di Öcalan: “Ci sono stati 100 anni di negazionismo. Ma negare un problema non aiuta a risolverlo. Öcalan rappresenta una possibilità per tutta la gente che vive in Turchia di risolvere la questione curda in modo pacifico e democratico“.

Raccomandazioni

(1) È fondamentale che si continui a fare pressione sullo stato turco per porre fine all’isolamento di Öcalan. La pressione dovrebbe essere fatta sulle istituzioni internazionali per diritti umani, in particolare quelli del Consiglio d’Europa. Il Comitato per la prevenzione della tortura (CPT) dovrebbe essere sollecitato a esercitare al massimo la sua capacità investigativa sul caso di İmralı. L’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa (PACE) dovrebbe fare pressione sul governo turco affinché implementi le raccomandazioni del CPT, le sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), e rispetti la CEDU, minacciando sanzioni. Anche il Comitato per gli affari legali e i diritti umani dovrebbe seguire le raccomandazioni del CPT. Gli organismi internazionali per i diritti umani dovrebbero essere sollecitati a dichiarare questo isolamento un crimine contro l’umanità.

(2) La comunità internazionale, le istituzioni e i governi dovrebbero essere incoraggiati a intervenire contro l’isolamento di Öcalan e contro il sistema di isolamento che permea tutta la società, portando a massicce violazioni dei diritti umani da parte del governo turco. L’Unione Europea ha una responsabilità specifica e deve essere spinta a essere uno dei protagonisti dell’azione. Gli individui che hanno un peso politico, come i membri del parlamento, dovrebbero essere esortati ad approvare mozioni e sollevare questioni riguardanti la situazione in Turchia, ad esprimere il loro sostegno per la fine all’isolamento, e a fare pressione sui loro governi affinché agiscano. Individui e gruppi dovrebbero essere incoraggiati a chiedere ai funzionari del governo turco (per esempio il ministro della giustizia), incontri per esprimere le loro preoccupazioni e porre domande, come ha fatto questa delegazione nella sua lettera indirizzata al ministro della giustizia. I partiti politici dovrebbero essere sollecitati a collegare il loro partito al Partito Democratico dei Popoli (HDP), e ad esprimere solidarietà con i parlamentari imprigionati.

3) Devono essere fatti appelli alle ONG internazionali, come Amnesty International e Human Rights Watch, per intraprendere azioni immediate contro l’isolamento di Öcalan e la situazione generale in Turchia. Coloro che si rifiutano di agire in tal senso dovrebbero essere denunciati pubblicamente per non aver parlato contro le atrocità dei diritti umani. Le ONG internazionali dovrebbero essere sollecitate a creare legami con le ONG e le organizzazioni per i diritti umani in Turchia, e cercare di intervenire dove possibile. Medici Senza Frontiere e altre organizzazioni attive nel campo sanitario dovrebbero essere sollecitati a contattare le autorità turche per chiedere il permesso di visitare Öcalan al fine di valutare il suo stato di salute, e a fornire un servizio medico indipendente per i prigionieri in Turchia.

(4) La solidarietà tra i sindacati deve essere estesa a livello internazionale. I sindacati dovrebbero essere incoraggiati ad esprimere ufficialmente la loro solidarietà e a legarsi ai sindacati in Turchia, parlando pubblicamente delle restrizioni dei diritti dei lavoratori in Turchia e la repressione dello stato contro i sindacati, e scrivendo mozioni a sostegno di Öcalan e del movimento curdo. Inoltre, i sindacati dovrebbero condannare i sindacati organizzati dallo stato turco che partecipano alla marginalizzazione e alla criminalizzazione dei lavoratori, e chiedere la loro esclusione dalle confederazioni e dalle conferenze sindacali internazionali.

(5) I movimenti sociali di tutto il mondo dovrebbero essere incoraggiati a stabilire legami di solidarietà con il movimento per la libertà curdo e altri gruppi di opposizione in Turchia. I movimenti internazionali delle donne dovrebbero essere spinti a esprimere solidarietà con il movimento delle donne curde, sotto forma di dichiarazioni scritte, messaggi video, e visite in Turchia.

(6) Le organizzazioni internazionali delle donne dovrebbero sollecitare il Consiglio d’Europa a monitorare attentamente la situazione relativa alla violenza contro le donne in Turchia, e ad esercitare pressioni sul governo turco affinché rispetti la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, che è stata promulgata dal Consiglio d’Europa nel maggio del 2011 e firmata dalla Turchia. Questo è particolarmente necessario dal momento che la Convenzione non viene applicata in Turchia e che il governo Erdoğan ha minacciato di ritirare la sua firma.

(7) Gli avvocati di tutto il mondo dovrebbero essere incoraggiati a presentare appelli agli organismi internazionali sulla situazione, e a condannare l’illegalità della politica di isolamento e il trattamento del popolo curdo, come mezzo di pressione sullo stato turco. Inoltre, dovrebbero essere incoraggiati a collaborare con gli avvocati in Turchia, in riunioni sia in Turchia sia all’estero, per studiare i casi legali specifici relativi alla situazione e lavorare insieme per presentare dei ricorsi.

(8) Dovrebbero essere fatti grossi sforzi per aumentare la consapevolezza globale riguardo alla situazione in Turchia. Questo può includere campagne di solidarietà, progetti di solidarietà culturale come documentari collaborativi o opere d’arte con artisti in Turchia, e campagne di boicottaggio della Turchia. Bisognerebbe anche fare in modo di contrastare la narrativa pro-Turchia nei media tradizionali e descrivere in modo veritiero il governo autoritario turco che ha soppresso le libertà politiche e civili.

(9) Le popolazioni di tutto il mondo dovrebbero essere incoraggiate ad agire. Questo comprende scrivere lettere ai loro rappresentanti in parlamento affinché facciano pressione sui loro governi e sul governo turco, scrivere lettere alle ONG esortandole a intraprendere ulteriori azioni, scrivere lettere di protesta ai funzionari turchi e scrivere lettere di sostegno ai prigionieri in Turchia. Gli individui dovrebbero anche essere incoraggiati a diffondere informazioni sulla situazione in Turchia, firmare petizioni e unirsi a campagne di solidarietà.

(10) Si dovrebbero organizzare più delegazioni per visitare la Turchia e la regione del Kurdistan, composte da persone diverse, compresi politici, accademici, figure pubbliche e sindacalisti. Queste dovrebbero organizzare incontri con le organizzazioni in Turchia e tentare di incontrare i funzionari del governo turco, al fine di dare ai delegati un’esperienza di prima mano sulla situazione, offrire sostegno a coloro che sono repressi e diffondere ulteriore consapevolezza.

Siti per ulteriori informazioni

International Initiative “Freedom for Öcalan – Peace in Kurdistan”: http://www.freeÖcalan .org/

Freedom for Öcalan Campaign: http://www.freedomforÖcalan .org.uk

Peace in Kurdistan Campaign: https://peaceinkurdistancampaign.com/

Scottish Solidarity with Kurdistan: http://www.sskonline.org.uk/

Link to Briefing of the 2020 International Peace Delegation to İmralı: https://www.freeÖcalan .org/news/english/2020-international-peace-delegation-to-İmralı-briefing

Link to Report of the 2020 International Peace Delegation to İmralı: https://www.peaceinkurdistancampaign.com/report-of-2020-international-peace-delegation-to-imral/

Link to Briefing of the 2019 International Peace Delegation to İmralı: https://peaceinkurdistancampaign.com/2019/02/28/briefing-on-the-international-peace-delegation-to-İmralı-11-16-february-2019/

Link to Report of the 2019 International Peace Delegation to İmralı: data.freeÖcalan .org/materials/english/forms/EN-2019-international-peace-delegation-to-İmralı-report-booklet.pdf

Link to Report of the 2017 İmralı Peace Delegation: https://westminsterjp.files.wordpress.com/2017/06/final-report-of-the-third-İmralı-delegation-2017-docx.pdf

Permanent People’s Tribunal ruling – Turkey and the Kurds: http://iadllaw.org/newsite/wp-content/uploads/2018/06/PPT_-edited-_-JUDGMENT_TURKEY_KURDS_-EN_Ml.pdf

Venice Commission opinions on Turkey: https://www.venice.coe.int/webforms/documents/by_opinion.aspx?country=31

2020 Asrin Law Office Report: https://anfenglish.com/features/asrin-law-office-İmralı-is-a-black-hole-49318

2020 Committee for the Prevention of Torture (CPT) report on İmralı: https://rm.coe.int/16809f20a1

2020 Parliamentary Assembly of the Council of Europe (PACE) Monitoring Committee Report on Turkey: https://pace.coe.int/en/files/28782/html

2019 Parliamentary Assembly of the Council of Europe (PACE) Resolution on Turkey: http://assembly.coe.int/nw/xml/XRef/Xref-XML2HTML-EN.asp?fileid=25425&lang=en

Summary of Öcalan’s Roadmap to the Negotiations: http://data.freeÖcalan .org/materials/english/forms/EN-Öcalan -the-road-map-summary_2011.pdf

People’s Democratic Party (HDP): https://www.hdp.org.tr/en/

Human Rights Foundation of Turkey: http://en.tihv.org.tr/

Human Rights Association: http://www.ihd.org.tr/en/

Confederation of Public Employees Trade Union (KESK) http://en.kesk.org.tr/

Biografie dei delegati e delle delegate di pace del febbraio 2021

Clare Baker è una funzionaria internazionale di Unite, un sindacato del Regno Unito, ed è attualmente segretaria della campagna sindacale britannica Freedom for Öcalan.

La baronessa Christine Blower è l’ex segretaria generale dell’Unione Nazionale degli Insegnanti in Gran Bretagna e attualmente co-presidente della campagna sindacale britannica Freedom for Öcalan.

La professoressa Radha D’Souza è una studiosa, attivista per la giustizia sociale, avvocata e scrittrice indiana. Ha lavorato in Nuova Zelanda e attualmente insegna giurisprudenza all’Università di Westminster nel Regno Unito.

Melanie Gingell è un’avvocata e docente di diritto internazionale umanitario e di giurisprudenza femminista, è stata parte dell’esecutivo del Comitato per i diritti umani dell’Ordine degli avvocati di Inghilterra e Galles e fa parte del comitato direttivo di Peace in Kurdistan.

Rahila Gupta è una giornalista freelance, scrittrice e attivista. Dal 1989 fa parte delle Southall Black Sisters, è un’attivista di Women Defend Rojava UK e patrona di Peace in Kurdistan. Scrive soprattutto riguardo a questioni razziali, di religione e di genere.

Ögmundur Jónasson è stato leader dei sindacati del servizio pubblico in Islanda e parlamentare e ha ricoperto per diversi anni la carica di ministro (è stato anche ministro della giustizia). È socio onorario dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa.

Thomas Jeffrey Miley è un prolifico scrittore e studioso di sociologia dell’Università di Cambridge e ha partecipato a diverse delegazioni in Turchia e in Kurdistan, incluso il Rojava. A questo riguardo ha pubblicato molti libri e articoli. Fa parte del comitato esecutivo della Commissione civica UE-Turchia (EUTCC).

Laura Quagliuolo è una redattrice e autrice di libri scolastici per bambini, da tempo attiva nella solidarietà internazionale, specialmente in relazione ai diritti delle donne. Attualmente è attiva in RETE JIN, una rete italiana di donne a sostegno del movimento delle donne curde e fa parte del comitato Time has come, Freedom for Öcalan.

Roza Salih è curda, nata nel Kurdistan meridionale, e nel 2001 ha chiesto asilo in Scozia. È stata attiva nella difesa dei diritti umani e parteciperà, in veste di candidata del Partito Nazionale Scozzese (SNP), alle prossime elezioni.

Gianni Tognoni è un medico, è stato direttore della ricerca presso l’istituto Mario Negri di Milano ed è segretario generale del Tribunale Permanente dei Popoli dalla sua fondazione, nel 1979.

Da Uiki Onlus

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